Burkina Faso: Guarito da un morso di serpente

In Burkina Faso, alcuni anni fa, a fine dicembre fu portato all’ambulatorio un bambino di dieci anni che era stato morsicato da un serpente. Questo bambino veniva alle nostre riunioni e faceva dieci chilometri a piedi per venire in chiesa. I suoi genitori erano non credenti e non volevano che il loro bambino andasse a pregare e cantare a Gesù.

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Isola di Timor: I nostri vestiti rimangono puliti

In Indonesia, a volte ci è difficile tenere puliti i nostri vestiti. Un giorno, ci siamo recati in un villaggio vicino a Soe. Non avevamo portato con noi nessun vestito di ricambio poiché pensavamo di ritornare la sera stessa. A Timor, una camicia indossata per un giorno è subito molto sporca a causa del sudore e della polvere. In quel villaggio non c’era il sapone per lavare i nostri vestiti.

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Isola di Timor: Dio brucia gli idoli

Proprio un anno e mezzo fa, alcuni membri della nostra équipe fecero un’esperienza quanto mai insolita concernente gli idoli, quando il Signore chiese loro di recarsi nella parte di Timor retta dall’amministrazione portoghese.

“Dormite sul ciglio della strada. Se la gente vi invita a casa loro, rispondete: – No, il nostro Padrone ci ha detto di dormire qui, sul ciglio della strada”. Queste erano le istruzioni del Signore.

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Testimonianza di un sopravvissuto dell’11 settembre diventato evangelista

Dopo essere miracolosamente scampato alla morte nel momento del crollo delle torri del World Trade Center, Sujo John decide d’impegnarsi a pieno tempo in un potente ministerio d’evangelizzazione su scala internazionale.

sujo-johnGiovedì 11 settembre 2001, ore 7.30: Sujo John raggiunge il suo ufficio situato all’88mo piano della torre nord del World Trade Center. Recentemente trasferitosi negli Stati Uniti, quest’uomo d’affari originario di Calcutta lavora per una società di Telecomunicazione. La compagnia che dà lavoro a Mary, sua moglie, è installata al 71mo piano della torre gemella Sud. Quella mattina,

John avverte un profondo malessere dentro di sé: “Avevo il sentimento che la mia vita fosse vuota. Eppure la mano di Dio riposava sulla nostra coppia. Eravamo stati benedetti nel campo professionale e a quel tempo aspettavamo il nostro primo figlio. Ma la sola cosa che facevo per Dio era recarmi in chiesa ogni domenica mattina. Sapevo che Dio mi chiamava a servirlo ma io rimanevo inattivo”. John decide allora d’inviare un messaggio di posta elettronica ad un suo amico per fargli parte dei suoi sentimenti d’insoddisfazione concernenti la sua relazione con Dio.

Ore 8.45: John ha appena inviato tramite fax alcuni documenti e si appresta a raggiungere il suo ufficio quando sente un suo collega urlare: “È un aereo!”. Un’enorme esplosione risuona e tutti i vetri esplodono in una frazione di secondo. L’ufficio è invaso dai rottami infiammati del Volo 11 dell’American Airlines che ha appena colpito la torre proprio alcuni piani più sopra. “Abbiamo sentito che l’edificio oscillava pericolosamente verso sinistra. Le armature metalliche che sostenevano l’edificio cominciavano già a cedere (…) C’era un enorme cratere e potevamo scorgere i 10 piani situati più sotto”. Mentre s’inoltra per le scale, John è molto preoccupato per sua moglie e spera che la torre Sud sia stata risparmiata dall’esplosione. “Io sapevo che in quel momento preciso lei raggiungeva il suo ufficio”.

Durante l’interminabile discesa incontra centinaia di vigili del fuoco e poliziotti venuti a portare soccorso alle persone intrappolate nell’incendio. Improvvisamente una seconda esplosione ha appena fatto tremare l’edificio. In quel momento John è lontano dall’immaginare che un secondo aereo abbia appena colpito la torre Sud.

Dopo circa un’ora di cammino riesce alla fine ad uscire dall’edificio. “In quel momento ho scoperto un panorama di desolazione, tutto sembrava distrutto. Si poteva scorgere la fusoliera dell’aereo che si era da poco sfasciata. Rottami infiammati, vetro rotto e i corpi di centinaia di vittime ricoprivano il suolo. Si sarebbe detto una scena di guerra”. John decide allora di raggiungere la seconda torre nella speranza di ritrovare sua moglie. Ma mentre si avvicina all’edificio sente una forte esplosione: i 110 piani della torre Sud cominciavano a crollare in un fracasso spaventoso. “Ci siamo rannicchiati ad un’estremità dell’edificio e ho cominciato a pregare chiedendo a Dio di fortificarmi. Ho spiegato alla gente intorno a me che stavamo tutti per morire e che era importante che quelli che non avevano ancora ricevuto Gesù nella loro vita lo facessero prima che fosse troppo tardi. Tutti si sono messi a piangere e ad invocare il nome di Gesù”.

Degli enormi rottami d’acciaio e di gesso sono cominciati a cadere mentre un fitto fumo riempiva l’atmosfera. Alcuni secondi dopo, John scorge intorno a sé i corpi senza vita dei suoi compagni di sventura e scopre con spavento che è l’unico sopravvissuto. “Nessuna pietra né alcun proiettile mi ha colpito” spiega egli. Cercando di evitare le rovine fumanti della torre Sud del World Trade Center, John correrà per quasi un’ora. In quel momento pensa che sua moglie sia morta. Ma all’improvviso il suo telefonino suona: John apprende con sollievo che sua moglie è in vita. Il treno che aveva preso quella mattina per recarsi al World Trade Center era stato fermato 5 minuti dopo il primo crash.

In seguito agli eventi dell’11 settembre 2001, Sujo John e sua moglie hanno deciso d’impegnarsi al 100% per Dio con la missione di “Proclamare il suo amore ai quattro angoli della terra”. John ha visitato numerose scuole pubbliche, università, club sportivi, e chiese per condividere la sua testimonianza. Un ministerio il cui influsso sorpassa i confini americani poiché Sujo John si è anche recato in Canada, in India, in Inghilterra, così come nei paesi dell’Est. Circa 30000 persone si sono convertite in seguito alla straziante testimonianza di John.

“Il ricordo del fumo, della fuliggine e della cenere è rimasto impresso nella mia mente e faccio molta fatica a credere che sono già 5 anni” ha dichiarato Sujo John sul suo sito internet in occasione del 5to anniversario dei sanguinosi attentati del World Trade Center.

Sylvain Prigent

Fonte: www.aleloo.com

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Morto a 14 anni… La straordinaria testimonianza di un ragazzo cambogiano

Da più di un anno, il giovane Moniroath sapeva di soffrire di cancro. Suo padre Phalla, insegnante in una scuola media inferiore e predicatore laico responsabile di una parrocchia di campagna, faceva tutto il possibile per fargli somministrare i trattamenti appropriati, il che gli richiedeva frequenti e costosi spostamenti col figlio malato verso un ospedale situato in Vietnam. La Chiesa Metodista, compreso Connexio, gli hanno dato il loro sostegno con la preghiera e con l’aiuto finanziario, ma, ahimè, la malattia è progredita inesorabilmente. Moniroath dovette sopportare con coraggio l’amputazione della gamba destra, poi il cancro raggiunse a poco a poco altre parti del corpo.

Utilizzando al meglio il tempo, Moniroath si sforzava, durante il suo soggiorno ospedaliero che si prolungava, di imparare la lingua vietnamita per poter comunicare con i suoi vicini e parlare loro della sua fede in Gesù Cristo. Molti di quelli che l’udivano rimasero impressionati dalla sua testimonianza raggiante e fiduciosa, nonostante l’aggravamento visibile del suo stato di salute.

Ai primi di luglio abbiamo ricevuto da parte della pastora Jessica Tiong, sovrintendente del distretto di Kampong Thom, il seguente messaggio che ci ha nello stesso tempo rattristati e incoraggiati:

“Grazie per il vostro amore per la famiglia di Peou Phalla.

Moniroath è deceduto il 5 luglio ma il suo decesso è stato accompagnato da una grande testimonianza per le persone che gli stavano intorno.

Avevamo creduto di perdere Moniroath già il 1mo e il 2 luglio, ma finì col riprendere coscienza. Nella notte del 4 luglio ha sofferto molto; era momentaneamente incosciente ma quando riprese conoscenza disse a quelli che lo attorniavano che era stato in cielo e che vi aveva giocato, nell’acqua, con i pesci che vi nuotavano. Diceva che era così tanto contento e che vedeva Gesù in cielo. Prendendo congedo da suo padre e da sua madre, disse loro: “Io non posso più, con le mie forze, ritardare la partenza; sto per lasciarvi, ma non per sempre, poiché ci rivedremo di nuovo in avvenire”. Quanto ai suoi vicini e agli altri membri della sua famiglia, li pregò di non piangere. Tutti rimasero stupiti e sconvolti da questa testimonianza della quale il padre, Phalla, disse che è di gran consolazione per lui, poiché è certo, ora, che Moniroath è realmente salvato…”.

Daniel Husser

Fonte: En route, Bulletin d’information francophone de l’Eglise Evangélique Méthodiste (EEM) n° 23, septembre 2006

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