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Sull’Islamic Channel britannico il gioco a premi che mette a confronto musulmani, ebrei e cristiani
Fonte: Repubblica.it
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Ashgabat – Sono sistematiche le violazioni della libertà religiosa, in Turkmenistan. L’agenzia Forum 18 denuncia una situazione di repressione quasi scientifica, attuata dalle autorità.
L’art. 11 della Costituzione riconosce la libertà di scegliere e professare qualsiasi religione, anche in modo associato. Tuttavia i gruppi religiosi debbono registrarsi per svolgere qualsiasi attività, anche solo riunirsi per pregare. Per la registrazione occorre fornire numerosi informazioni, quali i luoghi di incontro e i nomi dei responsabili. Le autorità spesso non concedono l’autorizzazione e comunque la polizia fa incursione durante gli incontri di preghiera e nelle abitazioni, che gli stessi fedeli hanno denunciato. Nel Paese, peraltro, manca in generale il diritto di riunirsi, di parlare, di spostarsi dove si vuole. Per chi pratica attività religiosa non autorizzata, sono previste pesanti multe, o anche il carcere.
Per la Chiesa cattolica è riconosciuta solo la nunziatura della Santa Sede ad Ashgabat e solo presso la nunziatura, dove sono due sacerdoti, in territorio diplomatico, è legale celebrare la messa.
Peraltro i gruppi riconosciuti debbono permettere ai funzionari statali di assistere agli incontri, leggere ogni loro documento, avere il rendiconto di ogni donazione o contributo.
La promessa del presidente Kurbanguly Berdymukhammedov di maggiore libertà religiosa, al momento della sua elezione nel 2007, non ha in alcun modo fermato questi metodi. Mentre nelle scuole e nella vita pubblica è ancora obbligatoria la recitazione di versi del Ruhnama (Libro dell’anima), scritto dall’ex presidente Niyazov e che deve essere presente in ogni luogo di devozione.
Il controllo è ancora più capillare sull’islam, religione professata dalla maggioranza dei 5 milioni di abitanti. Il Comitato statale per gli affari religiosi nomina il mufti capo e gli imam più importanti, come pure è necessario il suo riconoscimento per tutti i chierici musulmani e quelli ortodossi russi. Il capo-mufti Nasrullah ibn Ibadullah, fautore di una maggiore autonomia per il clero islamico dallo Stato, è stato incarcerato dal 2004 al 2007 per accuse mai chiarite e sostituito da persona nominata dallo Stato, che è anche vicepresidente del Comitato affari religiosi.
L’istruzione religiosa è proibita, anche all’interno della propria comunità. Nel 2008 la polizia segreta ha più volte fatto incursione in classi di catechismo protestanti, sequestrando testi religiosi e minacciando i docenti. Divieto applicato anche agli islamici, con l’eccezione della sezione teologica della facoltà di Storia dell’università di Ashgabat, che ammette un numero chiuso di studenti.
La letteratura religiosa deve essere tutta approvata dallo Stato e sono frequenti i sequestri di materiale religioso. La gran parte dei siti internet religiosi non sono accessibili. (PB)
Fonte: AsiaNews /F18 – riprodotto con autorizzazione
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http://it.youtube.com/watch?v=zKIiLD9K8fc
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La pellicola si intitola “Messia“ ed è opera del regista iraniano Nader Talebzadeh. Nel film – uscito lo scorso anno e presentato, in Italia, nell’ambito del festival Religion Today (www.religionfilm.com) di Trento – Gesù è un profeta e operatore di miracoli, ma non viene riconosciuto come figlio di Dio, morto sulla croce e quindi risorto. Secondo la CNN, “Messia” potrebbe essere presto disponibile su internet. Nella pellicola il regista Talebzadeh sostiene che Gesù non è morto sulla croce. Al posto del maestro di Nazareth sarebbe stato crocifisso Giuda Iscariota, l’uomo che secondo la Bibbia ha tradito Gesù. Secondo il Corano Gesù non è morto sulla croce e non è il redentore dell’umanità. E alcune tradizioni islamiche affermano che a morire sulla croce non fu Gesù, ma Giuda. Lo scopo del film di Talebzadeh non è polemico, ma intende suscitare un ampio dibattito sulla figura di Gesù: cristiani e musulmani considerano infatti Gesù in modi molto diversi.
Nella foto: il regista Nader Talebzadeh
Fonte: Voce Evangelica/Idea
[Video] Report della CNN sul film di Nader Talebzadeh
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La Moschea di Al Aqsa (sul Monte del Tempio, a Gerusalemme) non è mai stata il luogo di un tempio ebraico. Lo ha ripetuto lunedì lo sceicco Raed Salah, capo del Movimento Islamico israeliano-Ramo settentrionale, durante una conferenza stampa convocata a Gerusalemme per rispondere a coloro che, nei giorni scorsi, dopo l’attentato alla scuola religiosa di Mercaz Harav ad opera di un arabo-israeliano, avevano chiesto l’espulsione dalla città dei residenti con documenti israeliani che partecipano ad atti di terrorismo.
“Coloro che invocano l’espulsione di palestinesi residenti a Gerusalemme est sono stupidi e isterici e meritano di finire in pattumiera” ha affermato Salah, che ha poi proseguito negando l’esistenza di qualunque legame storico fra ebrei e Gerusalemme, e negando che sia mai esistito un tempio ebraico sul Monte del Tempio. “Queste pretese degli ebrei sono solo grandi menzogne: essi non hanno alcun diritto su neanche un granello di polvere”, ha dichiarato.
Secondo Salah, Israele starebbe scavando vasti tunnel sotto la moschea di Al Aqsa allo scopo di minarne le fondamentali . “Siamo in un momento cruciale – ha detto il leader islamico – La moschea di Al Aqsa è in pericolo ed è sotto occupazione, e Gerusalemme è in pericolo perché è sotto occupazione”.
Lo scorso gennaio il procuratore generale Menahem Mazuz aveva già avviato un procedimento a carico di Salah accusandolo di istigazione alla violenza e al razzismo per un discorso tenuto un anno fa contro gli scavi archeologici condotti in prossimità della Porta Mughrabi che dà accesso alla spianata delle Moschee sul Monte del Tempio. Durante quel sermone, tenuto nel quartiere Wadi Joz di Gerusalemme il 16 febbraio 2007, Salah aveva sollecitato i suoi sostenitori a lanciare una “terza intifada” per “salvare la moschea di Al Aqsa, liberare Gerusalemme e porre fine all’occupazione”. Salah aveva accusato gli ebrei di voler “costruire un loro tempio mentre il nostro sangue è sui loro abiti, sulle loro soglie, nel loro cibo e nelle loro bevande”, e aveva concluso: “Noi siamo noi quelli che mangiano il pane inzuppato nel sangue dei bambini”.
(Da: Jerusalem Post, 10.03.08)
Nella foto in alto: Raed Salah
Fonte: Israele.net – 11-03-2008
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