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La vita eterna ce la si deve guadagnare.
Quando si parla della salvezza anche con i Cattolici romani si parla molto della salvezza dall’inferno, ma su di essa – come ben sapete – non ci si trova per nulla d’accordo con loro. Noi infatti diciamo loro che per la grazia di Dio abbiamo (o possediamo) la vita eterna e che perciò quando moriremo andremo subito in paradiso con Gesù, mentre loro ci rispondono dicendo che non sono sicuri di andare in paradiso ma che stanno facendo del loro meglio per guadagnarselo.[1] E difatti essi si esprimono quasi sempre in questi termini: ‘La vita eterna ce la si deve guadagnare!’. Ma perché parlano in questa maniera? Semplice, perché i loro preti gli insegnano che il paradiso se lo devono guadagnare. Vediamo da vicino alcuni di questi insegnamenti che vengono loro rivolti: ‘Dio dà il Paradiso ai buoni (…) Coll’essere buoni noi, colle sole nostre forze naturali, non potremmo meritare il Paradiso; lo meritiamo colla grazia che Dio ci ha conferito nel Battesimo, per la quale le nostre buone opere acquistano merito pel Paradiso (….) Ognuno attende con tanti sacrifici e lavori a farsi un buon stato quaggiù, a guadagnare beni incerti, che poi si possono perdere da un giorno all’altro, che non possono mai rendere felice nessuno poiché non appagano il cuore, e che, in ogni modo, bisogna abbandonare presto per la morte. Pensate invece, prima di tutto, a guadagnarvi il Paradiso’;[2] ‘Perciò in grazia della speranza noi aspettiamo dal Signore la vita eterna e tutte le grazie necessarie per meritarla quaggiù; ma per meritarla in qual modo? Con le buone opere’;[3] ‘Speriamo di salvarci perché Dio ci vuole salvi, e noi vogliamo, da parte nostra, fare ciò che é necessario per salvarci, e cioè, come diciamo nell’atto di speranza, speriamo da Dio ‘la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere che io debbo e voglio fare’;[4] ‘Le opere buone sono assolutamente necessarie per conseguire la salute eterna; in altre parole, non basta la fede, non basta credere per salvarsi’;[5] ‘Ma non bastano a salvarci i meriti infiniti di Gesù Cristo? Non bastano, non perché essi non abbiano valore sufficiente, ma perché Gesù Cristo stesso ha voluto il concorso e la cooperazione delle nostre opere buone, perché per applicarcene il merito, vuole che noi sentiamo e vogliamo in unione a Lui, perché ha voluto che noi praticassimo il Vangelo e vivessimo la vita cristiana’.[6] Questi insegnamenti sono in pieno accordo con il seguente decreto del concilio di Trento: ‘Perciò a quelli che operano bene fino alla fine e sperano in Dio deve proporsi la vita eterna, sia come grazia promessa misericordiosamente ai figli di Dio, per i meriti del Cristo Gesù, sia come ricompensa da darsi fedelmente, per la promessa di Dio stesso, alle loro opere buone e ai loro meriti’.[7]
A proposito del valore del merito delle opere buone i teologi papisti fanno una distinzione tra azione meritoria di premio per convenienza, cioè de congruo; e azione meritoria per giustizia, cioè de condigno. Facciamo un esempio per spiegare questa loro particolare distinzione; un uomo salva da morte certa un suo consimile, in questo caso egli è meritorio di una medaglia, cioè di un premio, de congruo; un operaio lavora presso qualcuno per un mese e alla fine del mese va a riscuotere il salario, in questo caso egli riceve la mercede per giustizia, cioè de condigno. Con questo discorso essi vogliono fare capire come la vita eterna è dovuta da Dio per giustizia, cioè de condigno a colui che fa opere buone. Perciò, per loro, le preghiere, le elemosine, i digiuni, sono meritevoli, mediante la grazia, della vita eterna. Il cardinale Bellarmino affermò per esempio: ‘Con le divine Scritture si prova, che le opere dei giusti son meritorie della vita eterna… Il primo argomento adunque si ricava da quei luoghi, ove la vita eterna è detta mercede; poiché, se è mercede, le opere buone, a cui essa si dà, certo sono meriti. Le opere buone dei giusti son meritorie ex condigno, non solo in ragione del patto, ma anche in ragione delle opere… Poiché Iddio rimunera le opere buone per mera liberalità ex condigno, ciò affermano tutti i teologi, come si rileva da S. Tommaso, S. Bonaventura, Scoto, Durando ed altri, in 4 sent. dist. 46’.[8]
[1] Va detto però che i Cattolici romani quantunque dicano che stanno guadagnandosi il paradiso, alla fine devono andare sempre nel purgatorio (che è un luogo di tormento per loro) perché per loro in cielo ci vanno subito solo i santi, cioè coloro che sono puri da ogni macchia, e loro dato che non lo sono, perché dicono di essere dei poveri peccatori, devono prima andarsi a purgare dalle loro colpe in purgatorio per potere poi accedere puri da ogni scoria in paradiso.↩
[2] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 57-58↩
[3] Ibid., pag. 381↩
[4] Ibid., pag. 245↩
[5] Ibid., pag. 381↩
[6] Ibid., pag. 383↩
[7] Concilio di Trento, Sess. VI, cap. XVI↩
[8] Bellarmino, De Justif., lib. V, cap. 3, 17 e 18↩