PAKISTAN: La storia di Azra Bibi

Proprio come per gli ebrei al tempo di Mosè, molti cristiani sono ancora oggi costretti a costruire mattoni per i propri oppressori. Oggi, questo antico modello di schiavitù è in funzione in Pakistan.

In Pakistan, molte persone come Azra Bibi portano il doppio fardello della povertà e della persecuzione.
Azra, 20 anni, è nata nella fabbrica di mattoni Malik Saleem. La sua famiglia, gli unici cristiani in questa comunità musulmana, passava ogni giorno in questo lavoro durissimo fabbricando centinaia di mattoni.

“Io non ho ricevuto una educazione. Mi piaceva vedere gli altri bambini andare a scuola. Volevo diventare un insegnante della Parola di Dio, ma mia madre guadagnava meno di un euro al giorno. Mio padre morì, e vivevamo di stenti.

Un giorno decisi di aiutare mia madre. Le chiesi: “Mamma, mi insegni a fare i mattoni?”.
Avevo sette anni quando fabbricai il mio primo mattone. Insieme fabbricavamo 1.000 mattoni al giorno. Al venerdì mia madre e io andavamo al mercato per comprare le cose di prima necessità. Qualche volta potevo anche comprarmi dei fermagli per i capelli”.

Il proprietario della fabbrica di mattoni non ci permetteva di andare in chiesa, così mia madre gli diceva: “Andiamo a fare visita ai parenti”; oppure: “Andiamo al mercato”.
Anche se non potevamo sgattaiolare in chiesa ogni domenica, ogni mattina e ogni sera mia madre e io pregavamo. Cantavamo canzoni di lode e adorazione ascoltando le cassette.
Ai vicini non piaceva mai quando cantavamo le canzoni cristiane e cercavano sempre di farci smettere. Hanno provato a offrirci molte cose, cercando di farci convertire all’Islam.
Mamma rifiutava fermamente tutte le loro offerte, dicendo loro: “Ho Gesù nel mio cuore. Non ho bisogno di nient’altro”.
Mia madre aveva solo un’amica musulmana: Kershed Bibi. Aveva un animo gentile e ci incoraggiava sempre.

Un giorno mia madre mi chiese: “Azra, per favore, prendi della farina e facciamo del chapatti (pane pakistano)”.
Andammo al forno del villaggio e incontrammo Mai Jana, una vecchia signora musulmana che lavorava al forno. Quando ci vide, diventò molto aggressiva e disse: “Voi cagne cristiane, prendete la vostra farina e andate via di qui. Il vostro profeta era un cane Ebreo”.
Mia madre si arrabbiò molto e rispose: “Puoi chiamarmi cagna cristiana, ma non chiamare mai il nostro profeta con queste parole”.
Mai Jana si alzò e cominciò a picchiare mia madre. Altre donne si unirono a lei. La picchiarono molto ferocemente fino a che cominciò a sanguinare. Picchiarono anche me.
Entrambe portavamo una piccola croce, che le donne musulmane ci strapparono dal collo. Alcuni uomini musulmani arrivarono e ci portarono nell’ufficio di Malik Saleen Kho- khar, il padrone della fabbrica di mattoni.
Lui era furibondo, ci insultò pesantemente e ci rinchiuse in una stanza.

Mia madre e io eravamo sole in quella stanza, abbracciate insieme e piangevamo: “Oh Signore, perché è accaduto questo?”.
Mia madre disse: “Oh Dio, Gesù è tuo figlio. lo lo amo”.
Erano circa le dieci di sera quando il padrone della fabbrica di mattoni fece chiamare mia madre. Il suo assistente, Muhammad Akram, la portò via.

Mamma non tornò mai più indietro. Ho pianto e pregato tutta la notte. Per dieci giorni sono stata rinchiusa in quella stanza.
L’amica di mia madre, Kershed Bibi, fu autorizzata a portarmi da mangiare. Fu lei che mi diede la terribile notizia.
Disse: “È come se tu fossi mia figlia. Non so come dirti queste cose. Tua madre non è più in questo mondo ora. Azra non piangere, ma prega il tuo Dio”.
Ero sconvolta e cominciai a piangere quando lei mi raccontò cosa era successo: “La notte che Muhammad Akram portò tua madre dal proprietario della fabbrica di mattoni, loro l’hanno violentata e poi tagliata a pezzi e hanno bruciato il suo corpo nella fornace della fabbrica”.
Io piangevo e gemevo. Ero sola al mondo.

Due giorni dopo, Muhammad Akram, uno dei due aguzzini di mia madre, mi portò in un altro luogo. Mi chiuse dentro una stanza di una grande casa, sorvegliata da una guardia armata. Dopo un po’ è entrato nella stanza e ha cominciato a farmi delle proposte.
Io ho pianto. Ho giunto le mie mani in preghiera di fronte a lui e l’ho scongiurato di fermarsi, ma lui mi ha violentata.
Quando se n’è andato ho pregato: “Oh Signore, sarà buono se mi chiami a casa, almeno ti potrò vedere. Starò con te e riposerò in pace. Gesù, voglio venire a te. Ti prego portami a casa”.

Volevo morire. Muhammad Akram veniva spesso nella mia stanza. Continuava a tentare di convertirmi all’Islam. Io gli dicevo: “Il mio Dio è un Dio vivente. Come posso lasciare il Dio che vive e accettare la vostra fede?”.
Così decise di obbligarmi a sposarlo. Lui e il proprietario della fabbrica pianificarono così il giorno del mio matrimonio per venerdì 26 maggio 2006.
Pregavo giorno e notte chiedendo al mio Gesù: “Ti prego mandami un angelo. Chi può liberarmi da queste catene?”.
Dopo sette mesi, Dio rispose alle mie preghiere. Avevo sentito che qualcuno era venuto e chiedeva di me.
Muhammad Akram ora era preoccupato di perdermi come moglie. Lui mi disse: “Dì a quella gente che ora sei musulmana e che non vuoi andare via con loro”.
Il proprietario della fabbrica di mattoni mi chiamò nel suo ufficio. C’erano delle persone con lui, incluso il pastore.
Dopo una lunga conversazione, il padrone decise di rilasciarmi se loro avessero pagato l’ammontare del mio debito, che era di quasi mille euro.
Il giorno successivo, il 26 maggio, il giorno nel quale avrebbe dovuto aver luogo il mio matrimonio, il pastore venne con i soldi. Pagarono i soldi al proprietario della fabbrica, ma Muhammad Akram era molto arrabbiato.
Picchiò e insultò il pastore, ma ugualmente io venni liberata.

Che gran momento! Gridai di fronte al mio Dio: “Sono stata rilasciata! Sono libera! Posso andare dovunque voglio! Oh Gesù, ti ringrazio. Oh mio meraviglioso Signore, tu hai ascoltato le mie preghiere”. In quel momento piansi, anche perché mi mancava molto mia madre.
Uno dei fratelli cristiani della Missione per la Chiesa Perseguitata mi ha portato nella sua casa. Sua moglie era molto felice di vedermi.
Anche se non ho avuto fratelli e sorelle, Dio mi ha dato una famiglia fantastica. Prego nel mio cuore per tutte queste persone che mi hanno aiutato, mi hanno salvato e mi hanno protetto.
Che Dio possa benedirli e incoraggiarli a fare ancora di più per il Suo regno.

Fonte: IncontrareGesù.it/Notiziario ICA

Nella foto: Azra Bibi

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