[Archeologia Biblica] L’iscrizione di Siloam

Nel 2008 ritorna a Gerusalemme una testimonianza dell’affidabilità della Bibbia risalente a 2700 anni fa

In occasione del 60° anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, che sarà celebrato quest’anno, la Turchia ha dichiarato di essere pronta a concedere in prestito per un anno allo Stato ebraico la cosiddetta “Iscrizione di Siloam” scoperta nel 1880, al tempo della dominazione ottomana della Palestina e per questo finita nel Paese islamico.
L’iscrizione, intagliata nella pietra, usa l’alfabeto paleo-ebraico e si riferisce alla costruzione di un tunnel per l’acqua scavato nella roccia sottostante la città di Davide, il nucleo originario di Gerusalemme.
Il tunnel è risalente al tempo di Ezechia, re di Giuda, che lo fece scavare probabilmente il 701 a.C. La Bibbia si riferisce a quest’opera quando dichiara che Ezechia “…turò la sorgente superiore delle acque di Ghion e le convogliò giù direttamente attraverso il lato occidentale della città di Davide” (2 Cronache 32:30; cfr. 2 Re 20:20).
Il re di Giuda, in questo modo, voleva tagliare l’approvvigionamento idrico agli assiri guidati dal re Sennacherib (704-681), prossimi ad assediare Gerusalemme, e assicurare quello della sua città.
Lo scavo è lungo ca. 533 metri e convogliava l’acqua, tramite un leggero dislivello tra le due terminazioni della galleria, dalla sorgente di Gihon, posta all’esterno delle mura cittadine, al pozzo di Siloam.
Nonostante dopo la scoperta il tunnel di Ezechia fosse stato subito esaminato da eminenti archeologi, a causa delle sedimentazioni calcaree che ne rendevano difficile l’individuazione, l’iscrizione fu scoperta soltanto successivamente, quasi per caso.
Nel 1891 l’iscrizione, una lastra di pietra alta 50 cm. e larga 66 cm., durante un tentativo di furto, fu estratta in maniera impropria dalla parete e ridotta in pezzi, ma grazie agli sforzi del console britannico di Gerusalemme, i frammenti vennero ricomposti e conservati nel Museo dell’Oriente Antico di Istanbul.
L’incisione dichiara che il tunnel fu scavato da due gruppi differenti di operai, i quali lavorarono separatamente, partendo da entrambe le estremità, per incontrarsi a metà: Riga 1 – “[…] il tunnel […] e questa è la storia dello scavo. Quando […] Riga 2 – i picconi scavavano ancora l’uno contro l’altro e restavano ancora tre cubiti da scavare […] la voce di uno […] Riga 3 – si sentiva chiamare dall’altra parte, [perché] c’era una fessura nella roccia, a destra e a sinistra ed il giorno che Riga 4 – il tunnel [fu terminato] i tagliatori di pietra scavarono ognuno verso l’altra parte, piccone contro piccone e Riga 5 – fluì l’acqua dalla sorgente fino al pozzo per 1200 cubiti. E di [100?] Riga 6 – cubiti era l’altezza dalla testa degli scavatori”.

Fonte: Cristiani Oggi, 16-31 gennaio 2008, pag. 7

Nella foto: L’iscrizione di Siloam

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Archeologia Biblica: Le Lettere di Lachis

La conferma archeologica di quanto descritto dal profeta Geremia sull’imminente distruzione di Gerusalemme

Lachis era il nome di una città-fortezza strategica, situata a 45 Km a Sud-Ovest di Gerusalemme. Sull’antico sito di questa città una missione archeologica inglese ha condotto, dal 1932 al 1938, degli scavi che hanno permesso il ritrovamento, tra le rovine del corpo di guardia della porta principale della città, di 21 frammenti di vasi di terracotta con iscrizioni in ebraico. I cocci («ostraka» in greco) costituivano un supporto alternativo per la scrittura quando il papiro era introvabile o troppo costoso, oppure quando i messaggi erano brevi e d’interesse momentaneo.

I cocci ritrovati, denominati poi “Lettere di Lachis”, risalgono al 586 a.C. e contengono messaggi urgenti scritti da Osaia, ufficiale di un avamposto presso Gerusalemme, a Ioas, comandante della guarnigione di Lachis, nei quali si esprime preoccupazione per l’approssimarsi dell’esercito nemico.

Foto 1

La lingua usata è un buon ebraico, analogo a quello del libro del profeta Geremia, e il contenuto riflette la tensione sociale e politica esistente durante il regno di Sedechia. Figlio del compianto Giosia, questo re successe al nipote Ioiachin per volontà del re babilonese Nabuccodonosor, ma ben presto si alleò con gli Egiziani e si ribellò. Per punire il tradimento, Nabucodonosor distrusse con gran ferocia Gerusalemme e il suo Tempio, e condusse in cattività parte dei suoi abitanti (2 Re 24:8-25:12).

Geremia aveva profetizzato l’imminente catastrofe, ma Sedechia non gli aveva dato ascolto (Geremia 34:1-3). In una delle lettere si parla dell’arrivo di un generale ebraico che deve recarsi in Egitto, una chiara eco degli intrighi tra il re di Giuda e il faraone per opporsi alla potenza babilonese.

Nelle lettere compaiono nomi come Neria, Ghemaria, Shemaia, Osaia, comuni anche al libro di Geremia. Sebbene sia alquanto improbabile che si tratti delle stesse persone, la somiglianza tra i nomi testimonia che il periodo al quale risalgono le lettere è quello del profeta Geremia. In una lettera ci si lamenta di parole che “rendono fiacche le mani, deprimono le energie del paese e delle città”, espressione del tutto simile a quella rivolta al re contro Geremia: “Quest’uomo sia messo a morte, poiché rende fiacche le mani degli uomini di guerra, che rimangono in questa città, e le mani di tutto il popolo, tenendo loro tali discorsi…” (Geremia 38:4).

Foto 2

Un’altra lettera dev’essere stata scritta subito dopo il messaggio rivolto da Geremia a Sedechia quando ancora le città di Lachis e Azeca resistevano (Geremia 34:6-7). Il testo della lettera dice: “Possa l’Eterno fare in modo che il mio signore ascolti gli auguri di bene che sono stati fatti in questo giorno. Ed ora, il tuo servitore ha fatto tutto ciò che il mio signore ha scritto. Ho scritto sulla porta ogni cosa che il mio signore ha scritto a me […] e comunico che siamo in attesa dei segnali di fuoco di Lachis, secondo le direttive che il mio signore ha dato, poiché noi non possiamo vedere Azeca”. Probabilmente Azeca era già caduta. In un’altra lettera ancora, nella quale si parla della partenza di un gruppo di messaggeri per l’Egitto, è scritto: “Per quanto riguarda la lettera di Tobia, mandata dal profeta a Sallum, figliuolo di Jaddua, che dice: “Stai attento, il tuo servo l’ha mandata al mio signore”. Chi era il profeta di cui si parla nella lettera? Era forse Geremia? L’autore delle lettere ritrovate a Lachis aveva forse capito che le parole di Geremia erano da Dio?

Vincenzo Martucci

Fonte: Cristiani Oggi, 1-15 gennaio 2006, pag. 8

Stamattina ho letto che il celebre museo di Londra, il British Museum, ha rilanciato il suo sito internet con nuove collezioni dell’antichità, precisamente 275.000 opere, su una collezione di più di 7 milioni di opere. Nel sito del museo ho trovato due foto (vedi sopra) concernenti gli ostraca di Lachis, precisamente la Lettera 1 e la Lettera 2.

Foto 1: Lachish Letter I – Photo: British Museum

Foto 2: Lachish Letter II – Photo: British Museum

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