La Chiesa Cattolica Romana – Indice > I sacramenti > L’eucarestia (la messa)
La cena del Signore è chiamata eucarestia; quando il prete consacra il pane e il vino avviene un mutamento di sostanza degli elementi per cui il pane e il vino diventano il vero corpo e sangue di Cristo. Il pane quindi va adorato con il culto di latria. L’eucarestia va servita al popolo solo sotto la specie del pane. I comunicanti devono prendere l’eucarestia a digiuno. L’eucarestia è anche la messa ossia la ripetizione del sacrificio di Cristo; sacrificio che viene offerto per i vivi e per i morti per la propiziazione dei loro peccati. La messa va offerta anche in onore dei santi. L’eucarestia rimette i peccati veniali e preserva da quelli mortali.
I Cattolici romani chiamano la cena del Signore eucarestia, che viene dal greco eucharistia che significa ‘ringraziamento’, a ricordo del ringraziamento fatto da Gesù Cristo prima di rompere il pane e di distribuire il calice nella notte in cui fu tradito.[1] I teologi papisti a proposito di questo sacramento affermano: ‘L’Eucarestia è il Sacramento che, sotto le apparenze del pane e del vino, contiene realmente Corpo, Sangue, Anima e Divinità del Nostro Signore Gesù Cristo per nutrimento delle anime’,[2] e questo perché secondo la teologia romana l’ostia che viene usata nella comunione, nelle mani del prete, diventa il corpo, sangue, anima e divinità di Gesù Cristo (questa dottrina è chiamata transustanziazione). Voglio a tale proposito citare le parole del Perardi, per farvi comprendere che cosa viene insegnato ai Cattolici romani riguardo all’eucarestia: ‘Ministro dell’Eucarestia è il sacerdote; egli pronunciando, nella Messa le parole di Gesù Cristo, cioè della consacrazione, sul pane e sul vino, applicando cioè la forma alla materia, cambia il pane nel Corpo e il vino nel Sangue di Gesù Cristo’;[3] ‘Dopo la consacrazione, l’ostia non è più pane; il pane è mutato nel vero Corpo di nostro Signore Gesù Cristo. (…) L’ostia sembra pane, o meglio sembra ostia; ma dell’ostia-pane non vi è più la sostanza ma solo le specie, le apparenze esterne; in realtà essa è il corpo di Gesù Cristo, vivo e vero. Nel calice prima della consacrazione si contiene vino con alcune gocce d’acqua (…) Dopo la consacrazione, nel calice non vi è più vino; invece, sotto le specie del vino, vi è il vero e reale Sangue di nostro Signore Gesù Cristo. Il vino si è convertito nel Sangue di Gesù Cristo (…) Perciò come al pronunziarsi della divina parola, nella creazione, le cose che prima non erano, furono; così al pronunziarsi delle parole della consacrazione, quello che era pane, diviene Corpo di Nostro Signore, e quello che era vino, suo Sangue’.[4] Il dogma della transustanziazione (termine che significa ‘cambiamento di sostanza’) fu proclamato dal concilio Laterano IV nel 1215 sotto il papato di Innocenzo III, e il concilio di Trento ha lanciato il seguente anatema contro chi non l’accetta: ‘Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e, quindi, tutto il Cristo, ma dirà che esso vi è solo come in un simbolo o una figura, o solo con la sua potenza, sia anatema’.[5] A sostegno di questo dogma i teologi papisti prendono le parole di Gesù: “Questo è il mio corpo”[6]e: “Questo è il mio sangue”[7] da lui pronunciate dopo avere reso grazie per il pane e il calice nella notte in cui fu tradito.
Va tenuto presente però che, quantunque nell’eucarestia vengano consacrati sia il pane che il vino, l’eucarestia viene servita al popolo solo sotto la specie del pane perché la curia romana vieta il calice a quelli chiamati laici (i preti possono invece comunicarsi sia con il calice che con l’ostia) rifacendosi alla decisione di vietarlo presa dal concilio di Costanza nel 1415, confermata dal seguente decreto del concilio di Trento: ‘Poiché, anche se Cristo signore, nell’ultima cena istituì e diede agli apostoli questo sacramento sotto le specie del pane e del vino, non è detto, però, che quella istituzione e quella consegna voglia significare che tutti i fedeli per istituzione del Signore siano obbligati a ricevere l’una e l’altra specie’.[8] E per difendere questa soppressione essa ha lanciato l’ennesimo anatema contro chi dirà che tutti i fedeli devono prendere il calice con le seguenti parole: ‘Se qualcuno dirà che tutti e singoli i fedeli cristiani devono ricevere l’una e l’altra specie del santissimo sacramento dell’eucarestia per divino precetto (….) sia anatema’.[9] Ma quali sono le giustificazioni addotte dalla curia romana a questa mutilazione? Le seguenti: 1) Gesù diede il calice solo agli apostoli; 2) quando negli Atti degli apostoli è detto che i discepoli rompevano il pane non è detto che si beveva il vino; 3) il calice è inutile perché il sangue di Cristo si prende già nel pane eucaristico.
Va poi fatto notare che l’eucarestia deve essere presa a digiuno perché nel 1415 il concilio di Costanza decretò quanto segue: ‘…sebbene Cristo abbia istituito questo venerando sacramento dopo la cena e lo abbia distribuito ai suoi apostoli sotto entrambe le specie del pane e del vino, ciò non ostante, la lodevole autorità dei sacri canoni e la consuetudine autorevole della chiesa ha ritenuto e ritiene che questo sacramento non debba celebrarsi dopo la cena né essere ricevuto da fedeli non digiuni, eccetto il caso di infermità o di altra necessità, concesso o approvato dal diritto o dalla chiesa’.[10] Questo digiuno imposto ai comunicanti è chiamato eucaristico e secondo il Codice di diritto canonico consiste nell’astensione da qualsiasi cibo o bevanda eccetto l’acqua naturale per almeno un’ora prima di prendere l’eucarestia.
Secondo il catechismo cattolico ‘l’Eucarestia non è solo un Sacramento, ma è anche il sacrificio permanente del Nuovo Testamento, e come tale si chiama la santa Messa’.[11] In altre parole, l’eucarestia, chiamata dai Cattolici anche santa messa, é la ripetizione del sacrificio che Cristo ha compiuto sulla croce, infatti il catechismo cattolico dice a proposito della messa: ‘La santa Messa è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo che, sotto le specie del pane e del vino, si offre dal sacerdote a Dio sull’altare, in memoria e rinnovazione del sacrificio della Croce’.[12] Secondo la teologia romana quindi il sacerdote che ha ricevuto l’ordine, sotto le specie del pane e del vino, offre a Dio sull’altare il sacrificio del corpo di Cristo. Questa è la ragione per cui essi affermano che ‘durante la Messa l’altare è come il Calvario’![13] E sempre questa è la ragione per cui è stato dato il nome di ostia a quella cosa che il prete consacra perché hostia è una parola latina che significa ‘vittima’. Qualcuno dirà: ‘Ma questo sacrificio è anche propiziatorio per la teologia romana?’ Certo; infatti il concilio di Trento ha decretato quanto segue: ‘Il santo sinodo insegna che questo sacrificio è veramente propiziatorio, e che per mezzo di esso – se di vero cuore e con retta fede, con timore e riverenza ci avviciniamo a Dio contriti e pentiti – noi possiamo ottenere misericordia e trovare grazia in un aiuto propizio. Placato, infatti, da questa offerta, il Signore, concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdona i peccati e le colpe anche gravi’.[14] I passi che i teologi papisti prendono per sostenere questa dottrina sul sacrificio espiatorio della messa offerto dai sacerdoti cattolici a Dio sono i seguenti: “Poiché ogni sommo sacerdote, preso di fra gli uomini, é costituito a pro degli uomini, nelle cose concernenti Dio, affinché offra doni e sacrificî per i peccati”;[15] e: “Poiché dal sol levante fino al ponente grande é il mio nome fra le nazioni, e in ogni luogo s’offrono al mio nome profumo e oblazioni pure..”.[16] Secondo la loro interpretazione data a questi passi i loro sacerdoti sono stati presi fra gli uomini per offrire il sacrificio della messa a Dio per i peccati del popolo e così facendo essi offrono a Dio un oblazione pura che è quella che, secondo loro, il profeta Malachia dice che si offre a Dio in ogni luogo. Contro coloro che non riconosceranno nella messa la ripetizione del sacrificio di Cristo il concilio di Trento ha lanciato i suoi anatemi infatti ha detto: ‘Se qualcuno dirà che nella messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto non significa altro se non che Cristo ci viene dato a mangiare, sia anatema’;[17] ed anche: ‘Se qualcuno dirà che col sacrificio della messa si bestemmia contro il sacrificio di Cristo consumato sulla croce; o che con esso si deroga all’onore di esso, sia anatema’.[18]
La messa, secondo la teologia romana, fa parte del cosiddetto suffragio che i viventi devono compiere a pro delle anime che sono nel purgatorio infatti nel catechismo romano troviamo scritto: ‘I mezzi principali con cui possiamo sollevare le anime del Purgatorio sono quelli che il Catechismo ci ha ricordati: cioè; Le preghiere, le Indulgenze, le elemosine, le opere buone e soprattutto la santa Messa. Il frutto di queste opere, applicato alle anime del Purgatorio, prende il nome di suffragio, perché suffraga, cioè allevia le pene delle anime del Purgatorio e ne affretta la liberazione’.[19] Mediante questo loro suffragio, essi ottengono come contraccambio le preghiere e le intercessioni delle anime che secondo loro sono nel purgatorio! E per sostenere tutto ciò, i teologi papisti si rifanno al fatto descritto nel libro dei Maccabei, secondo il quale Giuda il Maccabeo fece raccogliere del denaro e lo mandò a Gerusalemme affinché venisse offerto un sacrificio per i peccati di alcuni caduti in guerra.[20]
La messa viene offerta pure in onore ai santi. A tale riguardo così si espresse il concilio di Trento: ‘E quantunque la chiesa usi talvolta offrire messe in onore e in memoria dei santi, essa, tuttavia, insegna che non ad essi viene offerto il sacrificio, ma solo a Dio, che li ha coronati. Per cui, il sacerdote non è solito dire: Offro a te il sacrificio, Pietro e Paolo; ma, ringrazio Dio per le loro vittorie, chiede il loro aiuto; perché vogliano intercedere per noi in cielo, coloro di cui celebriamo la memoria qui, sulla terra’,[21] e: ‘Chi dirà che celebrare messe in onore dei santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come la chiesa intende, è un impostura, sia anatema’.[22]
La dottrina della transustanziazione ha dato luogo all’introduzione della dottrina che dice che l’ostia é degna di essere adorata. L’adorazione dell’ostia fu introdotta da Onorio III nel 1220, e fu confermata dal concilio di Trento nel 1551 con queste parole: ‘Non vi è, dunque, alcun dubbio che tutti i fedeli cristiani secondo l’uso sempre ritenuto nella chiesa cattolica, debbano rendere a questo santissimo sacramento nella loro venerazione il culto di latria, dovuto al vero Dio’,[23] e così i teologi cattolici insegnano al popolo che l’Eucarestia si conserva nei luoghi di culto[24] della chiesa cattolica perché i fedeli l’adorino. Le conseguenze? Ci sono milioni di persone nel mondo che si inginocchiano davanti all’ostia e l’adorano credendo che essa sia Gesù Cristo stesso e perciò Dio. Anche per difendere il dogma dell’adorazione dell’ostia il concilio di Trento ha lanciato il suo ennesimo anatema contro coloro che non l’accettano. Eccolo: ‘Se qualcuno dirà che nel santo sacramento dell’eucarestia Cristo, unigenito figlio di Dio, non debba essere adorato con culto di latria, anche esterno; e, quindi, che non debba neppure essere venerato con qualche particolare festività; ed essere portato solennemente nelle processioni, secondo il lodevole ed universale rito e consuetudine della santa chiesa; o che non debba essere esposto alla pubblica venerazione del popolo, perché sia adorato; e che i suoi adoratori sono degli idolatri, sia anatema’.[25]
Per ciò che riguarda gli effetti della eucarestia su coloro che la prendono degnamente leggiamo quanto segue: ‘L’Eucarestia, in chi la riceve degnamente, conserva e accresce la grazia, che è la vita dell’anima, come fa il cibo per la vita del corpo; rimette i peccati veniali e preserva dai mortali; dà spirituale consolazione e conforto, accrescendo la carità e la speranza della vita eterna di cui è pegno’.[26]
Ora, nella chiesa romana il sacramento dell’eucarestia non viene reputato assolutamente necessario alla salvezza infatti il Bartmann afferma: ‘Quantunque gli adulti siano strettamente obbligati per legge divina e precetto ecclesiastico a ricevere l’Eucarestia, tuttavia essa non è indispensabile per la salvezza. – E’ di fede’.[27] E questo perché secondo la teologia romana i sacramenti necessari alla salvezza sono il battesimo e la penitenza per chi è caduto in peccati ‘mortali’ dopo il battesimo.
Occorre dire però che nella chiesa romana il sacramento dell’eucarestia un tempo era reputato indispensabile alla salvezza infatti sia Innocenzo I (401-417) che Gelasio I (492-496) insegnavano che i bambini non potevano salvarsi senza questo sacramento. Anche Agostino affermava l’assoluta necessità del sacramento dell’eucarestia per la salvezza infatti disse: ‘Se tante e così importanti testimonianze concordano, nessuno senza il Battesimo ed il sangue del Signore può sperare la salvezza e la vita eterna, invano, senza questi sacramenti, la vita eterna è promessa ai bambini’.[28] Questa assoluta necessità del sacramento dell’eucarestia per la salvezza dei bambini è stata poi condannata dal concilio di Trento in questi termini: ‘Se qualcuno dirà che la comunione eucaristica è necessaria ai bambini anche prima che abbiano raggiunto l’età di ragione, sia anatema’.[29] Ora, benché, secondo quello che il concilio di Trento ha decretato, questo sacramento non è indispensabile alla salvezza, Giuseppe Perardi nel Nuovo Manuale del Catechista ne parla in maniera da attribuirgli il potere di salvare infatti afferma: ‘Dovendo l’infermo in pericolo di morte, fare la comunione, anche i parenti, i congiunti, hanno dovere e ben grave di avvertirlo del suo stato e di aiutarlo a provvedere per tempo al suo dovere e al suo bisogno; hanno anzi responsabilità dell’anima sua. Da loro può dipendere che si salvi o si perda, secondo che riceve o no i Sacramenti’[30] (comunione ed estrema unzione); e parlando di quelli che per vani pretesti non fanno la comunione dice: ‘Verrà l’ora della pena, della tentazione, della morte; avrebbero bisogno della comunione per conforto, per aiuto, per salvezza; ma o non la faranno, o, generalmente, non la faranno bene. Infelici in vita coloro che non frequentano la comunione; più infelici nell’eternità!’.[31] E sempre questo teologo per sostenere che prendere la comunione significa ricevere la vita eterna in se stessi perché si riceve la carne ed il sangue di Cristo cita le seguenti parole di Gesù: “In verità, in verità io vi dico che se non mangiate la carne del Figliuol dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne é vero cibo e il mio sangue é vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, ed io in lui. Come il vivente Padre mi ha mandato e io vivo a cagion del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a cagion di me… chi mangia di questo pane vivrà in eterno”;[32] e le commenta dicendo: ‘Gesù promette la risurrezione finale e la vita eterna a chi mangia la sua carne e minaccia la privazione della vita eterna a chi non mangia la sua carne..’,[33] ed anche: ‘Gli Ebrei mangiarono la manna e morirono; chi mangia l’eucarestia vivrà eternamente’.[34] Badate che queste parole del Vangelo scritto da Giovanni erano prese anche da Innocenzo I, Gelasio I e Agostino per sostenere l’assoluta necessità del sacramento dell’eucarestia per la salvezza.
[1] “Poi, avendo preso del pane, rese grazie (verbo greco: eucharisteo) e lo ruppe….” (Luca 22:19); “Poi, preso un calice e rese grazie (verbo greco: eucharisteo), lo diede loro…” (Matt. 26:27).↩
[2] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 471↩
[3] Ibid., pag. 474↩
[4] Ibid., pag. 483-484↩
[5] Concilio di Trento, Sess. XIII, can. 1↩
[6] Matt. 26:26↩
[7] Matt. 26:28↩
[8] Concilio di Trento, Sess. XXI, cap. 1↩
[9] Concilio di Trento, Sess. XXI, can. 1↩
[10] Concilio di Costanza, Sess. XIII↩
[11] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 507. Sacrificio istituito da Gesù Cristo stesso perché Perardi dice: ‘Gesù Cristo istituì l’Eucarestia, perché fosse nella Messa il sacrificio permanente del Nuovo Testamento’ (Ibid., pag. 476).↩
[12] Ibid., pag. 509. Il nome messa deriva dal latino Missa (p. pass. di Mittere ‘mandare’) che era parte della formula di congedo con cui i sacerdoti pagani alla fine delle loro funzioni licenziavano il popolo: Ite, Missa, est che significava ‘Andate, è stata mandata’.↩
[13] Ibid., pag. 507↩
[14] Concilio di Trento, Sess. XXII, cap. II↩
[15] Ebr. 5:1↩
[16] Mal. 1:11↩
[17] Concilio di Trento, Sess. XXII, can. 1↩
[18] Concilio di Trento, Sess. XXII, can. 4↩
[19] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 173↩
[20] Cfr. 2 Maccabei 12:38-45↩
[21] Concilio di Trento, Sess. XXII, cap. III↩
[22] Concilio di Trento, Sess. XXII, can. 5↩
[23] Concilio di Trento, Sess. XIII, cap. V↩
[24] Siccome che non tutti i luoghi di culto della chiesa cattolica si possono chiamare basiliche perché ‘le Basiliche sono Chiese celebri anche come importanza materiale, – che dal Papa furono onorate di tale titolo’ (Giuseppe Perardi, Manuale del Catechista, Padova 1962, pag. 643), e siccome che nessuno di essi si può chiamare neppure Chiesa perché la Scrittura insegna che la Chiesa è l’assemblea dei riscattati dal presente secolo malvagio e quindi un edificio non fatto di pietre, mattoni o cemento, ma un edificio spirituale che ha da servire di dimora a Dio (cfr. Ef. 2:22; Atti 12:5; Rom. 16:5) ho deciso di chiamarli semplicemente luoghi di culto e di tanto in tanto basiliche solo quando il titolo di basilica gli è riconosciuto dai Cattolici romani o mi riferisco ai luoghi di culto del periodo storico in cui venivano tutti denominati basiliche.↩
[25] Concilio di Trento, Sess. XIII, can. 6↩
[26] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 503↩
[27] Bernardo Bartmann, op. cit., pag. 192↩
[28] Citato da Bernardo Bartmann in op. cit., pag. 193↩
[29] Concilio di Trento, Sess. XXI, can. 4↩
[30] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 497↩
[31] Ibid., pag. 501↩
[32] Giov. 6:53-57,58↩
[33] Ibid., pag. 481↩
[34] Ibid., pag. 505↩