Il parlare in altre lingue e l’interpretazione

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La dottrina unitariana.

Nel suo libro dal titolo Spiritual Gifts, David K. Bernard parlando delle lingue e dell’interpretazione afferma quanto segue: ‘Noi possiamo definire il dono delle lingue come il dono di una espressione soprannaturale in una o più lingue sconosciute a chi parla. Noi possiamo identificare tre usi delle lingue nella chiesa del Nuovo Testamento: come il segno iniziale del battesimo dello Spirito Santo, in devozioni personali, e come una espressione pubblica che deve essere interpretata. Il processo fisico e spirituale è lo stesso in ognuno dei casi, ma lo scopo e l’effetto sono differenti…’.[1] Nel prosieguo della sua spiegazione, nel parlare delle lingue come segno del battesimo con lo Spirito, l’autore dice però che ‘strettamente parlando, noi non dovremmo usare il termine ‘dono delle lingue’ per questo primo uso; esso è piuttosto un segno che accompagna il dono dello Spirito Santo’.[2] E questo perché ‘il dono dello Spirito Santo è per tutti i credenti. Per contrasto, non ognuno eserciterà il dono delle lingue per l’edificazione del corpo’.[3] Sempre su questo soggetto egli risponde a coloro che negano che il battesimo con lo Spirito Santo debba essere accompagnato dal segno delle lingue prendendo le parole di Paolo: “Parlan tutti in altre lingue?”,[4] e dice che Paolo scrisse a dei credenti ripieni di Spirito i quali erano stati tutti battezzati con lo Spirito e avevano parlato in lingue almeno una volta. Paolo ‘non insegnò che alcuni di loro non avrebbero mai parlato in lingue, ma egli spiegò che non tutti avrebbero esercitato il dono pubblico delle lingue nella vita della congregazione, e che quando alcuni lo facevano dovevano seguire certe direttive’.[5] Passando poi a parlare del secondo uso delle lingue Bernard dice che ‘esso è nella personale devozione per l’edificazione privata’,[6] e cita a sostegno 1 Corinzi 14:4-5 e 14:14-15, e dice: ‘E’ utile pregare e cantare in lingue…’.[7] Arriviamo ora al terzo uso delle lingue; ecco cosa dice David Bernard: ‘Dio alcune volte parla alla chiesa per mezzo dei doni delle lingue e dell’interpretazione combinati. Il primo dono, le lingue, arresta l’attenzione e rivela che Dio sta cercando di comunicare con l’uditorio. Poiché esso è così miracoloso e spettacolare, esso è spesso proprio efficace nel raggiungere i non credenti che sono presenti. Il secondo dono, l’interpretazione, rivela il vero messaggio che Dio desidera comunicare’.[8] Stando così le cose l’autore giunge alla conclusione che il dono di profezia ‘è l’equivalente delle lingue seguite dall’interpretazione’.[9] A proposito di questo terzo uso delle lingue chiamato dono delle lingue vi faccio notare che per Bernard esso si differenzia dal parlare in lingue di quando si viene battezzati con lo Spirito non perché è la capacità di parlare più di una lingua straniera ma perché è la capacità di parlare in altra lingua pubblicamente quando occorre farlo in due o al massimo in tre per attirare l’attenzione della congregazione e aspettare che qualcuno interpreti. Egli fa notare infatti che sia il giorno della Pentecoste, che a casa di Cornelio, che ad Efeso coloro che si misero a parlar in lingue lo fecero tutti assieme e nessuno interpretò le lingue o cercò di farlo; mentre in 1 Corinzi Paolo dice che in una congregazione solo due o tre devono parlar in lingue e ciascuno nel suo turno per aspettare poi l’interpretazione.

Confutazione.

Siamo d’accordo che il battesimo con lo Spirito Santo è accompagnato dal segno del parlare in altra lingua, perché questo è quello che insegna il libro degli Atti degli apostoli. Siamo d’accordo che le parole di Paolo ai Corinzi che non tutti parlano in altre lingue[10] non significano affatto che il battesimo con lo Spirito non debba essere accompagnato dal parlare in lingue perché lui parlava a dei credenti che parlavano in lingue perché erano stati battezzati con lo Spirito Santo e in quelle parole lui fece riferimento al dono della diversità delle lingue. Ma a questo punto è bene dire che il dono della diversità delle lingue è la capacità data al credente dallo Spirito Santo di parlare in più lingue straniere mai imparate, non importa se in privato o in pubblico. In altre parole il credente che riceve dallo Spirito Santo questo dono viene messo in grado di pregare e cantare in più lingue sia quando è da solo che quando è riunito assieme ad altri credenti. Per cui il credente in linea di massima potrebbe ricevere questo dono spirituale sia quando viene battezzato con lo Spirito Santo (non importa se sarà da solo o in compagnia) o dopo che è stato battezzato con lo Spirito Santo (non importa se sarà da solo o assieme ad altri). Dire quindi che l’esercizio pubblico del parlar in altra lingua (cioè durante le riunioni della chiesa) che ha bisogno di essere interpretato costituisce il dono delle lingue di cui parla Paolo ai Corinzi, mentre il parlare in altra lingua di coloro che vengono battezzati con lo Spirito Santo e si mettono tutti assieme a parlare in altra lingua (come a Pentecoste, a casa di Cornelio e ad Efeso) non è il dono delle lingue perché in questi casi non si devono seguire le direttive di Paolo ai Corinzi: “Siano due o tre al più, a farlo; e l’un dopo l’altro; e uno interpreti”,[11] è qualche cosa che non corrisponde al vero. Lo ripeto in altri termini questo concetto perché desidero che vi sia reso il più chiaro possibile. Chi ha il dono delle lingue non si differenzia da chi non ce l’ha per il fatto che egli parla in altra lingua pubblicamente quando si raduna la chiesa e lo deve fare seguendo le direttive di Paolo ai Corinzi citate prima, mentre l’altro non fa questo uso delle lingue essendo che fa uso delle lingue solo nel privato. Ma egli si differenzia da chi non ha il dono della diversità delle lingue perché è in grado per lo Spirito di parlare più lingue straniere; o dal preciso momento quando è stato battezzato con lo Spirito o da qualche tempo dopo; e sia in privato che in pubblico. Certo, è innegabile che quando più credenti ricevono lo Spirito Santo contemporaneamente come nel caso dei discepoli a Pentecoste, o di Cornelio e dei suoi, o dei discepoli ad Efeso, essi cominciano a parlare in altre lingue tutti assieme. Questo però non significa che non ci sia il bisogno di interpretare quello che essi dicono in altre lingue al fine che i credenti presenti che li ascoltano ne ricevano edificazione, perché quel parlare in altra lingua è pur sempre un parlare per lo Spirito Santo.

Veniamo adesso alla direzione del parlare in altra lingua. Da quello che dice David Bernard quando un credente parla in altra lingua da solo prega e canta a Dio, mentre quando lo fa in pubblico (cioè secondo lui quando usa il dono delle lingue) il parlare è rivolto agli uomini per cui l’interpretazione sarà un messaggio di Dio nella lingua della chiesa diretto alla chiesa radunata; cosicché il dono delle lingue + l’interpretazione consiste ad una profezia. Anche questo non è vero perché dalle parole di Paolo sul parlar in lingue non emerge affatto questa distinzione di direzione e neppure che il parlar in lingue + l’interpretazione costituisca una profezia. Vediamo cosa dice Paolo a riguardo. Paolo dice ai Corinzi: “Procacciate la carità, non lasciando però di ricercare i doni spirituali, e principalmente il dono di profezia. Perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno l’intende, ma in ispirito proferisce misteri. Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione. Chi parla in altra lingua edifica se stesso; ma chi profetizza edifica la chiesa. Or io ben vorrei che tutti parlaste in altre lingue; ma molto più che profetaste; chi profetizza è superiore a chi parla in altre lingue, a meno ch’egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione”.[12] Si noti innanzi tutto come Paolo esorti a procacciare la carità, senza per questo tralasciare di ricercare i doni spirituali. E poi che tra i doni spirituali da ricercare lui metta al primo posto il dono di profezia e non il dono delle lingue. Perché questo? Lo spiega subito dopo dicendo “poiché chi parla in altra lingua non parla agli uomini ma a Dio… chi profetizza invece parla agli uomini”. Ecco il motivo dunque, perché mentre chi parla in altra lingua parla a Dio e non agli uomini, chi profetizza parla agli uomini. E poi perché chi parla in altra lingua edifica se stesso, mentre chi profetizza edifica la chiesa. Ecco perché lui dice che vorrebbe che tutti parlassero in altre lingue, ma molto più che profetassero, perché chi profetizza è superiore a chi parla in altra lingua proprio per la direzione che ha il parlare. Ma questa superiorità permane fino a che chi parla in altra lingua non interpreta pure, infatti Paolo dice: “A meno che egli interpreti, affinché la chiesa ne riceva edificazione”. Cosa significa questo? Che se chi parla in altra lingua interpreta quello che dice, la chiesa sarà edificata come è edificata quando qualcuno profetizza, perché intenderà quello che è stato detto in altra lingua, e potrà dire ‘Amen’. Evidentemente anche quando il parlar in altra lingua sarà interpretato esso sarà sempre rivolto a Dio e non agli uomini, per cui non potrà essere una profezia. La chiesa sarà sì edificata dall’interpretazione, ma questa edificazione deriverà dal fatto che essa intenderà la preghiera o il rendimento di grazie o il cantico rivolto a Dio. Facciamo un esempio: un credente viene sentito parlare in altra lingua durante la riunione, segue l’interpretazione secondo la quale il credente ha pregato Dio di supplire ad uno specifico bisogno di un credente africano di cui viene fatto anche il nome che abita in una città del Sudan. Non dirà forse la chiesa ‘Amen’, perché avrà inteso in che cosa consisteva quel parlar in altra lingua e sarà quindi edificata nel constatare come lo Spirito conosce ogni cosa di tutti? Invece nel caso il parlar in altra lingua non sarà interpretato la chiesa non sarà edificata; sarà edificato il credente ma non l’assemblea. Nel caso specifico sopra menzionato, la chiesa non saprà che cosa il credente ha chiesto a Dio per cui quel parlare sarà senza significato per essa (ma non per Dio naturalmente). Ecco perché Paolo nel prosieguo del suo discorso mette molta enfasi sull’interpretazione delle lingue. Ascoltiamo quello che egli dice: “Infatti, fratelli, s’io venissi a voi parlando in altre lingue, che vi gioverei se la mia parola non vi recasse qualche rivelazione, o qualche conoscenza, o qualche profezia, o qualche insegnamento? Perfino le cose inanimate che dànno suono, quali il flauto o la cetra, se non dànno distinzione di suoni, come si conoscerà quel ch’è suonato col flauto o con la cetra? E se la tromba dà un suono sconosciuto, chi si preparerà alla battaglia? Così anche voi, se per il vostro dono di lingue non proferite un parlare intelligibile, come si capirà quel che dite? Parlerete in aria. Ci sono nel mondo tante e tante specie di parlari, e niun parlare è senza significato. Se quindi io non intendo il significato del parlare, sarò un barbaro per chi parla, e chi parla sarà un barbaro per me. Così anche voi, poiché siete bramosi de’ doni spirituali, cercate di abbondarne per l’edificazione della chiesa. Perciò, chi parla in altra lingua preghi di poter interpretare; poiché, se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Che dunque? Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l’intelligenza. Altrimenti, se tu benedici Iddio soltanto con lo spirito, come potrà colui che occupa il posto del semplice uditore dire ‘Amen’ al tuo rendimento di grazie, poiché non sa quel che tu dici? Quanto a te, certo, tu fai un bel ringraziamento; ma l’altro non è edificato. Io ringrazio Dio che parlo in altre lingue più di tutti voi; ma nella chiesa preferisco dir cinque parole intelligibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua”.[13] Si noti come Paolo in queste parole scoraggi il parlare in altre lingue privo dell’interpretazione quando la chiesa è radunata per il semplice motivo che esso non sarebbe di alcuna utilità alla raunanza. Ma si noti come anche nel caso il parlar in altra lingua fosse privo della relativa interpretazione, esso sarebbe sempre rivolto a Dio. Queste espressioni: “Se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio”, “io pregherò con lo spirito”, “salmeggerò con lo spirito”, “tu benedici Dio soltanto con lo spirito”, “al tuo rendimento di grazie”, “tu fai un bel rendimento di grazie”, lo confermano pienamente. Dunque anche quando la chiesa è radunata chi parla in altra lingua si rivolge a Dio e non solo quando è da solo. Non importa se chi parla in altra lingua ha il dono della diversità delle lingue o meno, il suo parlare per lo Spirito sarà sempre rivolto a Dio. Detto questo è evidente che dire che il parlare in altre lingue o il dono delle lingue + l’interpretazione costituisce il dono di profezia non può essere vero.

 


[1] David K. Bernard, Spiritual Gifts, pag. 185

[2] David Bernard, op. cit., pag. 186

[3] Ibid., pag. 186

[4] 1 Cor. 12:30

[5] Ibid., pag. 187

[6] Ibid., pag. 188

[7] Ibid., pag. 188

[8] Ibid., pag. 192,193

[9] Ibid., pag. 204

[10] Cfr. 1 Cor. 12:30

[11] 1 Cor. 14:27

[12] 1 Cor. 14:1-5

[13] 1 Cor. 14:6-19