La Chiesa Cattolica Romana – Indice > Dottrine e pratiche varie > Il pagamento dei tributi > Confutazione – Cristo quando fondò la sua Chiesa, e gli apostoli in seguito non affermarono mai che i beni materiali della Chiesa e coloro che in essa svolgono una particolare opera hanno il diritto divino di essere esentati dal pagamento dei tributi allo Stato
Gesù disse: “Rendete dunque a Cesare quel ch’è di Cesare, e a Dio quel ch’è di Dio”.[1] E si tenga presente che queste parole egli le disse ai Giudei che erano in quel tempo sotto la dominazione romana e perciò schiavi di un’altra nazione sul proprio territorio che Dio aveva dato ad Abrahamo come eredità perpetua.
Paolo inoltre ha scritto ai santi di Roma: “Rendete a tutti quel che dovete loro: il tributo a chi dovete il tributo; la gabella a chi la gabella…”.[2]
Le cose sono chiare: tutti i credenti sono chiamati in qualunque nazione vivano a pagare allo Stato di cui fanno parte i tributi che esso impone loro. Questo obbligo si estende quindi anche ai ministri del Vangelo che sono a pieno tempo e quindi vivono del Vangelo non avendo un lavoro secolare. Nel loro caso però occorre tener presente la legislazione dello Stato in materia, perché in taluni casi lo Stato – quando il pastore (ecc.) di una Chiesa non avrà determinati requisiti, come quello di far parte di una chiesa riconosciuta da esso come ente giuridico – non esige il pagamento delle tasse sulle loro entrate (mi riferisco qui alle offerte o allo stipendio che riceve dalla chiesa in cui adempie il suo ministerio). Alla luce dell’insegnamento della Parola di Dio dunque, non vi è ministro del Vangelo nella Chiesa che può affermare di avere ricevuto da Dio il diritto di non pagare tasse sulle sue entrate per questo o per quell’altro motivo. Anche per quanto riguarda le proprietà che può possedere o ne entra in possesso il ministro del Vangelo, o una Chiesa, vale lo stesso discorso; non esiste un diritto basato sul Vangelo per cui queste proprietà hanno il diritto di essere esentasse. Considerando bene la cosa, dobbiamo dire che se Dio avesse dato questo diritto ad alcuni suoi servitori e alla sua Chiesa, il che avrebbe implicato che lo Stato aveva l’obbligo da parte di Dio di non imporre tasse ai ministri di Chiesa ed alle loro proprietà o alle proprietà della Chiesa (se questa ne fosse venuta in possesso), Egli si sarebbe reso colpevole di un’ingiustizia che avrebbe fatto biasimare la sua dottrina. Ma Dio è giusto e non può commettere ingiustizie di nessun genere; per questo non ha accordato ai suoi ministri ed alla sua Chiesa un tale diritto che si sarebbe rivelato nei confronti degli altri cittadini di una nazione una evidente ingiustizia. Errano dunque i teologi papisti nell’affermare che i ministri e le istituzioni della chiesa cattolica romana hanno il diritto di essere esentati dal pagare i tributi all’autorità civile in virtù di un privilegio concessogli da Dio. E come sempre avviene ogni qual volta degli uomini che si dicono Cristiani e ministri della Chiesa di Dio si arrogano nei confronti dello Stato dei diritti inesistenti, essi vengono biasimati. E difatti, per citare un esempio tra i tanti, in un libro che parla dei Patti Lateranensi, scritto da parte non cattolica, prima dell’inizio dell’esposizione del Trattato e del Concordato del 1929 si leggono queste parole di avvertimento: ‘Pochi italiani conoscono ancora i Patti Lateranensi. Quello che segue è il testo integrale. Le parti in neretto sono quelle particolarmente lesive per la Costituzione italiana ed evidenziano i grossi privilegi e le ingerenze della chiesa romana’. E tra le parti in neretto ci sono anche l’art. 17 e l’art. 20 del Trattato, e la lettera H dell’art. 29 del Concordato.
Per quanto riguarda le parole di Gesù a Pietro con cui il Signore affermò che i figli sono esenti dai tributi va detto che con quelle parole Gesù non conferì ai suoi discepoli nessun diritto di non pagare le tasse perché con quella risposta volle soltanto dire a Pietro che lui quale Figlio del Re d’Israele aveva il diritto di non pagare i tributi che ogni Israelita dai vent’anni in su doveva pagare per il mantenimento del culto a Dio. Ma questo diritto lo aveva solo lui, e non anche Pietro con lui. Ma pure, Gesù volle pagare il tributo impostogli dagli uomini per non scandalizzarli e per questo mandò Pietro al mare a gettare l’amo perché avrebbe trovato nella bocca del primo pesce pescato il denaro da dare a coloro che riscuotevano le didramme. E non solo il denaro che doveva pagare lui, ma anche quello che doveva pagare Pietro infatti Gesù gli disse: “… prendi il primo pesce che verrà su; e, apertagli la bocca, troverai uno statère. Prendilo, e dàllo loro per me e per te”.[3] Bell’esempio questo di Gesù di cosa significa non essere d’intoppo agli uomini. Per quanto riguarda infine il fatto dei sacerdoti d’Egitto le cui terre non furono acquistate da Giuseppe per Faraone (essi ricevevano infatti da Faraone una provvisione e vivevano di essa, per questo non venderono le loro terre), per cui essi non furono obbligati a pagare la quinta parte del reddito delle loro terre, si tenga presente che ciò concerneva dei sacerdoti pagani. Essi erano mantenuti da Faraone che era anche lui pagano. In quel comportamento di Faraone verso quei sacerdoti non si ravvisa nessun diritto divino, per i ministri del Vangelo o per le chiese, di non pagare le tasse sui propri beni.