Noi, come dice l’apostolo Paolo, “siamo stati salvati in isperanza” (Rom. 8:24), il che significa che in vista della nostra salvezza siamo stati chiamati ad aspettare qualche cosa che ancora non vediamo perché, come dice sempre Paolo, “la speranza di quel che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe egli ancora?” (Rom. 8:24). E questo qualcosa che aspettiamo è la redenzione del nostro corpo (cfr. Rom. 8:23). Si deve infatti sempre tenere presente che il nostro corpo è ancora un corpo corruttibile, mortale e debole; per cui esso si va via via indebolendo fino a giungere alla morte, che, se è vero che quando sopraggiunge porta l’anima del credente a dipartirsi e andare con il Signore, è altresì vero che inizia nel corpo umano quel processo di decomposizione che lo porterà a diventare polvere. Nel caso del corpo del credente dunque occorre dire che in un certo senso il corpo viene ‘perduto’ dal credente perché viene lasciato a decomporsi sulla terra. Ma arriva il giorno in cui quel corpo sarà redento e ciò avverrà alla venuta del Signore, con la resurrezione, quando questo corruttibile rivestirà incorruttibilità, questo mortale rivestirà immortalità. Questa redenzione però non riguarderà solo i morti in Cristo, ma anche coloro che in quel giorno saranno trovati vivi, anche loro infatti saranno mutati e il loro corpo subirà la medesima trasformazione; la differenza tra le due trasformazioni sarà che la prima avverrà su dei corpi morti e la seconda su dei corpi ancora vivi che non vedranno la morte (cfr. 1 Cor. 15:52-54).
Questo dunque è quello che noi speriamo, e che aspettiamo con fede e pazienza.