Archeologia Biblica: Le Lettere di Lachis

La conferma archeologica di quanto descritto dal profeta Geremia sull’imminente distruzione di Gerusalemme

Lachis era il nome di una città-fortezza strategica, situata a 45 Km a Sud-Ovest di Gerusalemme. Sull’antico sito di questa città una missione archeologica inglese ha condotto, dal 1932 al 1938, degli scavi che hanno permesso il ritrovamento, tra le rovine del corpo di guardia della porta principale della città, di 21 frammenti di vasi di terracotta con iscrizioni in ebraico. I cocci («ostraka» in greco) costituivano un supporto alternativo per la scrittura quando il papiro era introvabile o troppo costoso, oppure quando i messaggi erano brevi e d’interesse momentaneo.

I cocci ritrovati, denominati poi “Lettere di Lachis”, risalgono al 586 a.C. e contengono messaggi urgenti scritti da Osaia, ufficiale di un avamposto presso Gerusalemme, a Ioas, comandante della guarnigione di Lachis, nei quali si esprime preoccupazione per l’approssimarsi dell’esercito nemico.

Foto 1

La lingua usata è un buon ebraico, analogo a quello del libro del profeta Geremia, e il contenuto riflette la tensione sociale e politica esistente durante il regno di Sedechia. Figlio del compianto Giosia, questo re successe al nipote Ioiachin per volontà del re babilonese Nabuccodonosor, ma ben presto si alleò con gli Egiziani e si ribellò. Per punire il tradimento, Nabucodonosor distrusse con gran ferocia Gerusalemme e il suo Tempio, e condusse in cattività parte dei suoi abitanti (2 Re 24:8-25:12).

Geremia aveva profetizzato l’imminente catastrofe, ma Sedechia non gli aveva dato ascolto (Geremia 34:1-3). In una delle lettere si parla dell’arrivo di un generale ebraico che deve recarsi in Egitto, una chiara eco degli intrighi tra il re di Giuda e il faraone per opporsi alla potenza babilonese.

Nelle lettere compaiono nomi come Neria, Ghemaria, Shemaia, Osaia, comuni anche al libro di Geremia. Sebbene sia alquanto improbabile che si tratti delle stesse persone, la somiglianza tra i nomi testimonia che il periodo al quale risalgono le lettere è quello del profeta Geremia. In una lettera ci si lamenta di parole che “rendono fiacche le mani, deprimono le energie del paese e delle città”, espressione del tutto simile a quella rivolta al re contro Geremia: “Quest’uomo sia messo a morte, poiché rende fiacche le mani degli uomini di guerra, che rimangono in questa città, e le mani di tutto il popolo, tenendo loro tali discorsi…” (Geremia 38:4).

Foto 2

Un’altra lettera dev’essere stata scritta subito dopo il messaggio rivolto da Geremia a Sedechia quando ancora le città di Lachis e Azeca resistevano (Geremia 34:6-7). Il testo della lettera dice: “Possa l’Eterno fare in modo che il mio signore ascolti gli auguri di bene che sono stati fatti in questo giorno. Ed ora, il tuo servitore ha fatto tutto ciò che il mio signore ha scritto. Ho scritto sulla porta ogni cosa che il mio signore ha scritto a me […] e comunico che siamo in attesa dei segnali di fuoco di Lachis, secondo le direttive che il mio signore ha dato, poiché noi non possiamo vedere Azeca”. Probabilmente Azeca era già caduta. In un’altra lettera ancora, nella quale si parla della partenza di un gruppo di messaggeri per l’Egitto, è scritto: “Per quanto riguarda la lettera di Tobia, mandata dal profeta a Sallum, figliuolo di Jaddua, che dice: “Stai attento, il tuo servo l’ha mandata al mio signore”. Chi era il profeta di cui si parla nella lettera? Era forse Geremia? L’autore delle lettere ritrovate a Lachis aveva forse capito che le parole di Geremia erano da Dio?

Vincenzo Martucci

Fonte: Cristiani Oggi, 1-15 gennaio 2006, pag. 8

Stamattina ho letto che il celebre museo di Londra, il British Museum, ha rilanciato il suo sito internet con nuove collezioni dell’antichità, precisamente 275.000 opere, su una collezione di più di 7 milioni di opere. Nel sito del museo ho trovato due foto (vedi sopra) concernenti gli ostraca di Lachis, precisamente la Lettera 1 e la Lettera 2.

Foto 1: Lachish Letter I – Photo: British Museum

Foto 2: Lachish Letter II – Photo: British Museum

Post correlati:

Condividi