La tensione in Iran rimane alta, l’ambigua strategia di Ahmadinejad in termini di diplomazia internazionale continua senza intoppi, basti pensare alle ultime scaramucce verbali con Obama, presidente degli Stati Uniti d’America, riguardo ancora una volta la questione nucleare. Ma non vogliamo dimenticare che in Iran il regime insiste nel reprimere l’opposizione politica e i manifestanti, e in questa ondata di oppressione, che dura ormai da un anno, non disdegna un giro di vite anche nei confronti dei cristiani, forse per entrare sempre più nelle grazie dell’ala più estremista dell’oligarchia al comando nel paese.
Gli agenti delle forze di Sicurezza Investigativa dello Stato (SSI) il 2 febbraio scorso hanno arrestato il pastore Wilson Issavi, di 65 anni (vedi foto), poco dopo aver finito un incontro in casa di un amico a Isfahan. Assieme all’accusa di “conversione dei musulmani”, al pastore è stato imputato il fatto di non aver cooperato con la polizia, presumibilmente per aver continuato a realizzare incontri in casa dopo che gli agenti avevano imposto la chiusura della Chiesa Evangelica di Kermanshah (dove serviva), ordinandogli di non riaprirla. A quanto pare, Issavi in carcere è stato torturato e per le inumane condizioni della cella ha contratto una pericolosa infezione, per la quale è stato successivamente curato in ospedale.
Fin da subito il pugno di ferro utilizzato dalle autorità aveva fatto pensare al peggio; di fatto non erano mancate le minacce di esecuzione rivolte al povero pastore, così l’improvvisa notizia del rilascio su cauzione ha fatto esultare di gioia i familiari e gli amici. Alla gioia, in questi casi, si abbina purtroppo la preoccupazione per le reazioni delle fazioni più estremiste, sempre pronte a punire brutalmente chi viene “macchiato” da un arresto per motivi religiosi, come nel caso di Issavi.
Ora Issavi e la sua famiglia attendono il processo.
Fuori dalla chiesa di Issavi è stata montata una telecamera, con la quale le autorità monitorano chi eventualmente entra o esce dall’edificio. Isfahan, dove è ubicata la chiesa, è una città vicina a Tehran con almeno 1,5 milioni di abitanti ed è scenario di quello che gli esperti non esitano a definire un netto peggioramento delle condizioni dei cristiani. A quanto pare i bersagli principali sono proprio i leader delle comunità, oggetto di vessazioni, discriminazioni, interrogatori, incarceramenti, accuse e torture, di vario genere.
Altri tre cristiani, Maryam Jalili, Mitra Zahmati, e Farzan Matin, arrestati durante una riunione il 24 dicembre 2009 in una casa a Varamin assieme ad altri 12 credenti, sono stati rilasciati il 17 marzo 2010, anche se i termini del loro rilascio non sono chiari.
Per approfondimenti sulla situazione in Iran, leggete Iran: analizziamo la situazione – dossier.
Fonte: Porte Aperte Italia
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