di Nir Hasson
Negli ultimi due mesi e mezzo Tania Treiger, conservatrice presso l’Israel Antiquities Authority, è rimasta china su un pezzetto di pergamena di circa 20 cm quadrati. Tutto è cominciato con un esame microscopico del frammento per valutarne le condizioni ed è poi continuato con il posizionamento di una carta speciale sul manoscritto, per rimuovere molto lentamente il nastro adesivo applicato negli anni ‘70.
Treiger, i cui strumenti consistono in cotton-fioc, pinzette e molta pazienza, è una delle quattro “guardiane” dei Rotoli del Mar Morto. Queste quattro donne, tutte originarie dell’ex-Unione Sovietica, sono le sole persone al mondo a cui è permesso toccare i Rotoli.
I primi Rotoli del Mar Morto, una delle più importanti scoperte archeologiche del mondo, vennero scoperti versa la metà degli anni ‘40 nella regione del Mar Morto, e da allora hanno sempre fatto notizia. A metà gennaio il quotidiano israeliano Maariv riportava che la Israel Antiquities Authority stava decidendo di non mandare più i Rotoli nelle mostre all’estero per timore di complicazioni legali, dopo che il governo di Amman aveva avanzato la richiesta che Israele consegnasse i Rotoli alla Giordania. Nel 1967, durante la guerra dei sei giorni, i giordani tentarono di portar via i Rotoli dal Rockefeller Museum di Gerusalemme e di trasportarli in Giordania, ma Israele entrò a Gerusalemme est prima che questo potesse accadere, e trovò i Rotoli nei depositi del museo.
La pretesa giordana non può comunque estendersi ai celeberrimi sette Rotoli completi, acquistati dal prof. Eliezer Sukenik e da suo figlio, l’ex capo di stato maggiore e archeologo israeliano Yigael Yadin. La rivendicazione riguarda casomai le decine di migliaia di frammenti scoperti dagli archeologi negli anni ’50. Sono pezzi appartenenti a circa 900 opere diverse, scritte – per lo più in ebraico, alcuni in aramaico – in un periodo di circa trent’anni anni verso la fine del periodo del Secondo Tempio.
Tuttavia, senza il lavoro delle quattro israeliane nel laboratorio di conservazione, Israele e Giordania tra pochi anni non avrebbero più nulla da contendersi. Errori fatti probabilmente in buona fede nell’immagazzinare i Rotoli (sotto i giordani) hanno portato nel corso degli anni al loro deterioramento e persino alla loro parziale disintegrazione. Oggi Treiger e le sue colleghe sono impegnate in una battaglia senza soste contro ogni possibile agente dannoso per questi tesori antichi di duemila anni, come luce, calore e sostanze chimiche.
Alla supervisione dei lavori c’è Pnina Shor, capo del settore Trattamento e Conservazione Manufatti dell’Israel Antiquities Authority. Shor sarà presto il primo direttore di una unità speciale che gestirà tutto il lavoro sui Rotoli del Mar Morto. “Non c’è al mondo un’altra collezione come questa, con tali problemi e tale importanza”, spiega.
I Rotoli, che risalgono al periodo tra il 300 a.e.v. e il 70 e.v, sono sopravvissuti incredibilmente bene nell’atmosfera secca delle cave di Qumran, sulla riva nord-occidentale del Mar Morto. I primi studiosi dei Rotoli, un consorzio internazionale di otto ricercatori, cercarono di mettere insieme i frammenti come meglio poterono. “Erano geni che fecero un lavoro incredibile, ma non erano consapevoli delle esigenze fisiche del materiale”, dice Shor. Usando il nastro adesivo, attaccavano insieme quelli che ritenevano essere frammenti collegati fra loro e li ponevano fra due lastre di vetro. Quegli studiosi crearono un totale di 1.276 lastre di questo genere. Ma il nastro adesivo, un’invenzione stupefacente negli anni ’50, si rivelò una catastrofe per i Rotoli dal punto di vista della conservazione. I prodotti chimici contenuti nell’adesivo corrosero il materiale organico, macchiandolo e cancellando alcune lettere. In seguito anche altri studiosi causarono dei danni. Negli anni ‘70 cominciarono a unire i frammenti usando carta di riso e material plastico, il che provocò ulteriori danni. Fortunatamente questo processo venne arrestato e la maggior parte dei frammenti rimase all’interno delle lastre di vetro.
Il progetto di conservazione dei Rotoli ha avuto inizio nel 1991 sotto gli auspici della Israel Antiquities Authority. Un comitato internazionale di esperti ha stabilito un protocollo, tutt’ora in vigore, per il lavoro sui Rotoli nel laboratorio istituito a quello scopo. In vent’anni è stata restaurata circa la metà dei Rotoli. La maggior parte del lavoro sui Rotoli è pazientemente meccanico – raschiare attentamente usando coltellino e pinzette – con l’uso di qualche prodotto chimico leggero. Il premio è la rivelazione di parole e lettere scritte ai tempi del Secondo Tempio.
Al tavolo di fronte a Treiger c’è la postazione di lavoro di Asia Vexler. Lei in realtà è in pensione, ma il laboratorio non potrebbe fare a meno della sua incredibile abilità nel trattare i frammenti più problematici, quelli dei filatteri trovati a Qumran. I Rotoli dei filatteri sono scritti in lettere minuscole su frammenti a volte non più grandi di pochi millimetri. Così hanno chiesto a Vexler di continuare a venire una volta alla settimana. Gli ultimi quindici giorni lavorativi li ha trascorsi staccando pochi millimetri di strisce adesive da un piccolo segmento inscritto. Alla domanda quali strumenti usi nel suo lavoro, Vexler dice: “Ho le mie mani, la mia natura, posso fare le cose con molta precisione”.
“È una grande responsabilità e a volte mette paura” dice Tanya Bitler, un’altra conservatrice che al momento sta lavorando su un frammento relativamente grande, circa 10 cm per 10, che è uno degli scritti settari, sconosciuti prima della scoperta dei Rotoli del Mar Morto.
Shor ha recentemente cominciato a considerare criticamente il lavoro dell’unità. “Lavoriamo da vent’anni e vogliamo essere sicuri che non stiamo facendo altri danni”, spiega. Shor ha consultato a Roma l’Istituto Centrale per la patologia del libro. Quando gli scienziati hanno chiesto un pezzo di pelle di capra su cui fare dei test, non ne trovava nessuno: gli scribi odierni di rotoli della Torah usano pelle di vacca. Finalmente fu trovato uno scriba di Torah haredi, a Gerusalemme, che lavora con pelle di capra, e questi poté di fornire il materiale necessario.
La digitalizzazione dei Rotoli, in preparazione da tre anni, dovrebbe cominciare fra circa sei mesi. Il progetto, il cui costo è valutato in oltre 5 milioni di dollari, farà uso di speciali tecniche fotografiche, tra cui fotografia a infrarossi e a pieno spettro che dovrebbero anch’esse rivelare lettere nascoste. L’intento del progetto, che durerà cinque anni, è quello di mettere tutto su internet cosicché gli studiosi di tutto il mondo possano partecipare al puzzle più grande di tutti: mettere insieme decine di migliaia di frammenti di circa 900 composizioni diverse. “I Rotoli sono sopravvissuti per duemila anni, il nostro scopo è che sopravvivano per altri duemila, e poi dayenu [ci basterà]”, conclude Shor.
(Da: Ha’aretz, 22.01.10)
Fonte: Israele.net
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