Ieri (7 Settembre 2000), ho avuto l’occasione di ascoltare un uomo condannato a morte nello stato americano della Virginia per omicidio, la sua condanna dovrebbe essere eseguita fra pochi giorni. Ora, a prescindere dal fatto se sia o meno colpevole di avere commesso quel crimine (lui comunque afferma di essere innocente), lui ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere che è questa. Ad una specifica domanda ha detto che se lui sopravvivrà lui apparterrà a tutte quelle persone – e sono molte – che sia negli Stati Uniti che fuori da essi si sono schierati a suo favore affinché il governatore della Virginia annullasse la condanna a morte nei suoi confronti.
Al sentire quelle parole mi sono ricordato che anche noi un tempo eravamo dei condannati a morte (e giustamente perché ubbidivamo alle voglie della carne ed eravamo servi di svariate concupiscenze), ma non ad una morte fisica ma ad una morte peggiore cioè alla morte seconda che è lo stagno ardente di fuoco e di zolfo (cfr. Apoc. 21:8), ma il Signore Gesù Cristo nella sua misericordia ci ha salvati da questa infame e terribile sorte e questo lo ha fatto morendo sulla croce e risuscitando per noi. Noi dunque ora non apparteniamo più a noi stessi ma – come dice Paolo – “a Colui che è resuscitato dai morti e questo affinché portiamo del frutto a Dio” (Rom. 7:4). Questo concetto è spiegato sempre da Paolo ai Corinzi quando dice: “Egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per loro stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Cor. 5:15). Tenendo quindi presente quello che ci dice la Parola di Dio, viviamo la nostra esistenza terrena mettendo le nostre energie, le nostre capacità, i nostri mezzi al servizio del Signore; Lui ne è degno, ci ha salvati dalla perdizione eterna. A Lui sia la gloria ora e in eterno. Amen.