L’Arabia Saudita non occupa più il secondo, ma il terzo posto. Ciò non significa, però, che la situazione delle libertà religiose per i cristiani sia migliorata. Il leggero calo del punteggio è causato dal fatto che, a differenza dell’anno precedente, nel 2009 non abbiamo ricevuto nessuna notizia su cristiani uccisi o torturati a motivo della loro fede, mentre, per quanto sappiamo, solo un cristiano è stato arrestato. Un pastore straniero si è sentito obbligato a fuggire dal paese dopo aver ricevuto minacce di morte, fra cui quelle provenienti dalla “mutawa”, la polizia segreta saudita.
La libertà religiosa non esiste nel regno wahabita – i cui cittadini hanno soltanto il permesso di aderire all’islam – e non è garantita dalla legge. Il sistema legale è basato sulla sharia, la legge islamica. L’apostasia, cioè la conversione a un’altra religione, è punibile con la morte se l’accusato non torna all’islam. Benché il governo riconosca il diritto dei non-musulmani di riunirsi in privato, è vietato praticare pubblicamente un culto non islamico.
I non musulmani che si impegnano in queste pratiche rischiano la cattura, l’imprigionamento, le frustate, l’espulsione e, a volte, torture più pesanti. Gli ex-musulmani convertiti al Cristianesimo corrono inoltre il grande rischio di essere uccisi per aver infangato l’onore della famiglia, quando i familiari o conoscenti scoprono la loro nuova fede.
Fonte: Porte Aperte Italia
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