La Massoneria smascherata – Indice > L’ombra della massoneria sulle Assemblee di Dio in Italia (ADI) > Massoni e amici della Massoneria nei rapporti tra ADI e Governo Italiano > Luigi Preti, deputato massone, referente politico e portavoce delle istanze delle ADI al Parlamento
Abbiamo già parlato del socialista Luigi Preti (1914-2009), in occasione della scissione del Partito Socialista del gennaio 1947 quando come abbiamo visto fu tra coloro che seguirono Saragat nella scissione (provocata dalla Massoneria) e nella consequenziale nascita del PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani), che poi diventerà PSDI; e in occasione delle discussioni sull’articolo 19 – che assicura la libertà religiosa alle minoranze religiose – dell’Assemblea Costituente quando lui intervenne in una seduta del Marzo 1947 e in quell’intervento parlò a favore dei Pentecostali (parole che sinceramente parevano dettate da Frank Gigliotti!).
Luigi Preti, lo ripetiamo, era un massone. Nel libro I Massoni in Italia infatti leggiamo: ‘Anche a piazza del Gesù, come in tutte le massonerie del mondo, esisteva una loggia coperta, destinata a riunire i fratelli più in vista. Si chiamava Giustizia e Libertà [….]. Da qualche anno la Giustizia e Libertà era stata affidata a Giorgio Ciarrocca, direttore centrale della Rai, libero docente all’università di Roma. In quel forziere Ciarrocca aveva concentrato un materiale di primissima scelta. Franziskus König, arcivescovo di Vienna e cardinale, tra i prelati. Tra i politici: Giacinto Bosco, Marcello Simonacci, Eugenio Gatto, democristiani; Luigi Preti, socialdemocratico e perfino il dirigente comunista, speranza del partito, Gianni Cervetti.’ (Roberto Fabiani, I Massoni in Italia, pag. 130-131).
Luigi Preti, dopo il 1947 continuò a perorare la causa delle ADI nel tempo, infatti il 28 ottobre 1952 (quindi alcuni mesi dopo che le ADI avevano presentato il loro ricorso al Consiglio di Stato contro il Ministero dell’Interno) in un suo intervento al Parlamento perorò anche lì la causa delle ADI.
Inquadriamo la circostanza in cui Luigi Preti parlò. ‘Nei giorni 28 e 29 ottobre 1952 si svolge in Assemblea la discussione sullo stato di previsione della spesa del Ministero dell’interno per l’esercizio finanziario 1952-1953 (C. n. 2965). Nella seduta pomeridiana del 28 ottobre Preti affronta in particolare la questione delle minoranze religiose, sottolineando la necessità di abolire le remore frapposte dal regio decreto 28 febbraio 1930, n. 289 («Norme per l’attuazione della legge 24 giugno 1929, n. 1159, sui culti ammessi nello Stato e per coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato» ) all’esercizio dei culti non cattolici, in armonia col principio costituzionale della libertà di religione. Il provvedimento diverrà la legge 31 ottobre 1952, n. 1332.’ (Luigi Preti: discorsi parlamentari 1947-1987, Camera dei Deputati, a cura di Angelo G. Sabatini, Roma 2010, pag. 283).
Ecco le parole di Preti:
‘Le vicende della confessione pentecostale costituiscono il caso più noto di persecuzione religiosa. Nel 1931, la Chiesa pentecostale chiedeva e otteneva di essere «ammessa nel regno», ma successivamente una circolare del 1935 dava istruzioni ai prefetti, perché i gruppi pentecostali venissero sciolti e perché non fosse più ammesso il culto, considerato contrario all’ordine sociale e addirittura «nocivo all’integrità psichica e fisica della razza».
Ebbene, anche facendo riferimento alle disposizioni legislative fasciste, un culto si poteva proibire solamente per motivi di ordine pubblico e non per motivi di ordine sociale! Addirittura paradossale era poi la motivazione della integrità psichica e fisica della razza. Si diceva comunque che il culto pentecostale avrebbe costituito un pericolo in ragione della esaltazione che si impadronirebbe dei fedeli nella preghiera, quando essi attendono nei loro cuori la discesa dello Spirito Santo! Io non sono pentecostale, e non so quanto si esaltino questi fedeli, ma modestamente credo che anche i più fanatici non si esaltino più di certe donnette, quando assistono al miracolo di San Gennaro. (Commenti al centro e a destra). Non credo insomma che i pentecostali arrivino ad esaltarsi più di quanto non facciano i buoni cattolici in certi luoghi sacri e santuari celebri del cattolicesimo. Direi anzi che essi sono assai più composti e sereni, conoscendo il loro carattere.
Il motivo di questa proibizione è per altro evidente. La realtà è che i «pentecostali», a differenza di certe comunità protestanti, che tendono a vivere di «rendita», svolgevano, come svolgono, attivissima propaganda, non senza successo, specialmente tra i contadini meridionali.
Dopo la liberazione, con l’amministrazione degli alleati, i templi pentecostali vennero riaperti. Ma poi, quando il Governo italiano riprese l’esercizio delle sovranità, i divieti nuovamente fioccarono per i «pentecostali», e si ebbero chiusure di templi e numerosissimi arresti.
Ricordo di essermi occupato dei «pentecostali» nel 1947. Si diceva allora che il Governo, prima di decidere la reintegrazione dei «pentecostali», attendeva le notizie dal nostro ambasciatore negli Stati Uniti d’America, luogo d’origine di questa setta. Tarchiani attestò la serietà di questi pentecostali, che sono una rispettabilissima corrente religiosa. Ma, non ostante questo, la persecuzione è continuata.
È stato approvato l’articolo 19 della Costituzione; e pertanto, se prima era illegittima la pretesa di proibire il culto pentecostale, in seguito essa è divenuta addirittura anticostituzionale. Eppure, anche dopo l’approvazione della Costituzione si è continuato a proibire il culto pentecostale.
Nel settembre del 1949, il Ministero dell’interno confermava che il culto pentecostale non era ammesso in Italia, evidentemente perché danneggiava ancora la… integrità fisica e psichica della razza. Disponeva comunque il Ministero che, se dovevano ritenersi vietate le riunioni pubbliche, potevano però ammettersi le riunioni private, riconoscendo che proibire anche il culto privato avrebbe significato violare la Costituzione. Ma a che cosa serve, nel caso, ammettere le riunioni private, quando non si ammettono riunioni pubbliche?
Non dobbiamo dimenticare infatti il comma secondo dell’articolo 18 della legge di pubblica sicurezza, che così recita: «È considerata pubblica anche una riunione che, sebbene indetta in forma privata, tuttavia, per il luogo in cui sarà tenuta, per il numero delle persone che intervengono o per lo scopo o per l’oggetto di essa, ha carattere di riunione non privata». Con questo strano articolo, che può far diventare pubblica a giudizio del questore, ogni riunione privata, è facile far passare per pubbliche tutte le riunioni dei pentecostali che, per il fatto stesso di essere riunioni religiose, sono abbastanza numerose, e in realtà sono sempre private per modo di dire. Così i pentecostali hanno continuato a subire le angherie della polizia: sono continuate le persecuzioni e le proibizioni.
Citerò, per tutti, un caso assai significativo. Mi basta leggere una lettera dei fratelli pentecostali di Ferrazzano, paese del Molise, che dice: «Cari fratelli, vogliamo farvi sapere quello che è avvenuto il 15 giugno, perché preghiate per noi affinché il Signore convinca i nostri persecutori a desistere dai loro peccati e a lasciarci in pace ad adorare il nostro Signore e a predicare il suo nome benedetto. Il 15 giugno, mentre eravamo radunati per svolgere un servizio di culto, irruppero nei locali del culto degli agenti comandati da un commissario. Essi ci sequestrarono le bibbie e i libretti dei cantici e ci arrestarono tutti. Eravamo 34 fedeli, 11 fratelli e 23 sorelle. Ci caricarono su un camion e ci portarono al carcere minacciandoci con parole di ira. Ci trattennero in prigione per circa 24 ore. Mentre eravamo in carcere non abbiamo cessato di cantare e di pregare. Fratelli, pregate per noi». Non faccio commenti!
Un altro episodio che fa stupire, è quello avvenuto il 13 marzo 1952, quando il presidente di questi pentecostali signor Gorietti, si recò a Latina per faccende del suo culto. Ebbene, egli venne arrestato dagli agenti di pubblica sicurezza e trasferito immediatamente a Roma con foglio di via obbligatorio. Santo Dio, come se si fosse trattato di un malvivente o di una donna di malaffare!
I «pentecostali», a norma della legge del 1929, hanno chiesto l’erezione in ente morale della loro comunità: il che è cosa assolutamente diversa dal riconoscimento del culto, cioè dalla ammissione del culto nel nostro paese.
Evidentemente però essi hanno chiesto il riconoscimento giuridico della loro comunità come ente morale, nella speranza che il Ministero dell’interno approfittasse della circostanza, per riesaminare la loro posizione. Ebbene, il Ministero dell’interno non ha risposto che col silenzio amministrativo, documentando quindi la sua volontà di lasciare le cose come stanno.
Adesso i «pentecostali» hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato, e il loro avvocato è il professore Jemolo, che mi sembra cattolico praticante, ed è comunque persona largamente stimata nel paese. Se egli ha assunto questa difesa, l’ha fatto anche in omaggio alla buona causa di questi perseguitati’ (Luigi Preti: discorsi parlamentari 1947-1987, Camera dei Deputati, pag. 286-288)
Avete notato come era ben informato Luigi Preti sulle cose che concernevano le ADI? Mi pare dunque evidente che egli fosse il referente politico al Parlamento per le ADI. Cosa questa confermata indirettamente da quello che ha scritto Francesco Toppi, ex presidente delle ADI, sul numero 15-16 del 1990 della rivista Cristiani Oggi, quando traccia una biografia di Carmelo Crisafulli (http://www.naiot.it/biografie/CrisafulliCarmelo.htm):
‘Carmelo Crisafulli è stato tra i sostenitori più decisi della necessità di ottenere a qualunque costo la libertà di esercitare liberamente il culto evangelico pentecostale. Infatti, fu dapprima favorevole nel 1946 alla necessità di una struttura nazionale e fu uno dei cinque membri eletti nel Comitato Missionario Ricostruzione e Beneficenza per le chiese della Sicilia. Nel 1947, assunse un ruolo preminente nella costituzione delle “Assemblee di Dio in Italia”, riconoscendo che per “regolarizzare la propria posizione giuridica” questo era “l’unico mezzo … a disposizione del Movimento …” (Raccolta degli Atti delle Assemblee Generali, ADI, Roma, 1970, pag. 17). Le difficoltà apparentemente superate permisero la riapertura del locale di culto di Messina, come anche quelli di altre località, ma nonostante la richiesta ufficiale di riconoscimento delle Assemblee di Dio in Italia, si attese invano per anni l’abrogazione di quella iniqua circolare che si realizzerà soltanto nel 1955, dopo un lungo “braccio di ferro” tra le ADI e il Ministero dell’Interno. Così, ciclicamente, secondo le insistenze reiterate del clero locale, si manifestarono recrudescenze, intimidazioni, diffide e chiusure di locali di culto. Anche Carmelo Crisafulli e la Comunità di Messina furono di nuovo diffidati e minacciati. Si seguirono tutte le strade. Crisafulli si era fidato di un legale che notoriamente non faceva gli interessi della comunità e fu possibile liberarsene soltanto per il fraterno e tempestivo interessamento del prof. Giorgio Spini, allora residente a Messina. Il caso giunse in Parlamento con una interrogazione dell’On. Luigi Preti. Riportiamo per intero la lettera di risposta del Capo Gabinetto dell’allora Ministro dell’Interno.
Ministero dell’Interno – Gabinetto del Ministro. Roma, 10 febbraio 1953
All’On. avv. prof. Luigi Preti – Camera dei Deputati – Roma – Prot. n. 666/2600.
Oggetto: Interrogazione (n. 10248).
Urgentissima-raccomandata a mano.
La S.V. On/le ha presentato la seguente interrogazione, con richiesta di risposta scritta:
“Al ministro dell’interno, per sapere se non ritenga illegittimo il comportamento dei funzionari della questura di Messina, i quali hanno ripetutamente diffidato e minacciato l’operaio Carmelo Crisafulli, anziano della Chiesa pentecostale di Messina, per farlo desistere dal tenere riunioni religiose, e per sapere se non ritenga doveroso far cessare immediatamente questa forma persecutoria”.
Si risponde:
L’esercizio del cosiddetto culto pentecostale non è ammesso in Italia, per la particolarità dei riti, i quali si sono dimostrati nocivi alla salute psichica e fisica degli adempti. Pertanto è da ritenersi legittima la diffida confermata dalla Questura di Messina nei riguardi del sig. Crisafulli Carmelo per l’astensione da qualsiasi attività ed in qualsiasi forma, in materia del predetto culto.
p. il Ministro F.to Bubbio
Luigi Preti presentò per conto delle ADI un’altra interrogazione al Ministro Scelba, precisamente il 2 Dicembre 1953, e questa volta a seguito di una sentenza della Corte di Cassazione del 30 novembre 1953 che rilevò l’illegalità della circolare Buffarini-Guidi, ma il Ministro questa volta non rispose (Eugenio Stretti, Il Movimento Pentecostale, pag. 57); evidentemente perchè si trovava in grande difficoltà a rispondere, visto il rilievo della Cassazione.
Peraltro, bisogna aggiungere anche che Luigi Preti promosse con forza sin dagli anni 50 al Parlamento le intese tra lo Stato e le Confessioni religiose non cattoliche. Ecco infatti cosa disse in un suo intervento del 13 ottobre 1953 (in cui peraltro difese di nuovo i Pentecostali). Prima però di presentarvelo, ecco una breve ma indispensabile premessa: ‘Preti interviene nella discussione sui bilanci del Ministero di grazia e giustizia e del Ministero dell’interno per l’esercizio finanziario 1953-1954 (C. n. 73; C. n. 76). Rivolgendosi ad Amintore Fanfani, Ministro dell’interno nel I Governo Pella, Preti esorta il Governo ad attuare l’articolo 8 della Costituzione, che mira a regolamentare per legge i rapporti dello Stato con le confessioni religiose non cattoliche sulla base di intese con le relative rappresentanze. Il parlamentare ricorda episodi di vessazione nei confronti dei protestanti e, in particolare, una circolare del 19 maggio 1953 del Ministero dell’interno, diretta alla Tavola valdese, in cui viene negata alle confessioni religiose diverse dalla cattolica l’applicabilità dell’articolo 17 della Costituzione alle riunioni religiose, e in cui si sostiene la non precettività dell’articolo 19 della Costituzione medesima, relativo al diritto di professare liberamente la propria fede religiosa’.
Preti. L’articolo 8 della Costituzione dice che i rapporti delle confessioni religiose non cattoliche con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. È un articolo, onorevole Fanfani, che abbiamo insieme approvato nel 1947! Sono passati sei anni e ancora questa materia non è stata disciplinata per legge. È avvenuto per questa questione un po’ quel che si è verificato per la questione della regione: la si è sempre rinviata. Ma, mentre io posso comprendere i motivi per cui si è rinviata la regolamentazione legislativa del problema della regione (e il motivo è semplicissimo: alla Costituente si è fatta una topica e adesso si cerca di ripararla attraverso la desuetudine costituzionale), non vedo invece il motivo per cui non si debba riconoscere per legge questi rapporti delle confessioni religiose non cattoliche con lo Stato. Qui ci troviamo di fronte al Governo il quale dice ai protestanti (non parlo dei rapporti fra lo Stato e le comunità israelitiche che sono soddisfacenti): fate delle proposte specifiche, poi noi le esamineremo e quindi presenteremo il disegno di legge. Dall’altro lato i protestanti dicono: siccome l’articolo 8 della Costituzione parla di intese, noi vogliamo fare una specie di accordo, stabilito il quale si presenterà il disegno di legge al Parlamento. Questo disegno dovrebbe interpretare la comune volontà del Governo e delle confessioni evangeliche.
Io non voglio dire se abbia ragione il Governo o se abbiano ragione i protestanti. Come in molte cose la ragione sta forse a metà. Il Governo fino ad ora ha dimostrato una eccessiva suscettibilità, nel timore che le intese con le confessioni religiose non cattoliche fossero interpretate alla stregua di concordato; il che avrebbe potuto forse dar ombra alla Chiesa cattolica, timorosa che taluno pensi di poterla mettere sullo stesso piano delle altre confessioni religiose, le quali in Italia non hanno che alcune decine di migliaia di aderenti. Forse i protestanti sono stati eccessivamente timorosi, nel senso che non hanno avuto sufficiente fiducia nel Parlamento. Io credo infatti, che se il Governo avesse presentato un disegno di legge non soddisfacente (il che non era affatto impossibile), il Parlamento avrebbe finito col correggere il testo, dando alle confessioni religiose non cattoliche una legge soddisfacente sotto tutti i punti di vista.
Io ricordo di aver parlato in passato anche a tu per tu con coloro che reggevano il Ministero dell’interno e con coloro che li coadiuvano in sottordine, ed ho avuto l’impressione che non si avesse molta volontà di concludere su questa questione. Siccome l’attuale ministro Fanfani è un uomo dinamico e capace di risolvere molti problemi (e del resto non voglio fargli dei complimenti, perché gliene ha fatti già molti l’onorevole Cucco), vorrei sperare che egli volesse risolvere anche questo non difficile problema.
Se questa situazione di incertezza non generasse inconvenienti, potrei anche capire il rinvio, essendo io convinto che qualche volta l’assenza di leggi non è affatto inopportuna, come dimostra la prassi costituzionale e legislativa britannica. Ma purtroppo la mancanza di disposizioni legislative chiare ha potuto dar vita, negli anni del dopoguerra, a parecchie odiose vessazioni nei confronti degli evangelici. E non parlo di persecuzioni, per non drammatizzare i fatti.
Gli evangelici hanno scritto parecchi memoriali, come l’onorevole Fanfani certo saprà: l’ultimo, intitolato «Intolleranza religiosa in Italia nell’ultimo quinquennio», elenca a decine i casi di vessazione da parte di questori, commissari di pubblica sicurezza, ecc.. Si dirà che si tratta di piccole cose che riguardano poche persone; ma per chi guarda al principio delle libertà la quantità importa poco.
Per questi fatti, ci stiamo screditando all’estero, e specialmente nell’America del nord, che è in maggioranza protestante. Io non sono mai riuscito a capire la ragione della fobia dell’onorevole Scelba, persona indubbiamente dotata di senso democratico, per i protestanti. Egli era certamente convinto della impossibilità dei protestanti di insidiare il predominio religioso dei cattolici in Italia. Una tale insidia può essere insita, semmai, nel comunismo – che è pur esso una religione – e non certo negli evangelici che non hanno molti mezzi e che non fanno leva su certi sentimenti che trascinano le masse.
Non voglio ripetere le cose che, purtroppo inutilmente, ho detto l’anno scorso. In questa sede voglio limitarmi a leggere una lettera abbastanza recente del Ministero dell’interno, lettera che in nessun modo noi, come uomini credenti della libertà, potremmo approvare. È una lettera del 19 maggio 1953, diretta alla Tavola valdese, che si era lamentata di alcune persecuzioni a danno di evangelici della scuola valdese.
La lettera testualmente reca: «Con riferimento agli esposti in data 2 marzo e 16 marzo di codesta Tavola, si comunica che dagli accertamenti disposti è risultato che le riunioni di culto nei comuni di Ferentino e di Anagni» (dove dei protestanti erano stati anche un po’ maltrattati dalla popolazione locale) «sebbene tenute in casa privata, avevano luogo con carattere di pubblicità, per cui questo Ministero ha ritenuto e ritiene che l’articolo 17 della Costituzione non sia applicabile alle riunioni di culto in luogo aperto al pubblico. D’altra parte, anche l’articolo 19 della Costituzione medesima è stato dichiarato non precettivo da una sentenza in data 12 ottobre dalla Corte di cassazione. Per il ministro, firmato: Tartanona».
Io ritengo che le due affermazioni fatte in questa lettera, che è firmata da persona autorizzata dal ministero, e che ha un indubbio carattere di ufficialità, erano gravi e non possano essere assolutamente accettate. Si dice, dunque, che l’articolo 19 non sarebbe precettivo. L’onorevole Fanfani ha collaborato anch’egli, se non erro, alla redazione di questo articolo, giacché faceva parte della prima Sottocommissione. Esso reca: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la loro fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto purché non si tratti di riti contrari al buon costume». Con la scusa che questo articolo 19 non sarebbe precettivo, si sono indubbiamente compiute negli anni scorsi (e non so se si sia cambiato metodo negli ultimi due mesi: non potrei dirlo) delle azioni veramente riprovevoli. Potrei dire che, ad esempio, l’apertura dei templi e degli oratori protestanti è stata, sulla base di una disposizione fascista del 1929, sempre ostacolata. I protestanti fanno un ragionamento, che mi pare sia di buon senso. Essi dicono: tutti i cittadini italiani pagano le imposte per la costruzione di chiese cattoliche. Lo Stato ha approvato l’anno scorso una legge in proposito. Dal momento che la religione cattolica è la religione della maggioranza degli italiani, questa imposta la pagano anche i protestanti e gli ebrei.
Noi – essi dicono – non ci opponiamo, dato appunto che si tratta della religione professata dalla grande maggioranza degli italiani; ma, poiché paghiamo le imposte per l’apertura di chiese cattoliche, e nessuno si e mai sognato di chiedere il permesso per aprire tali chiese (ed è perfettamente giusto che sia così), perché anche a noi non viene concesso di aprire locali di culto, quando vogliamo e dove vogliamo? Se si trattasse del culto bramanista, potrei anche capire che potessero esservi dei timori.
Faralli. Non è affatto immorale il culto bramanista.
Preti. Non ho detto che sia immorale; ma ho menzionato il culto bramanista, poiché potrebbero venire a rappresentarlo in Italia anche persone non in grado di dare certe garanzie. E quindi si potrebbe spiegare la diffidenza del Governo. Ma qui si tratta del culto evangelico, di un culto quindi che si può mettere sullo stesso piano di quello cattolico.
Che dunque si cerchi ancora di impedire l’apertura di templi della religione evangelica è semplicemente, a mio avviso, inammissibile. Per quanto concerne poi la propaganda scritta, anche qui si cerca di impedire che i protestanti diffondano i loro manifesti e le loro pubblicazioni.
Una volta sono state sequestrate delle casse di Bibbie, e non so per quanto tempo sono rimaste ferme in un porto. E potrei citare molti esempi, se non temessi di tediare l’onorevole Fanfani e i colleghi. Per quanto concerne le conferenze religiose dei protestanti, anche qui continui contrasti e continui intralci. Per esempio, l’anno scorso a Padova accadde un fatto che destò un notevole scalpore.
Infine bisogna accennare, per quanto brevissimamente, alla setta dei pentecostali, setta la quale viene ancora perseguitata (questa sì, viene perseguitata) dal Ministero dell’interno, sulla base di una circolare del 1935 di Buffarini-Guidi, la quale affermava che questo culto religioso nuoceva all’integrità fisica e psichica della razza. Il termine «razza» è stato adesso cancellato dal vocabolario per ovvie ragioni; eppure, nonostante ciò, si è continuato a fare uso di questa vecchia circolare la quale, in sostanza, contrasta con la Costituzione. La Costituzione non ammette i culti che siano contrari al buon costume; ma l’integrità psichica e fisica della razza non ha niente a che fare col buoncostume. Si è tirata fuori la scusa che i pentecostali si esaltano, quando partecipano alle loro cerimonie religiose; ma, per quanto si possano esaltare, non credo che questa esaltazione possa portare ad inconvenienti così gravi, da preoccupare lo Stato italiano e da fargli addirittura violare la Costituzione!
Con la circolare che ho prima citato, del Ministero dell’interno, si afferma poi che l’articolo 17 non è applicabile alle riunioni religiose. Dice l’articolo 17: «I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica».
Io penso che negare l’applicabilità dell’articolo 17 della Costituzione (che si applica anche ai partiti politici) alle confessioni religiose diverse dalla cattolica non significhi interpretare in maniera retta e con spirito liberale la Costituzione della Repubblica italiana. In questi ultimi anni sono stati vittime di queste vessazioni perfino i valdesi, i quali in passato erano stati sempre rispettati, anche perché, come tutti sanno, essi sono in Italia da parecchi secoli e non hanno mai dato fastidio a nessuno, dimostrandosi sempre degli ottimi cittadini prima dello Stato sabaudo, poi dello Stato italiano.
Tutti conoscono la Chiesa valdese, tutti sanno che la Chiesa valdese dà tutte le garanzie che si possono richiedere, dal punto di vista dell’ordine pubblico, del buoncostume e via dicendo.
Eppure anche le cerimonie della Chiesa valdese sono state disturbate. Non voglio più oltre attardarmi su questi argomenti. Vorrei solamente chiedere all’onorevole Fanfani di voler esaminare questo problema in maniera che, entro qualche mese, possa essere presentata al Parlamento quella legge che – secondo l’articolo 8 della Costituzione – è indispensabile. E non venga, poi, domani il Ministero dell’interno a dire che gli evangelici fanno delle difficoltà, che essi non si vogliono mettere d’accordo, che si intestardiscono su questioni formali. Io credo che, se il ministro dell’interno parlerà loro con molta franchezza e con molta sincerità, si riuscirà a risolvere il problema in sede ministeriale. Dopo di che, finalmente, avremo anche una legge per le confessioni religiose acattoliche; legge che darà modo a noi tutti di sentirci tranquilli per quanto concerne il rispetto delle minoranze religiose in Italia. Ripeto che io mi rendo conto della esiguità numerica di queste minoranze religiose; ma la questione di principio non deve assolutamente essere ignorata dai ministri dello Stato democratico. La repubblica democratica indubbiamente ha molti difetti, come è ovvio che accada di ogni regime. Vi sono però delle macchie che potrebbero essere facilmente cancellate senza spendere miliardi, ma dando solamente prova di una maggiore buona volontà. Ed io spero che il ministro dell’interno darà prova di questa buona volontà e risolverà finalmente questo annoso problema, facendo cessare subito le vessazioni, in ossequio allo spirito e alla lettera della Costituzione, e varando poi una legge veramente liberale. (Applausi)’ (Luigi Preti: discorsi parlamentari 1947-1987, Camera dei Deputati, pag. 341-345).
Termino, per farvi capire l’importanza che aveva questo uomo politico, con le parole del professore Angelo Scavone, docente di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Bologna: ”Luigi Preti non è stato soltanto uno degli esponenti di maggiore rilievo del partito socialdemocratico, che egli fondò aderendo alla storica scelta di campo di palazzo Barberini nel gennaio del 1947. Preti, come Saragat ed altri illustri padri costituenti è stato anche uno dei maggiori esponenti di una più vasta area politica e culturale che, benché poco coesa e rappresentativa soltanto di circa un quarto dell’elettorato italiano, ha sempre svolto un ruolo determinante nella difesa della democrazia costituzionale e nella promozione della modernizzazione economica e sociale dell’Italia. Si tratta di quell’area che, sinteticamente, può essere definita di “democrazia laica”, che, sin dalla fase costituente, ha accomunato i partiti socialdemocratico, liberale e repubblicano ed alla quale, dopo l’abbandono del frontismo e la svolta guidata da Bettino Craxi, può essere ricondotto anche il partito socialista italiano. Luigi Preti è stato uno dei più brillanti e moderni interpreti politici di questo importantissimo orientamento culturale della democrazia italiana’ (http://www.socialdemocraticieuropei.it/).