Le lingue a Pentecoste non furono date per evangelizzare

Introduzione

Nicola Martella, che è un noto studioso biblico appartenente a quel gruppo di Chiese Evangeliche chiamate ‘Chiese dei fratelli’, insegna che a Pentecoste le lingue furono date per evangelizzare, infatti afferma: ‘Contrariamente alla «profezia», «le lingue servono di segno non per i credenti, ma per i non credenti» (v. 22), ossia serve a comunicare l’Evangelo nella lingua conosciuta dai forestieri (come a Pentecoste)’ (http://www.puntoacroce.altervista.org/Artk/1-Glossolalia_lingue_engramma_MeG.htm) ed ancora: ‘Mentre alla Pentecoste i discepoli usarono le lingue a favore dei gruppi linguistici etero-ebraici, questa non è la prassi odierna nei gruppi entusiastici. Anzi, coloro che fanno delle ‘crociate’ in altri paesi a favore della glossolalia, hanno normalmente bisogno di traduttori’ (Nicola Martella, Carismosofia, 1995, pag. 72).

Questo insegnamento ha lo scopo di dimostrare che quindi le lingue dei Pentecostali non sono vere lingue, perché esse non vengono usate in questo senso.

Confutazione

Questo insegnamento, che è caratteristico di tanti credenti appartenenti soprattutto a Chiese Battiste, Riformate, Chiese dei Fratelli, Chiese Metodiste ecc., è falso. E adesso passerò a dimostrarlo mediante le Scritture.

Il parlare in altre lingue il giorno della Pentecoste

Ora, Luca dice: “E come il giorno della Pentecoste fu giunto, tutti erano insieme nel medesimo luogo. E di subito si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, ed esso riempì tutta la casa dov’essi sedevano. E apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano, e se ne posò una su ciascuno di loro. E tutti furon ripieni dello Spirito Santo, e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito dava loro d’esprimersi. Or in Gerusalemme si trovavan di soggiorno dei Giudei, uomini religiosi d’ogni nazione di sotto il cielo. Ed essendosi fatto quel suono, la moltitudine si radunò e fu confusa, perché ciascuno li udiva parlare nel suo proprio linguaggio. E tutti stupivano e si maravigliavano, dicendo: Ecco, tutti costoro che parlano non son eglino Galilei? E com’è che li udiamo parlare ciascuno nel nostro proprio natìo linguaggio? Noi Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia Cirenaica, e avventizî Romani, tanto Giudei che proseliti, Cretesi ed Arabi, li udiamo parlar delle cose grandi di Dio nelle nostre lingue. E tutti stupivano ed eran perplessi dicendosi l’uno all’altro: Che vuol esser questo? Ma altri, beffandosi, dicevano: Son pieni di vin dolce” (Atti 2:1-13).

Si noti innanzi tutto che quella moltitudine di Giudei si radunò presso il luogo dove sedevano i discepoli del Signore, all’udire il suono come di vento impetuoso che soffiava, per cui essi arrivarono in quel luogo quando i discepoli stavano già parlando in altre lingue per lo Spirito. E cosa dicevano in quelle lingue i discepoli? Furono sentiti parlare delle cose grandi di Dio. Questo fu constatato da quei Giudei che si radunarono e li ascoltarono perché si avvidero che quei Galilei parlavano nelle loro natie lingue delle cose grandi di Dio. Si noti che tutti coloro che parlavano in altre lingue parlavano delle cose grandi di Dio; chi in una lingua, chi in un’altra, ma tutti parlavano delle cose grandi di Dio.

Ma queste cose grandi di Dio possono riferirsi al Vangelo che quei Giudei avevano bisogno di ascoltare? No, il Vangelo in quel parlare in altre lingue non era proclamato. Perché diciamo questo? Perché il Vangelo fu predicato a quei Giudei nella lingua ebraica (nella lingua che essi tutti potevano capire) da Simon Pietro, quando questi si alzò assieme agli undici dopo che sentì che alcuni si facevano beffe di loro pensando che fossero ubriachi.

Ecco quello che disse Pietro in quella predicazione: “Ma Pietro, levatosi in piè con gli undici, alzò la voce e parlò loro in questa maniera: Uomini giudei, e voi tutti che abitate in Gerusalemme, siavi noto questo, e prestate orecchio alle mie parole. Perché costoro non sono ebbri, come voi supponete, poiché non è che la terza ora del giorno: ma questo è quel che fu detto per mezzo del profeta Gioele: E avverrà negli ultimi giorni, dice Iddio, che io spanderò del mio Spirito sopra ogni carne; e i vostri figliuoli e le vostre figliuole profeteranno, e i vostri giovani vedranno delle visioni, e i vostri vecchi sogneranno dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serventi, in quei giorni, spanderò del mio Spirito, e profeteranno. E farò prodigi su nel cielo, e segni giù sulla terra; sangue, e fuoco, e vapor di fumo. Il sole sarà mutato in tenebre, e la luna in sangue, prima che venga il grande e glorioso giorno, che è il giorno del Signore. Ed avverrà che chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato. Uomini israeliti, udite queste parole: Gesù il Nazareno, uomo che Dio ha accreditato fra voi mediante opere potenti e prodigî e segni che Dio fece per mezzo di lui fra voi, come voi stessi ben sapete, quest’uomo, allorché vi fu dato nelle mani, per il determinato consiglio e per la prescienza di Dio, voi, per man d’iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste; ma Dio lo risuscitò, avendo sciolto gli angosciosi legami della morte, perché non era possibile ch’egli fosse da essa ritenuto. Poiché Davide dice di lui: Io ho avuto del continuo il Signore davanti agli occhi, perché egli è alla mia destra, affinché io non sia smosso. Perciò s’è rallegrato il cuor mio, e ha giubilato la mia lingua, e anche la mia carne riposerà in isperanza; poiché tu non lascerai l’anima mia nell’Ades, e non permetterai che il tuo Santo vegga la corruzione. Tu m’hai fatto conoscere le vie della vita; tu mi riempirai di letizia con la tua presenza. Uomini fratelli, ben può liberamente dirvisi intorno al patriarca Davide, ch’egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora al dì d’oggi fra noi. Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli avea con giuramento promesso che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, antivedendola, parlò della risurrezione di Cristo, dicendo che non sarebbe stato lasciato nell’Ades, e che la sua carne non avrebbe veduto la corruzione. Questo Gesù, Iddio l’ha risuscitato; del che noi tutti siamo testimoni. Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio, e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite. Poiché Davide non è salito in cielo; anzi egli stesso dice: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello de’ tuoi piedi. Sappia dunque sicuramente tutta la casa d’Israele che Iddio ha fatto e Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (Atti 2:14-36).

Ora, io dico, se i circa centoventi quando cominciarono a parlare in lingue si rivolgevano agli increduli annunciando il Vangelo che bisogno c’era che Pietro annunciasse loro il Vangelo in ebraico? Nessuno. Dunque quei credenti non potevano rivolgersi agli uomini increduli mediante il loro parlare in lingue. E questo è confermato dal fatto che i Giudei furono compunti nel cuore dopo aver ascoltato la predicazione di Pietro fatta nella loro lingua infatti è scritto: “Or essi, udite queste cose, furon compunti nel cuore…” (Atti 2:37), e non quando sentirono i credenti parlare nel loro natio linguaggio. In quell’occasione rimasero meravigliati, perplessi, ma non compunti nel cuore. Il compungimento venne solo quando sentirono dire a Pietro che quell’uomo Gesù che i Giudei avevano crocifisso era stato risuscitato da Dio, e che egli era stato fatto da Dio Signore e Cristo. Ed è confermato non solo da questo fatto, ma anche dalle parole che quei Giudei rivolsero a Pietro e agli altri apostoli, cioè: “Fratelli, che dobbiam fare?” (Atti 2:37); infatti se quei Giudei avevano già sentito la predicazione nel loro nativo linguaggio avrebbero di certo sentito dire che si dovevano ravvedere e farsi battezzare nel nome di Cristo, mentre il fatto che dopo averli sentiti parlare in altre lingue ancora non sapevano cosa dovevano fare vuol dire che in quelle “cose grandi di Dio” non era menzionato quello che essi dovevano fare. Come d’altronde anche nella predicazione di Pietro non c’era quello che essi dovevano fare; quello che dovevano fare fu loro detto dopo che Pietro ebbe terminato di predicare il Vangelo.

Questo errore di pensare che le lingue siano date per l’evangelizzazione fu fatto da molti Pentecostali all’inizio dello scorso secolo in America (quindi nei primi anni del Movimento Pentecostale). Infatti inizialmente molti pensarono che le lingue che si ricevevano col battesimo con lo Spirito Santo servissero a predicare il Vangelo, e alcuni partirono per dei paesi stranieri pensando che là avrebbero predicato con quelle lingue, ma poco tempo dopo tornarono a casa delusi.

Il parlare in lingue è diretto a Dio e non agli uomini

Questo errore, come abbiamo visto, viene fatto tuttora da tanti perché essi ignorano le parole di Paolo ai Corinzi: “Chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio” (1 Cor. 14:2). Notate con quanta chiarezza Paolo spiega in che direzione è rivolto il parlare in altra lingua. Non è diretto verso gli uomini, ma verso Dio.

Ma vediamo altri passi della Scrittura, contenuti nella prima lettera di Paolo ai Corinzi, che attestano che il parlare in altra lingua è un parlare rivolto a Dio e non agli uomini:

● Paolo più avanti dice: “Se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Che dunque? Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelligenza” (1 Corinzi 14:14-15);

Come si può vedere molto bene, qui Paolo parla di pregare in altra lingua (o pregare con lo spirito) e siccome sappiamo che la preghiera è diretta a Dio e non agli uomini, questo conferma che il parlare in altra lingua è diretto a Dio. Per ciò che riguarda il pregare con lo spirito che è menzionato da Paolo anche agli Efesini quando dice: “Orando in ogni tempo, per lo Spirito, con ogni sorta di preghiere e di supplicazioni” (Efesini 6:18), e da Giuda nella sua epistola quando dice: “Ma voi, diletti, edificando voi stessi sulla vostra santissima fede, pregando mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio” (Giuda 20-21), vi ricordo che esso si riferisce all’intercessione che lo Spirito di Dio compie per i santi secondo che è scritto ai Romani: “Parimente ancora, lo Spirito sovviene alla nostra debolezza; perché noi non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e Colui che investiga i cuori conosce quale sia il sentimento dello Spirito, perché esso intercede per i santi secondo Iddio” (Romani 8:26-27). Quindi chi prega in altra lingua chiede a Dio mediante lo Spirito, di fare determinate cose in favore nostro e dei santi sulla faccia della terra. E’ chiaro che siccome che l’intercessione la compie (in altra lingua) lo Spirito di Dio che conosce a fondo tutti i bisogni nostri (anche quelli che ignoriamo) e di tutti gli altri figliuoli di Dio, le cose che Egli domanda a Dio costituiscono dei misteri per noi, cioè delle cose occulte. Faccio un esempio: se lo Spirito di Dio sta intercedendo per dei fratelli da noi non conosciuti che si trovano in Africa in un particolare urgente bisogno, noi non sapremo mai che lo Spirito stava in quel momento facendo quella particolare intercessione; a meno che ci sia chi interpreti per lo Spirito quella intercessione dello Spirito Santo. In questo caso naturalmente i misteri verranno a conoscenza dei fratelli mediante appunto l’interpretazione del parlare in altra lingua.

● Paolo dice: “Salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l’intelligenza” (1 Corinzi 14:15); questo salmeggiare si riferisce al cantare a Dio dei cantici spirituali mediante lo Spirito. E’ implicito anche qui il fatto che esso si riferisce ad un parlare diretto a Dio e non agli uomini.

● Paolo dice pure: “Altrimenti, se tu benedici Iddio soltanto con lo spirito, come potrà colui che occupa il posto del semplice uditore dire ‘Amen’ al tuo rendimento di grazie, poiché non sa quel che tu dici? Quanto a te, certo, tu fai un bel ringraziamento; ma l’altro non è edificato” (1 Corinzi 14:16-17); notate sia l’espressione “se tu benedici Iddio soltanto con lo spirito”, e sia quella “tu fai un bel ringraziamento” perchè esse confermano che chi parla in altra lingua non parla agli uomini ma a Dio perché benedice Dio e lo ringrazia.

Il parlare in altre lingue a casa di Cornelio e ad Efeso

Vediamo ora di esaminare gli altri casi che sono narrati nel libro degli Atti degli apostoli in cui dei credenti parlarono in altre lingue, per vedere se vi è un qualche riferimento che possa confermare che il loro parlare in altre lingue era rivolto agli uomini, in quanto tramite di esso si comunicava il Vangelo, e non a Dio.

● A casa di Cornelio, mentre Pietro predicava la Parola a Cornelio ed a coloro che erano lì con lui avvenne che “lo Spirito Santo cadde su tutti coloro che udivano la Parola. E tutti i credenti circoncisi che erano venuti con Pietro, rimasero stupiti che il dono dello Spirito Santo fosse sparso anche sui Gentili; poiché li udivano parlare in altre lingue, e magnificare Iddio” (Atti 10:44-46). Anche in questo caso non si può dire che il parlare in lingue era rivolto agli uomini, perché non c’è il benché minimo accenno a ciò. E poi se quel parlare in lingue fosse stato dato per evangelizzare anche in quell’occasione, chi erano coloro che là a casa di Cornelio avevano bisogno di essere evangelizzati se lo Spirito cadde su tutti coloro che ascoltavano la Parola, e quindi non c’erano più increduli in quella casa?

● Ad Efeso, quando lo Spirito Santo scese su quei circa dodici discepoli è scritto che “parlavano in altre lingue, e profetizzavano” (Atti 19:6). Notate come il profetizzare è citato separatamente dal parlare in altre lingue appunto perché chi parla in altra lingua non sta profetizzando, cioè non sta parlando agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione, ma parla a Dio. E quindi quegli uomini non potevano comunicare il Vangelo in altre lingue. E poi, anche qui, se le lingue fossero state date per evangelizzare, chi erano coloro che quegli uomini si misero ad evangelizzare se oltre a loro che erano discepoli di Cristo c’era solo l’apostolo Paolo che era anche lui un credente?

Spiegazione del passo biblico preso per sostenere che chi parla in altra lingua comunica il Vangelo

Vediamo ora di spiegare le parole di Paolo: “Le lingue servono di segno non per i credenti, ma per i non credenti” (1 Corinzi 14:22). Ora poco prima, Paolo cita queste parole del profeta Isaia: “Io parlerò a questo popolo per mezzo di gente d’altra lingua, e per mezzo di labbra straniere; e neppure così mi ascolteranno, dice il Signore” (1 Corinzi 14:21), volendo significare che il Signore avrebbe parlato al suo popolo d’Israele mediante il segno delle lingue. Ma Paolo non dice che Dio avrebbe fatto parlare direttamente agli Ebrei mediante le lingue, appunto perché il parlare in altre lingue è rivolto a Dio e non agli uomini.

Ricordatevi di quello che avvenne il giorno della Pentecoste. Non è forse vero che Dio parlò ai Giudei stranieri mediante dei Galilei? Non è forse vero che Dio fece meravigliare quei Giudei stranieri mediante quel segno del parlare in lingue quantunque il parlare in altre lingue non era rivolto direttamente a loro? Certo che è così, infatti le lingue, dice Paolo, “servono di segno non per i credenti, ma per i non credenti” (1 Corinzi 14:22). Vedete? Dio mediante le lingue parlò ai Giudei radunatisi in quel giorno perché li fece meravigliare e stupire.

I segni parlano da loro stessi, ricordatevelo questo; non importa di che tipo essi siano, essi testimoniano della grandezza di Dio ma anche della presenza di Dio. A conferma di ciò vi sono le seguenti parole che Gesù disse ai Giudei: “Ma io ho una testimonianza maggiore di quella di Giovanni; perché le opere che il Padre mi ha dato a compiere, quelle opere stesse che io fo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” (Giovanni 5:36); e queste altre che Dio disse a Mosè quando lo mandò in Egitto con il potere di mutare il bastone in serpente e di colpire la sua mano di lebbra: “Se non ti crederanno e non daranno ascolto alla voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo segno…” (Esodo 4:8). Notate le espressioni “alla voce del primo segno”, “alla voce del secondo segno” perché esse confermano che i segni di Dio parlano. Quindi dato che anche quello delle lingue è uno dei segni di Dio per gli increduli, noi concludiamo che Dio parla agli increduli mediante le lingue, (ben inteso, mediante il segno delle lingue e non mediante i cosiddetti ‘messaggi in lingue’). E questo è esattamente quello che è avvenuto varie volte, perché ci sono stati degli Ebrei che Dio ha fatto meravigliare e stupire facendogli sentire dei Gentili cantare e pregare in lingua ebraica, e alcuni di loro sono stati tratti all’ubbidienza della fede dopo essere stati testimoni di quel segno portentoso, vale a dire dopo avere sentito dei Gentili pregare o cantare in lingua ebraica senza che questi conoscessero la lingua ebraica.

Dunque, alla luce di quanto dice la Scrittura, bisogna categoricamente rigettare la tesi di Martella e di tutti quegli altri Evangelici che la pensano come lui.

Nessuno vi seduca con vani ragionamenti

Giacinto Butindaro

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