Una vittima racconta le violenze dello scorso giugno nell’Orissa. Suo padre, il pastore cristiano Biswanath Digal, è stato ucciso a bastonate.
New Delhi – “Durante l’ultima ondata di violenza anticristiana, i fanatici indù hanno prima distrutto la chiesa del nostro villaggio, poi hanno bruciato completamente le case dei cristiani e distrutto col fuoco qualsiasi cosa ci fosse dentro. Quindi hanno iniziato a cercare noi cristiani per ucciderci. Per salvarci siamo dovuti fuggire nella foresta e fino alle colline e restare nascosti”. Lazara Digal, unico figlio del pastore cristiano Biswanath Digal del villaggio Ladapadar (nel distretto Kandhamal in Orissa), trucidato in quei giorni, ricorda l’orrore delle ultime violenze anticristiane e punta il dito contro le autorità assenti.
95 cristiani vittime di persecuzioni hanno partecipato al 5° Incontro sulla persecuzione nazionale, a Bangalore il 4 e 5 marzo, organizzato dal Consiglio globale degli indiani cristiani (Gcic) con l’intervento di oltre 250 gruppi cristiani e non. Una speciale menzione è stata resa a Kaunri Digal, vedova del pastore ucciso.
“Siamo rimasti nascosti per 10 giorni –prosegue Lazara Digal- senza cibo e sotto una pioggia battente. C’erano circa 20 famiglie, potevano solo piangere e pregare Dio. Dopo 10 giorni abbiamo saputo che erano arrivate le forze dell’ordine. Allora siamo tornati. La polizia ci ha assicurato che ci avrebbe protetti, se tornavamo al villaggio. Nelle case, nel villaggio non era rimasto nulla, nemmeno riso a sufficienza per sfamarci, nemmeno era possibile riprendere il normale lavoro. Così in molti abbiamo deciso di andare a Bhunaneswar o a Cuttack, per trovare lavoro e guadagnare di che vivere. Ma i nostri genitori sono rimasti al villaggio”.
“Il 4 giugno 2009 mio padre, il pastore Biswanath Digal, insieme al cristiano Prasantha Digal, sono andati in motociclo a Phulbani, circa 14 chilometri da Ladapadar. Dopo avere fatto il loro lavoro e qualche compera, alle 7 di sera stavano tornando a casa. Ma alcuni estremisti indù li avevano notati e un gruppo tra 40 e 50 li aspettava, armati di bastoni e asce. Quando i due cristiani erano a Minia, vicino alla foresta di Pidiakali, il gruppo è saltato fuori e li hanno fermati. Erano ubriachi, li hanno insultati e iniziato a colpirli coi bastoni, urlando Jai Sri Ram e Jai Bajrang bali ki jai! ‘Uccidi il pastore, così gli altri cristiani di Ladapadar diverranno indù’. Li hanno percossi fino a far loro perdere conoscenza. Allora hanno pensato che fossero morti, li hanno lasciati lì e sono andati via. Sono rimasti così per 2-3 ore, prima che un viaggiatore li vedesse e informasse la polizia di Bisipadar”.
“La polizia li ha portato all’ospedale del distretto di Phulbani. Dopo due giorni di cure, mio padre ancora non aveva ripreso conoscenza. Poiché non avevamo denaro per pagare, su consiglio dei medici lo abbiamo portato all’ospedale di Cuttack, il 7 giugno. Per giorni lo hanno curato, senza risultato. Alla fine i medici hanno detto di portarlo a casa. Ma non avevamo una casa, perché era stata distrutta dai fanatici indù”.
“Il 19 giugno lo abbiamo portato da un parente, nei quartieri bassi di Bhubaneswar. E’ morto il 23 giugno, senza avere mai ripreso conoscenza. Lo abbiamo riportato al nostro villaggio e sepolto lì. Per la perdita, mia madre ha avuto un collasso e una paralisi che non le permette di camminare”.
“Fretello Asit Mohanty, coordinatore regionale di Gcic, l’ha visitata in ospedale, ha pregato con lei e le ha lasciato denaro per le cure mediche, perché io ora sono disoccupato e non ho redditi. Mia madre è stata in ospedale, ma non ha avuto miglioramenti e l’hanno dimessa. Ora vive a casa di un parente, è paralizzata e costretta a stare a letto”.
“Shri Prashanta Digal, aggredito insieme a mio padre, è stato in ospedale per 7 giorni, le sue ferite non erano gravi”.
Sajan K. George, presidente Gcic, nel saluto ai partecipanti all’incontro a Bangalore ha ricordato come “il nostro Paese sia fondato sul riconoscimento che ogni essere umano ha diritti inalienabili per diritto di nascita. Ma le minoranze cristiane subiscono discriminazioni in ogni ambito. La Costituzione indiana garantisce la libertà religiosa. Ciò nonostante, nel 2009 ci sono state 177 brutali aggressioni contro i cristiani”.
L’incontro si doveva concludere con una marcia di protesta fino al municipio di Bangalore, ma non è stata autorizzata. (NC)
Fonte: AsiaNews – riprodotto con autorizzazione
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