Ebrei d’Etiopia: Israele accoglierà in tre anni migliaia di Falasha

Gli ultimi ebrei d’Etiopia ammessi in Israele

di Giuseppe Caffulli | 29 novembre 2010

Una giovane falash mura.

 

 

(Milano) – Il governo d’Israele ha deciso di rompere gli indugi e di permettere finalmente l’aliya, il ritorno, degli ultimi Falash Mura nella Terra Promessa. «Abbiamo il dovere morale, come ebrei, di trovare una soluzione al loro problema», ha dichiarato il primo ministro Benjamin Netanyahu al termine della riunione del Gabinetto, il 14 novembre scorso. Grande peso nella decisione ha avuto il rabbino sefardita di Gerusalemme Shlomo Amar, che si è fatto carico di approvare la lista dei Falash Mura etiopi che godranno della «legge del ritorno»: 7.864 su 8.700 richiedenti. Costo complessivo dell’operazione, sostenuta finanziariamente dall’Agenzia ebraica, circa 7 milioni di dollari. Già 600 Falash Mura arriveranno a dicembre in Israele. Per i prossimi tre anni il flusso sarà regolato in maniera costante, al ritmo di 200 ingressi al mese. Al termine del triennio i campi di transito, vere e proprie baraccopoli, verranno smantellati e i terreni occupati restituiti alla municipalità di Gondar.

Le origini dei Falash si perdono nella notte dei tempi. Secondo alcuni studiosi sarebbero discendenti della tribù scomparsa di Dan, secondo altri pronipoti degli ebrei fuggiti in Egitto dopo la distruzione del primo tempio nel 586 a.C. Secondo altri ancora progenie di Salomone e della regina di Saba.

Una parte consistente (oltre 22 mila) di questi olim dalla faccia nera era già stata trasferita nel 1984, con un’operazione denominata Mosé e nel 1991, con l’Operazione Salomone. La decisione del governo israeliano di completare l’esodo del Falash Mura ha suscitato però le cristiche dei ministri economici, che lamentano la mancanza di risorse per far fronte alla nuova ondata di profughi. Oggi in Israele circa 50 mila Falash, su una popolazione di circa 120 mila, sono assistiti dallo Stato. L’integrazione si è rivelata più difficile del previsto per una popolazione abituata a vivere in un mondo diverso e lontano.

Secondo alcuni osservatori il trasferimento in massa si inquadra nella battaglia demografica che Israele sta portando avanti nei confronti della componente araba al suo interno, che ha un tasso di natalità superiore rispetto agli ebrei. In questa chiave la presenza degli olim d’Africa, seppur problematica, ha un suo ruolo da giocare.

 

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Svizzera – EPER: Aiuti a favore delle vittime della carestia in Etiopia

L’EPER, l’Opera di aiuto delle Chiese protestanti svizzere, ha stanziato 350.000 franchi per offrire un aiuto d’urgenza a favore delle vittime della carestia in Etiopia, dove più di undici milioni di persone soffrono la fame. Le ripetute siccità sono all’origine della mancanza di cibo, soprattutto nel sud del paese. Questa situazione d’urgenza è rafforzata dal forte aumento dei prezzi sul mercato che rendono proibitivi i generi alimentari. Il progetto si svilupperà dal mese di agosto al mese di ottobre 2008, periodo considerato critico dal punto di vista dei bisogni della popolazione. L’EPER opera in collaborazione con l’organizzazione locale OSHO (Oromo Selbst-Hilfe Organisation) nella regione prioritaria di Borena. Nei prossimi mesi saranno distribuiti dei pacchi di cibo alle persone nel bisogno – 15 kg. di mais, 1 kg e mezzo di lenticchie e mezzo litro d’olio. Queste quantità sono sufficienti per permettere alle famiglie di sopravvivere durante il periodo critico dei prossimi tre mesi. Inoltre, saranno distribuiti 1.800 attrezzi quali pale e picconi. E’ pianificata la costruzione di quattro bacini di ritenuta delle acque che si faranno in collaborazione con gli abitanti dei villaggi interessati.

Fonte: ProtestInfo

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Etiopia: brutali attacchi alle chiese cristiane

Le autorità giudiziarie hanno rilasciato un importante funzionario locale accusato di avere istigato attacchi brutali alle chiese che il mese scorso hanno provocato la morte di un cristiano e 17 feriti.

I cristiani indigeni hanno confermato che Hussein Beriso, membro del Consiglio Distrettuale Nensebo, è stato rilasciato su cauzione per ordine di un tribunale della regione di Oromo, Etiopia meridionale. Secondo fonti locali, altri 20 musulmani arrestati per sospetto coinvolgimento negli assalti con machete ai danni di due chiese del villaggio Nensebo Chebi il 2 marzo rimangono in carcere.

Quattro dei sospettati avrebbero confessato di aver preso parte all’assassinio di Tula Mosisa, 45 anni e al ferimento di altri 17 credenti negli attacchi da loro pianificati contro le chiese battiste di Kale Hiwot e Birhane Wongel a Nensebo Chebi.

I cristiani locali sono certi che Beriso era personalmente coinvolto nell’acquisto e nella distribuzione dei machete ai musulmani coinvolti negli attacchi simultanei, avvenuti durante i culti domenicali in due villaggi.

Affermano inoltre di avere sentito alcune sue pubbliche dichiarazioni a febbraio contro i cristiani, che invitavano i musulmani locali a resistere ad ogni tentativo di persuasione a lasciare l’islam. (CD).

Fonte: Porte Aperte, 158, maggio-giugno 2008, pag. 12

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Cristiani attaccati in Etiopia: quattro morti, settanta feriti e centinaia di persone in fuga

Lo scorso 3 marzo, dei cristiani riuniti in diverse chiese del sud dell’Etiopia sono stati attaccati da centinaia di uomini armati di machete e randelli. Gli uomini sono entrati dalle finestre aperte ed hanno barricato le porte. Tre missionari sono stati ritrovati morti, un’altra persona è deceduta il 9 marzo e settanta sono rimaste ferite. Centinaia di persone sono fuggite dalla regione e sono state accolte da dei cristiani in altre città.
A detta delle organizzazioni cristiane locali i motivi esatti di questi attacchi rimangono ignoti.

Fonte: Christianisme Aujourd’hui /ANS – riprodotto con autorizzazione

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Il padre di Myriam era un evangelista. È stato assassinato da degli estremisti perché non esitava ad annunciare l’amore di Cristo intorno a sé. Myriam ha trovato rifugio dai suoi nonni in una regione montagnosa dell’Etiopia. Vive con sua madre e i suoi sei giovani fratelli e sorelle. È lì che noi siamo andati a farle visita e che dall’alto dei suoi 12 anni ci ha condiviso il suo coraggio e la sua fede: “quando i miei fratelli e sorelle mi parlano di papà, gli dico di non preoccuparsi perché Dio è con noi. Ma non sono sicura che essi comprendano”.

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