L’ispirazione della Bibbia

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La dottrina avventista

L’ispirazione della Bibbia è concettuale.

Come abbiamo visto gli Avventisti dichiarano di credere che la Scrittura è ispirata da Dio. Ma è bene precisare che cosa intendono per ispirazione. Citerò innanzi tutto delle parole della White sull’ispirazione della Bibbia, ed in seguito alcune dichiarazioni di un autorevole avventista.

La White ebbe a dichiarare: ‘La Bibbia indica Dio come suo autore; tuttavia è stata scritta da mani umane; e nella varietà dello stile dei diversi libri presenta i caratteri dei singoli scrittori. Le verità rivelate sono tutte date per ispirazione di Dio’; tuttavia esse sono espresse in parole di uomini. Il Dio infinito per mezzo del suo Spirito Santo ha sparso la luce nelle menti e nei cuori dei suoi servitori. Egli ha dato sogni e visioni, simboli e figure; e coloro ai quali la verità era così rivelata hanno personalmente rivestito il pensiero di un linguaggio umano’;[1] e: ‘La Bibbia è scritta da uomini ispirati, ma non rappresenta il modo di pensare di Dio né il suo modo di esprimersi. Il modo di esprimersi e di pensare sono quelli dell’umanità. Dio, come scrittore, non vi è rappresentato. Gli uomini spesso diranno che una certa espressione non appartiene a Dio, ma Dio non ha messo se stesso alla prova, nella Bibbia, attraverso parole, logica, retorica. Gli scrittori della Bibbia erano gli autori di Dio, non la sua penna. Considerate questi diversi scrittori’,[2] ed anche: ‘Non le parole della Bibbia sono ispirate, ma gli uomini lo furono. L’ispirazione non agisce sulle parole dell’uomo o sulle sue espressioni ma sull’uomo stesso, che, sotto l’influenza dello Spirito Santo, è imbevuto di pensieri. Ma le parole ricevono l’impronta della mente individuale… La mente e il volere divino sono combinati con la mente e il volere umani; così le espressioni dell’uomo costituiscono la parola di Dio’.[3]

Ora, per spiegare che cosa voleva dire la White con degli esempi pratici citerò una parte di un articolo di Juan Carlos Viera (Direttore del Ellen G. White Estate) apparso alcuni anni fa sul Messaggero Avventista. ‘Nella Bibbia troviamo varie occasioni in cui un profeta ha dovuto rivedere le proprie convinzioni. Gli apostoli credevano, in un primo tempo, che soltanto gli ebrei potessero essere salvati. Con una visione indirizzata a Pietro e una rivelazione speciale a Paolo lo Spirito Santo illuminò gli apostoli e, tramite loro la chiesa, affinché il Vangelo fosse diffuso in tutto il mondo. Anche i primi avventisti avevano una comprensione fortemente limitata della missione per un errore teologico mutuato dal movimento millerita: la dottrina della ‘porta chiusa’. Erano convinti che la porta della grazia fosse inaccessibile dopo il 22 ottobre 1844. Ellen G. White fece propria questa dottrina. Lo Spirito Santo modificò questa idea in Ellen G. White e, per suo tramite, in tutto il movimento. Per gli autori del Nuovo Testamento il ritorno di Gesù era imminente. Poi gli apostoli hanno ricevuto una rivelazione diversa. Per esempio in 1 Tessalonicesi 4:16,17, Paolo dà l’impressione che il ritorno del Signore avvenga durante la sua vita. Nella sua seconda lettera avverte la chiesa di non aspettare il ritorno di Gesù come se fosse imminente (cfr. 2 Tessalonicesi). Giovanni era convinto di vivere nell’ultima ora (cfr. 1 Giovanni 2:18). Dalle visioni successive capì che le cose non stavano proprio così e annunciò alla chiesa che diversi eventi – compresa una dura persecuzione – avrebbero preceduto la venuta del Signore. Tutti i credenti del movimento avventista, Ellen G. White inclusa, erano convinti che il ritorno di Gesù fosse imminente. Non dobbiamo sentirci in difficoltà di fronte all’espressione di queste aspettative (cfr. Testimonies, vol. 1, pp. 131,132) perché sono le stesse di Paolo, Pietro e Giovanni. Ancora una volta lo Spirito Santo ha dovuto correggere alcune idee e guidare la chiesa nella direzione giusta. Gli avventisti non credono nell’ispirazione verbale (l’idea che Dio detti le parole esatte con le quali il profeta si esprime). A parte i dieci comandamenti, tutti gli scritti sacri sono il risultato della cooperazione dello Spirito Santo, che ispira il profeta con una visione, un’intuizione, un consiglio o un giudizio e del profeta che usa parole, frasi, immagini o espressioni per trasmettere il più fedelmente possibile il messaggio di Dio. Dio lascia al profeta la libertà di scegliere il tipo di linguaggio con cui intende comunicare. Ellen G. White descrive il linguaggio usato dagli scrittori ispirati come ‘imperfetto’ e ‘umano’. Questo significa due cose: – Il profeta si esprime nella lingua di tutti i giorni, imparata nell’infanzia e perfezionata dagli studi, le letture, i viaggi. Non c’è niente di soprannaturale nelle parole usate per trasmettere il messaggio. – Il profeta può incorrere in errori ortografici o grammaticali e anche altre forme di imperfezioni linguistiche come il lapsus linguae (un errore di pronuncia) o un lapsus memoriae (un errore di memoria) che possono e devono essere corretti da un redattore che prepara il testo in vista della pubblicazione. Il redattore in questo caso non corregge il messaggio ispirato ma il linguaggio, che non è ispirato. Troviamo un lapsus linguae nel vangelo di Matteo quando menziona Geremia pensando a Zaccaria in merito all’episodio delle trenta monete d’argento (…) Ritroviamo lo stesso errore in Ellen G. White quando cita Paolo trascrivendo un testo di Pietro: ‘L’amore di Cristo ci costringe’ dice l’apostolo Pietro. Ecco perché l’ardente discepolo si sente spinto nella difficile opera di predicare il Vangelo (Review and Herald, 30 ottobre 1913; cfr. l’affermazione di Paolo in 2 Corinzi 5:14)….’.[4]

 


[1] Ellen G. White, Selected Messages (Messaggi Selezionati), libro I, pag. 25; in Adventus, Settembre 1987, pag. 10

[2] Ibid., pag. 21

[3] Ibid.,

[4] Juan Carlos Viera ‘Il processo della rivelazione’ in Il Messaggero Avventista, Novembre 1996, pag. 4