Il diritto nell’Evangelo che hanno coloro che annunziano l’Evangelo

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Siccome il comandamento relativo alla decima viene imposto da alcuni perché dicono: ‘Il pastore è dato interamente alla predi­cazione e all’insegnamento, non ha un lavoro secolare e quindi dobbiamo pagarlo’, vediamo come è giusto comportarsi sotto la grazia a tale riguardo.

I Leviti insegnavano al popolo la legge secondo che è scritto: “Essi insegnano i tuoi statuti a Giacobbe e la tua legge a Israe­le”,1 ed essi erano sostenuti dal popolo mediante le decime perché così Dio aveva stabilito per loro, infatti Egli disse: “E ai figliuoli di Levi io do come possesso tutte le decime in Israele in contraccambio del servizio che fanno”.2

Sotto la legge gli Israeliti dovevano pagare le decime delle loro entrate perché Dio le aveva prese per darle ai Leviti che faceva­no il servizio che Lui aveva ordinato loro di fare; questo dirit­to dei Leviti era nella legge di Mosè, la quale essi insegnavano al popolo; in altre parole essi vivevano di ciò che la legge prescriveva loro.

Ora, sotto la grazia, anche coloro che annunziano l’Evangelo, cioè i ministri del Vangelo, hanno un diritto, ma questo diritto è nell’Evangelo e non nella legge di Mosè, infatti è scritto: “Il Signore ha ordinato che coloro i quali annunziano l’Evangelo vivano dell’Evangelo”;3 fratelli, il Signore ha ordinato a quelli che annunziano il Vangelo di vivere del Vangelo, quindi di fare uso di questo diritto che loro hanno nel Vangelo. Vediamo ora che cosa dice il Vangelo a tale proposito.

Gesù, quando mandò i suoi dodici discepoli a predicare il Vangelo del Regno, disse loro: “Non fate provvisione né d’oro, né d’ar­gento, né di rame nelle vostre cinture, né di sacca da viaggio, né di due tuniche, né di calzari, né di bastone, perché l’operaio è degno del suo nutrimento”,4 e quando mandò i settanta disse loro: “Non portate né borsa, né sacca, né calzari, e non salutate alcuno per via. In qualunque casa sarete entrati, dite prima: Pace a questa casa! E se v’è quivi alcun figliuolo di pace, la vostra pace riposerà su lui; se no, ella tornerà a voi. Or dimo­rate in quella stessa casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l’operaio è degno della sua mercede”.5 Come potete vedere Gesù stesso ha detto che l’operaio del Signore è degno sia del suo nutrimento e sia della sua mercede, il che significa in altri termini che egli ha il diritto di mangiare e di bere e di ricevere uno stipendio in contraccambio del servizio che egli compie nella casa di Dio. Paolo, parlando degli anziani, ha confermato pienamente le parole del Signore infatti scrisse a Timoteo: “Gli anziani che tengono bene la presidenza, siano reputati degni di doppio onore, specialmente quelli che faticano nella predicazione e nell’insegnamento; poiché la Scrittura dice: Non mettere la museruola al bue che trebbia; e l’operaio è degno della sua mercede”6 (in questo caso Paolo per sostenere il diritto che gli anziani hanno nel Vangelo, ha citato un passo della legge di Mosè ed un passo del Vangelo). Notate che Paolo ha detto che gli anziani che faticano nella predicazione e nell’insegnamento sono degni di doppia mercede.

È naturale che se da un lato coloro che predicano il Vangelo e insegnano la Parola del Signore hanno questo diritto, dall’altro ci deve pur esser qualcuno che ha il dovere, secondo il Vangelo, di dare loro questo nutrimento e questa mercede, e questo qualcu­no è chi viene ammaestrato, difatti Paolo ai Galati disse: “Colui che viene ammaestrato nella Parola faccia parte di tutti i suoi beni a chi l’ammaestra”.7 Come potete vedere, è colui che riceve il beneficio del servigio del ministro del Vangelo che ha il dovere di fargli parte di tutti i suoi beni, e non solo di una parte di essi (come la decima parte, per esempio). Questo è con­fermato anche dalla Scrittura che dice: “Non mettere la museruola al bue che trebbia il grano”;8 infatti anche qui è chi riceve il beneficio dell’opera del bue che non deve mettere la museruola al bue che trebbia, affinché il bue possa mangiare una parte del grano che trebbia.

Il meccanismo è lo stesso di quello che c’era sotto la legge, la differenza sta nel fatto che sotto la grazia i credenti devono far parte di tutti i loro beni a coloro preposti dal Signore ad ammaestrarli, e non solo di una parte di essi (la decima); quin­di, nell’insieme, in una misura maggiore a quella che prescriveva la legge nei confronti dei Leviti.

È chiaro che se coloro che vengono ammaestrati nella Parola rifiutano di fare parte di tutti i loro beni a chi l’ammaestra, essi si rendono colpevoli di un peccato perché così facendo mettono la museruola al bue che trebbia il grano, in altre parole calpestano il diritto che chi insegna la Parola ha nel Vangelo.

Ricordatevi che sì gli anziani hanno dei doveri nei confronti della chiesa che essi pascono, ma anche che la chiesa ha i suoi doveri in verso gli anziani, uno dei quali è quello di provvedere alle loro necessità, affinché nulla manchi loro.

Quindi chi predica il Vangelo ha il diritto di ricevere uno stipendio dalla chiesa, ma badate che questo non significa che ha il diritto di imporre ai santi il pagamento della decima, perché lo stipendio che riceve deve essere formato da denaro offerto liberamente e allegramente dai santi, secondo che è scritto: “Dia ciascuno secondo che ha deliberato in cuore suo; non di mala voglia, né per forza perché Iddio ama un donatore allegro”,9 e non da denaro estorto ai santi facendo leva sul comandamento della decima (e la proclamazione della relativa benedizione di Dio su chi la dà, ma anche della relativa maledizione di Dio su chi non la dà) per costringerli a dare a tutti i costi quella determinata parte delle loro entrate (per la paura che essi diano meno della decima, e per assicurarsi così almeno le loro decime).

Vediamo ora cosa Paolo scrisse ai Corinzi a proposito del diritto nell’Evangelo che anche lui e Barnaba avevano, e perché lui e i suoi collaboratori rinunziarono a fare uso di questo diritto sulla chiesa di Corinto e su quella di Tessalonica.

Egli scrisse ai Corinzi: “Non abbiamo noi il diritto di mangiare e di bere?…O siamo soltanto io e Barnaba a non avere il diritto di non lavorare? Chi è mai che fa il soldato a sue proprie spese? Chi è che pianta una vigna e non ne mangia del frutto? O chi è che pasce un gregge e non si ciba del latte del gregge? Dico io queste cose secondo l’uomo? Non le dice anche la legge? Difatti, nella legge di Mosè è scritto: Non mettere la musoliera al bue che trebbia il grano. Forse che Dio si dà pensiero dei buoi? O non dice Egli così proprio per noi? Certo, per noi fu scritto così; perché chi ara deve arare con speranza; e chi trebbia il grano deve trebbiarlo colla speranza d’averne la sua parte. Se abbiamo seminato per voi i beni spirituali, è egli gran che se mietiamo i vostri beni materiali? Se altri hanno questo diritto su voi, non l’abbiamo noi molto più? Ma noi non abbiamo fatto uso di questo diritto; anzi sopportiamo ogni cosa, per non creare alcuno ostacolo all’Evangelo di Cristo. Non sapete voi che quelli i quali fanno il servigio sacro mangiano di quel che è offerto nel tempio? e che coloro i quali attendono all’altare, hanno parte all’altare? Così ancora, il Signore ha ordinato che coloro i quali annunziano l’Evangelo vivano dell’Evangelo”.10

Paolo ribadì ai Corinzi che lui e Barnaba avevano il diritto nell’Evangelo, ma anche che lui e i suoi collaboratori non fecero uso di questo loro diritto su di loro. Come uno non fa il soldato a sue proprie spese, perché egli viene pagato da chi lo ha arruo­lato; come chi pianta una vigna ha il diritto di mangiare del frutto della vigna; come chi pasce un gregge ha il diritto di cibarsi del latte del gregge; così, chi annunzia l’Evangelo se da un lato ha il dovere di seminare i beni spirituali dall’altro ha anche il diritto di mietere i beni materiali dei credenti. Questo diritto che hanno i ministri del Vangelo è confermato pure dalla legge che dice: “Non mettere la museruola al bue che trebbia il grano”;11 e che attesta che quelli che adempivano il loro sacro servigio nel tempio mangiavano di quello che veniva portato nel tempio in offerta a Dio, e che quelli che erano preposti a scan­nare gli animali per offrirli in sacrificio a Dio mangiavano di quelle cose che essi ponevano sull’altare.

Naturalmente, chi fa uso di questo diritto ha il diritto di non lavorare per darsi interamente alla predicazione ed all’insegna­mento della Parola di Dio.

Dopo avere detto ciò, bisogna dire la ragione per cui Paolo e i suoi collaboratori non fecero uso di questo diritto a Corinto; sì, perché Paolo, l’apostolo che poteva dire ai Corinzi: “Quand’anche aveste diecimila pedagoghi in Cristo, non avete però molti padri; perché sono io che vi ho generati in Cristo Gesù, mediante l’Evangelo”,12 non fece uso di questo suo diritto su loro.

Così lui spiegò questa sua rinuncia: “Ho spogliato altre chiese, prendendo da loro uno stipendio, per potere servire voi; e quan­do, durante il mio soggiorno fra voi, mi trovai nel bisogno, non fui d’aggravio a nessuno, perché i fratelli, venuti dalla Macedo­nia, supplirono al mio bisogno; e in ogni cosa mi sono astenuto e m’asterrò ancora dall’esservi d’aggravio. Com’è vero che la verità di Cristo è in me, questo vanto non mi sarà tolto nelle contrade dell’Acaia. Perché? Forse perché non v’amo? Lo sa Iddio. Ma quel che fo lo farò ancora per togliere ogni occasione a coloro che desiderano un’occasione; affinché in quello di cui si vantano siano trovati uguali a noi”.13

Nella chiesa di Corinto vi erano alcuni falsi apostoli che non erano d’aggravio alla chiesa e cercavano un’occasione per glo­riarsi contro Paolo, e Paolo, per togliere a costoro ogni occa­sione, decise di non essere d’aggravio alla Chiesa di Corinto (benché avesse il diritto di farlo) non valendosi del suo diritto nel Vangelo, e questo affinché, in quello di cui si vantavano (questi falsi apostoli si vantavano di non essere d’aggravio alla chiesa di Corinto) costoro fossero trovati uguali a Paolo ed ai suoi collaboratori.

La chiesa di Corinto non calpestò affatto il diritto nell’Evange­lo che Paolo aveva su di essa, perché fu Paolo a decidere di non fare uso di questo suo diritto a Corinto, e per questa sua deci­sione chiese loro di perdonarlo, infatti scrisse loro: “In che siete voi stati da meno delle altre chiese se non nel fatto che io stesso non vi sono stato d’aggravio? Perdonatemi questo torto”.14 Come potete ben capire, Paolo decidendo di non essere d’aggravio ai Corinzi, li mise, in questo, in una condizione d’inferiorità rispetto alle altre chiese alle quali invece era stato d’aggravio e perciò chiese loro di perdonargli questo torto.

Vorrei farvi notare che secondo quello che dice Luca, Paolo, a Corinto, in un primo tempo lavorò con le sue mani per provvedere alle sue necessità, infatti è scritto: “E siccome era del medesi­mo mestiere, dimorava con loro (con Aquila e Priscilla), e lavo­ravano; poiché, di mestiere, erano fabbricanti di tende”,15 ma in seguito, quando Sila e Timoteo lo raggiunsero a Corinto, egli smise di lavorare per darsi tutto alla predicazione, infatti è scritto: “Ma quando Sila e Timoteo furono venuti dalla Macedonia, Paolo si diè tutto quanto alla predicazione, testimoniando ai Giudei che Gesù era il Cristo”.16 Quando Paolo disse ai Corinzi: “E quando, durante il mio soggiorno fra voi, mi trovai nel bisogno, non fui d’aggravio a nessuno, perché i fratelli, venuti dalla Macedonia, supplirono al mio bisogno”,17 fece riferimento al secon­do periodo del suo soggiorno a Corinto, quando, benché lui avesse cessato di lavorare, Sila e Timoteo che erano venuti a lui dalla Macedonia, supplirono al bisogno nel quale si venne a trovare.

Anche a Tessalonica Paolo non si valse del suo diritto di non lavorare e ne spiegò la ragione ai Tessalonicesi in questi termi­ni: “Voi stessi sapete com’è che ci dovete imitare: perché noi non ci siamo condotti disordinatamente fra voi; né abbiamo man­giato gratuitamente il pane d’alcuno, ma con fatica e con pena abbiamo lavorato notte e giorno per non essere d’aggravio ad alcuno di voi. Non già che non abbiamo il diritto di farlo, ma abbiamo voluto darvi noi stessi ad esempio, perché c’imitaste”;18 Paolo, Silvano e Timoteo, non erano stati d’aggravio ai Tessalo­nicesi, ma non perché non ne avevano il diritto, ma perché non avevano voluto fare uso di questo loro diritto di non lavorare; essi lavorarono notte e giorno con le loro mani per dare loro stessi l’esempio in questo, onde i Tessalonicesi li imitassero. Essi, per evitare che qualcuno che non voleva lavorare, non vedendoli lavorare ma vedendoli solo predicare, si mettesse in testa che poteva non lavorare anche per affaccendarsi in cose vane, rinunciarono al loro diritto di non lavorare; loro furono disposti pure a fare questa rinuncia per non creare alcun ostaco­lo al Vangelo. Per questo Paolo disse ai Corinzi: “Ma noi non abbiamo fatto uso di questo diritto; anzi sopportiamo ogni cosa, per non creare alcun ostacolo all’Evangelo di Cristo”.19 Natural­mente Paolo ebbe una ricompensa da questo suo modo di agire che tenne sia in Corinto e sia a Tessalonica, infatti disse ai Corin­zi: “Qual’è dunque la mia ricompensa? Questa: che annunziando l’Evangelo, io offra l’Evangelo gratuitamente, senza valermi del mio diritto nell’Evangelo”.20

Badate che Paolo non sempre non si valse del suo diritto nel Vangelo, infatti lui prese uno stipendio da delle chiese dei santi per potere essere dato interamente alla predicazione; lui lo fa chiaramente capire quando dice, sempre ai Corinzi: “Ho spogliato altre chiese, prendendo da loro uno stipendio, per poter servire voi…”.21

Vediamo ora come Gesù, nei giorni della sua carne, dopo che lasciò il suo lavoro di falegname per mettersi a predicare l’Evangelo del Regno, fece uso di questo diritto che è nel Vange­lo, assieme ai suoi apostoli. Luca dice: “Ed avvenne in appresso che egli andava attorno di città in città e di villaggio in villaggio, predicando ed annunziando la Buona Novella del Regno di Dio; e con lui erano i dodici e certe donne che erano state guarite da spiriti maligni e da infermità: Maria, detta Maddale­na, dalla quale erano usciti sette demoni, e Giovanna, moglie di Cuza, amministratore d’Erode, e Susanna ed altre molte che assi­stevano Gesù ed i suoi coi loro beni”.22 Come potete vedere, pure Gesù fece uso del diritto di non lavorare per darsi interamente alla predicazione e all’insegnamento della Parola; pure il Mae­stro visse dell’Evangelo quando si mise a predicare il Vangelo di città in città e di villaggio in villaggio, infatti molte donne lo seguivano e assistevano sia lui che i suoi apostoli con i loro beni. Nel comportamento di quelle donne noi vediamo l’adempimento della Parola che dice: “Colui che viene ammaestrato nella Parola faccia parte di tutti i suoi beni a chi l’ammaestra”.23


1 Deut. 33:10

2 Num. 18:21

3 1 Cor. 9:14

4 Matt. 10:9,10

5 Luca 10:4-7

6 1 Tim. 5:17,18; Deut. 25:4; Luca 10:7

7 Gal. 6:6

8 Deut. 25:4

9 2 Cor. 9:7

10 1 Cor. 9:4,6-14

11 Deut. 25:4

12 1 Cor. 4:15

13 2 Cor. 11:8-12

14 2 Cor. 12:13

15 Atti 18:3

16 Atti 18:5

17 2 Cor. 11:9

18 2 Tess. 3:7-9

19 1 Cor. 9:12

20 1 Cor. 9:18

21 2 Cor. 11:8

22 Luca 8:1-3

23 Gal. 6:6