di PAOLA PIOPPI
— COMO —
UNA CONDANNA a otto anni di carcere per abusi sessuali nei confronti di un minorenne: così ieri, al termine di una requisitoria durata cinque ore, il pubblico ministero Maria Vittoria Isella, ha concluso la ricostruzione dei fatti contestati a don Mauro Stefanoni, ex parroco di Laglio e ora applicato a Colico. Il sacerdote è accusato di aver abusato sessualmente di un ragazzino frequentatore della casa parrocchiale, affetto da una forma di scompenso mentale, che all’epoca aveva 17 anni. Fatti che risalgono al periodo tra fine 2004 e inizio 2005, quando don Mauro fu oggetto di intercettazioni ambientali e telefoniche per monitorare i suoi eventuali rapporti con la vittima, dopo che gli insegnanti e i compagni di scuola del ragazzo lo avevano spinto a denunciare una serie di episodi che aveva raccontato.
A QUESTE intercettazioni si lega uno stralcio di indagine avviato dal pubblico ministero a carico della Curia di Como, all’epoca retta dal vescovo Alessandro Maggiolini, per verificare un’eventuale ipotesi di favoreggiamento nei confronti dell’imputato. Circostanza che deriva dalla stesse dichiarazioni di don Mauro quando venne sentito nel corso del processo, il quale disse di essere stato convocato in Curia il 16 novembre 2004 e avvisato del fatto che la Procura stava indagando su suoi rapporti con il ragazzino. La requisitoria ha ricostruito fasi e circostanze della vicenda: «Videocassette, videocassette e film pornografici acquistati su Sky, chat frequentate e nikname utilizzati, gli stessi rapporti con Luca Mastromarino, ex parrocchiano di Ponte Tresa, costituiscono una cornice perfetta al quadro dipinto dalla vittima», in un processo che, secondo il pm, «è già madre di altri processi», per le accuse di falsità e le calunnie nei confronti della Procura e delle parti civili per la quali è stata chiesta la trasmissione degli atti.
QUANTO all’attendibilità del ragazzo, soprattutto in relazione al problema fisico – la fimosi serrata di cui si è lungamente parlato durante il dibattimento – da cui è affetto don Mauro, il magistrato ha sostenuto che gli abusi ci sono certamente stati «anche se di natura leggermente diversa rispetto a quanto riportato dalla vittima, che si appropriò di immagini acquisite da altri nella spasmodica speranza che qualcuno gli credesse». Cinque ore in cui gli elementi dell’accusa sono stati ordinati con toni pacati e chiari: «La Corte non pronunci una sentenza di assoluzione per mancanza di prove – ha concluso il pubblico ministero – ma piuttosto per insussistenza dei fatti contestati, perché significherebbe ammettere che le persone deboli non sono degne di tutela da parte dell’ordinamento giudiziario».
Fonte: Il Giorno
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