Birmania: La Chiesa finlandese fa un dono di 200.000 euro alle vittime

HELSINKI, 8 maggio 2008 (AFP) – La Chiesa luterana finlandese ha annunciato oggi che farà un dono di 200.000 euro alla Birmania, dove il passaggio del ciclone Nargis avrebbe fatto decine di migliaia di vittime e dispersi.

Questa cifra “sarà utilizzata per l’aiuto urgente e per la ricostruzione” ha indicato la fondazione caritativa FCA diretta dalla Chiesa luterana evangelica di Finlandia, che conta l’82% dei finlandesi.

La fondazione ha anche chiamato la popolazione finlandese a versare doni in denaro ad un fondo che essa ha specialmente creato per l’aiuto alle vittime del ciclone.

Mercoledì, il governo finlandese aveva indicato dal canto suo che avrebbe fatto dono di 300.000 euro per l’aiuto umanitario in questo paese mentre la Croce Rossa finlandese ha accordato 70.000 euro alle vittime del ciclone.

Fonte: La Croix /AFP

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Migliaia di membri delle Assemblee di Dio in Myanmar hanno perso la casa, almeno 17 luoghi di culto sono stati distrutti, incerto il numero delle vittime fra i credenti

Secondo notizie delle Assemblee di Dio d’America sarebbero migliaia i credenti in Myanmar che hanno perso la casa, ed è confermato che per ora sono 17 i luoghi di culto che sono stati distrutti dal ciclone Nargis, decine di altri luoghi di culto si troverebbero in zone isolate devastate dal ciclone.

Sul sito delle Assemblies of God c’è la possibilità di fare una donazione on line a favore delle vittime del ciclone Nargis. Chi desidera può andare sul sito AGRelief e cliccare su Donate, una volta nella pagina copiate il seguente codice in neretto: AGRelief — Myanmar Cyclone 891167-9 (42). Fate clic sul link Donate che c’è in fondo alla pagina. Specificate l’ammontare in dollari che volete dare e incollate il codice nel campo Comments. Fate clic su donate e seguite la procedura.

Il Signore vi benedica.

“Così dunque, secondo che ne abbiamo l’opportunità, facciam del bene a tutti; ma specialmente a quei della famiglia dei credenti.” (Galati 6:10)

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Ciclone in Myanmar: appello dell'Alleanza Mondiale Battista

Il BWAid lancia un appello per la raccolta fondi a favore delle vittime

ROMA, 7 MAGGIO 2008 – Il BWAid, l’organismo di soccorso dell’Alleanza Mondiale Battista (AMB), si è impegnato a versare 50.000 dollari destinati a fornire assistenza nel soccorso per l’emergenza in Myanmar.

Il Myanmar, ex Birmania, ha subito un devastante ciclone che ha colpito il paese del sud-est asiatico sabato 3 maggio, causando la morte, secondo le stime, di ben 22.000 persone, ma vi è il fondato timore che il numero delle vittime sia destinato ad aumentare, dato che decine di migliaia sono i dispersi. Vaste aree del paese sono fortemente allagate.

In aggiunta all’aiuto economico, il BWAid sta coordinando gli sforzi di soccorso con i battisti di tutto il mondo. “Stiamo lavorando insieme alla Convenzione Battista del Myanmar e siamo in contatto con partner BWAid in Nord America, Europa e Asia “, ha detto Paolo Montacute, direttore della BWAid.

Tra i bisogni immediati delle persone colpite dal ciclone e dalle inondazioni vi sono acqua potabile, cibo, coperte e kit medici. La Convenzione Battista del Myanmar, membro dell’AMB, è il più grande gruppo Battista in Asia con più di 1,1 milioni di credenti battezzati. La testimonianza battista è diffusa in larga misura tra le minoranze e i gruppi etnici emarginati, come ad esempio i Karen, Chin e Kachin.
Donazioni per i soccorsi in Myanmar possono essere inviate al BWAid Emergency Response Fund, (http://www.bwanet.org/bwaid) o all’Ucebi (http://www.ucebi.it/donazioni.php) specificando nella causale: VITTIME CICLONE MYANMAR

Fonte: Ucebi

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MYANMAR: Karen deportati e costretti ai lavori forzati

la denuncia

Devono riparare strade e infrastrutture
Tra di loro è presente anche una forte comunità di cristiani

da Bangkok

Mentre il resto del mondo, all’avvicinarsi del Natale focalizza il suo interessi su doni e buoni sentimenti, tra le risaie e le foreste dello Stato Karen, che pure ospita una consistente comunità cristiana, questo è un tempo di paura, un tempo in cui – con l’inizio della stagione secca – cre­sce la richiesta di lavoro forzato da parte dell’eser- cito birmano.
In un rapporto diffuso tre giorni fa, Il «Karen Human Rights Group», indica un ritorno periodico del lavoro forzato. La pratica di rastrellare gente nei villaggi per adibirla a manovalanza non retribuita a servizio dei militari indica anche, purtroppo, un ritorno alla normalità della situazione dopo le proteste dell’estate e la repressione.
Manutenzione delle strade, costruzione o riparazione di edifici militari, trasporto di generi alimentari e attività domestiche sono affidate a persone terrorizzate che, in caso di rifiuto rischiano maltrattamenti e carcere. «La persistenza del lavoro forzata nelle aree rurale dovrebbe servire ad indicare chiaramente alla comunità internazionale ciò che la giunta militare birmana considera normalità nel Paese», conclude il rapporto.
«Quando le strade si asciugano a sufficienza, reparti dell’esercito passano di villaggio in villaggio per raccogliere manodopera da impiegare nella raccolta di paglia e bambù, nella pu­lizia delle strade e nella manutenzione dei campi militari, nel taglio di piante e nella distribuzione delle razioni. Inoltre – ironia della sorte per una minoranza da decenni in guerra contro il regime che governa l’ex Birmania – elementi locali vengono utilizzati per verificare la si­curezza delle strade e come sentinelle, di giorno come di notte. Tutto lavoro forzato, ovviamente», sostiene ancora il rapporto di Khrg.
Secondo le testimonianze raccolte nei villaggi, i militari non distinguono in base a età o sesso, imponendo le stesse attività a giovani e anziani, come pure alle donne. La pratica del lavoro forzato non è limitata ovviamente al solo Stato Karen, ma è diffusa un po’ ovunque e serve a ga­rantire a costo zero abbondante manodopera per le necessità di supporto dell’esercito, in particolare nelle sue campagne periodiche contro le minoranze, e per opere come il nuovo aeroporto di Mandalay o la nuova capitale Naypyidaw che sono insieme simboli delle velleità del regime e un affronto alla povertà e degrado in cui la ricca Birmani è stata trascinata. Inoltre, proprio la pratica del lavoro forzato favorisce e accompagna una serie di gravi abusi – dalla violenza sulle donne alla distruzione dei raccolti o di interi centri abitati come ritorsione per un rifiuto, all’arruolamento dei minori – più volte denunciati all’interno e all’estero.
Il lavoro di Khrg, come quello di molti altri gruppi presenti nel Paese ma che faticano a fare sentire la loro voce all’estero, serve anche per ricordare alla comunità internazionale che, mentre l’attenzione dei mass media è concentrata su Yangoon (l’ex Rangoon) e i suoi dintorni, su una attività diplomatica di grande impegno ma di pochi risultati, il Myanmar rurale, che accoglie i tre quarti della popolazione complessiva, continua a soffrire nella morsa della giunta.

Stefano Vecchia

Fonte: Avvenire.it – domenica 16 dicembre 2007

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