“La jihad è una forma di persecuzione dei cristiani”

E’ una splendida mattinata. Jummai apre la porta della sua bottega di abbigliamento a Dutse, una città nello stato federato di Jigawa, nel nord della Nigeria. Per lei sarà un giorno fatale, ma non lo intuisce ancora.

Jummai è membro della “Comunità della fede viva” a Dutse. Pur costituendo meno del 20% della popolazione della città, i cristiani hanno la libertà di andare in chiesa e di riunirsi per cantare e pregare.
E’ il 18 settembre 2006. Quella mattina una donna musulmana chiamata Binta entra nella bottega. Nasce una conversazione inizialmente bonaria. A un tratto la musulmana esclama: “Sicuramente Gesù deve essere stato un alcolizzato, perché ha addirittura cambiato l’acqua in vino!” Jummai risponde arrabbiata: “Allora Maometto deve essere stato un donnaiolo, visto che aveva tante mogli”.
Il colloquio comincia a degenerare. Diverse persone nella strada si accorgono del battibecco e accorrono nella bottega, anche il commissario Isa Dauda della polizia. Egli fa altre osservazioni offensive su Cristo, dopo di che Jummai ribatte: “Cristo è risorto dalla morte, ma Maometto non è stato capace di farlo, perché è ancora chiuso nella sua tomba”.

“Tensioni religiose”
Gli astanti diffondono le voci su Jummai in tutta la città. Si comincia ad asserire che lei abbia bestemmiato Maometto. “Merita la morte”, dicono. Nel frattempo Jummai viene condotta da Turakin Dutse, consigliere dell’emiro che è un supremo leader musulmano della città.
Tutta la città accorre. Gruppi di musulmani furibondi esigono la morte di Jummai. Quel pomeriggio la negoziante cristiana viene arrestata e trattenuta in carcere dalla polizia con l’accusa di aver provocato “tensioni religiose”.
Nel corso di pochi giorni l’odio degli attivisti islamici contro i cristiani cresce ulteriormente, non tanto per le parole di Jummai quanto per gli accenni che il papa Benedetto XVI l’estate scorsa aveva fatto sull’islam. Infatti, il battibecco fra Binta e Jummai è solo la goccia che fa traboccare il vaso. Gli estremisti islamici non riescono più a trattenersi, ora che hanno un pretesto per scagliarsi fisicamente contro i cristiani.
Due giorni dopo i musulmani cominciano a saccheggiare i negozi e le case dei cristiani. Incendiano quattordici chiese e feriscono almeno sei cristiani. In un solo giorno duemila cristiani restano senzatetto. La polizia non interviene.
Il vescovo Lumu commenta: “Si dice che la nostra nazione sia un paese con libertà religiosa, ma i fondamentalisti islamici distruggono le chiese mentre la polizia e i leader musulmani stanno lì a guardare”. Anche Hamidu Samaila Gimba, pastore della Chiesa Evangelica dell’Africa Occidentale, è testimone dell’accaduto. “Alcuni pastori hanno avvertito il commissario di polizia che la loro chiesa era in fiamme, ma lui ha rifiutato di aiutarli”.
Il commissario va ancora oltre, perché proibisce ai suoi agenti cristiani di intervenire. I cristiani accorrono all’ufficio di polizia e chiedono alle autorità di impedire che vengano incendiate le loro chiese, ma invano. I poliziotti cristiani sono costretti a guardare impotenti le aggressioni ai loro fratelli di fede.

Un miracolo
Yakabu, un poliziotto cristiano, decide di intervenire e arresta uno dei leader dei fondamentalisti islamici. In seguito il commissario Isa Dauda arresta Yakabu e lo consegna nelle mani degli estremisti furibondi. Questi trascinano Yakabu alla casa dell’emiro dove viene minacciato di morte. Può salvarsi la vita soltanto rinnegando la sua fede cristiana. Sotto gli sguardi dei suoi aguzzini deve inginocchiarsi e recitare la preghiera musulmana.
Alcuni poliziotti coraggiosi salvano la famiglia di un leader cristiano in modo miracoloso. “Non abbiamo chiesto aiuto, ma otto agenti cristiani hanno portato via me e i miei cari. Inoltre hanno salvato quindici allievi della nostra scuola. Alcuni minuti dopo sono arrivati i fondamentalisti islamici e hanno incendiato la chiesa, la mia casa e quella del mio collega. E’ un miracolo se siamo sopravvissuti.”

Spostamento forzato
Dopo le violenze a Dutse le autorità locali costringono i leader cristiani a spostare le loro chiese fuori città. I cristiani vengono incitati a stabilirsi fuori dal centro abitato. I responsabili cristiani protestano: “Questa è la politica dell’apartheid. Come cittadini della Nigeria abbiamo il diritto di confessare liberamente la nostra fede. La Costituzione ci autorizza”. Purtroppo, parlano al vento. Questi trasferimenti forzati sono una forma di jihad (guerra santa) contro i cristiani. La jihad non si manifesta soltanto nei combattimenti, ma anche nel divieto di costruire chiese, nella demolizione dei locali di culto e in ogni tipo di persecuzione contro i cristiani.
Secondo la versione ufficiale sono state le parole di Jummai, la negoziante cristiana, a provocare le sommosse. Fino a oggi nessuno sa dove sia finita né se sia ancora viva.

Articolo tratto dalle pagg. 5 e 6 del numero 147. marzo 2007 del periodico mensile Porte Aperte.

Articolo inviatomi via e-mail dal fratello Stefano Sambataro

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