Elytaa – 37 anni
Nel 1975 la mia famiglia come tante altre dovette lasciare Phnom Penh (1). Ci mettemmo in cammino per Battambang, città situata nel nord-ovest della Cambogia, avendo come unico bagaglio una tenda montata da riparo provvisorio.
Due settimane dopo il nostro arrivo in una zona boscosa, dovemmo costruire un campo, abbattere noi stessi gli alberi per fabbricare le case su pali di fondazione.
Nel caos che mi circondava, la mia famiglia era l’unica certezza che mi restava.
Il periodo dei Khmer rossi
Due settimane dopo la costruzione del campo, un mio fratello fu designato per combattere in prima linea. Non l’ho più rivisto… Otto mesi più tardi, un altro mio fratello andò a lavorare in un cantiere lontano. Nel 1977 mio fratellino morì. Lo seppellì mio padre. Mia madre e le mie due sorelle lavoravano ciascuna in gruppi separati, sole, senza proferir parola, poiché un eventuale protesta avrebbe costituito la loro sentenza di morte. Mio padre, lui che era professore, doveva mischiare feci umane e animali, rottami di terra e concimazione verde per produrre concime naturale che avrebbe permesso di aumentare il rendimento delle risiere.
A undici anni fui arruolata in una brigata di trecento ragazze, incaricate di scavare stagni e di effettuare gli sterri delle dighe per le risiere… Questo lavoro era sfibrante.
Durante quei sei lunghi mesi non rividi nessuno della mia famiglia. Sopportavo sempre meno questa separazione, ma i Khmer rossi ci proibivano di piangere: dovevamo essere fiere di lavorare per la ricostruzione di una “società purificata”.
Più in là dovetti a mio turno produrre concime. Sfinita fisicamente e nervosamente, mi ammalai. Mi destinarono allora ad un altro villaggio per mietere il riso con persone anziane dell’età di 60, 70 anni… Nessuno era risparmiato: tutti lavoravano.
Nel 1978, arrestarono mio padre ed altri cinque uomini, li fecero allineare e li abbatterono. Perché? Perché erano stati funzionari prima del 1975. Ex pilota, ex ingegnere, ex professore… questo era il loro crimine!
In seguito a tutti questi choc, con i nervi a pezzi, dimagrivo a vista d’occhio, profondamente disperata: intorno a me la follia era onnipresente. Ognuno agiva di nascosto dal suo vicino, dal suo vecchio amico, tutti vivevano nella paura di essere denunciati. Questa costante angoscia era insopportabile. Ero talmente affamata che mangiavo tutto quello che si presentava ai miei occhi quando riuscivo ad eludere la vigilanza delle guardie: topi, lucertole, cavallette, scarafaggi, scorpioni, pesciolini crudi, le foglie ed i frutti che crescevano ancora sugli alberi selvatici. Ogni giorno, ci distribuivano una razione di riso per venti persone – della capienza di una scatoletta di conserva di latte Nestlé. Ne facevamo una poltiglia così liquida che ognuno aveva appena venti grani di riso da mangiare!
Un’esperienza straordinaria
Ciò che segue sembrerà incredibile eppure…
Un giorno, persi conoscenza. Avvertita di questa notizia, mia madre riuscì di nascosto a scappare dal suo gruppo di lavoro per venire a visitarmi. Fu lei che, più tardi, mi raccontò questo episodio, io non mi ricordo di niente.
Quel coma durò molto tempo. Vedendo che non tornavo in me, la gente del villaggio credette che fossi morta. Mi avevano già avvolta in un lenzuolo funebre quando arrivò mia madre.
Disperata, si accingeva a seppellirmi – un altro dei suoi figli che moriva! – quando una persona sconosciuta le apparve nella foresta e le disse:
– “Non pianga, questa bambina non è ancora morta”.
Si avvicinò a me, mi massaggiò per rianimarmi, mi fece inghiottire delle medicine. Poco dopo ripresi conoscenza.
Mia madre, stupita, si avvicinò per ringraziarla, ma quella persona era scomparsa.
Nel 1979, alla Liberazione, potei ritrovare i membri della mia famiglia che erano sopravvissuti a quell’inferno: eravamo solo sei su tredici…
Insieme, ritornammo a Phnom Penh.
Ero sempre malata ma mia madre mi fece curare finché non mi fui ristabilita.
Più tardi, potei ritornare a scuola, sostenere gli esami. Diventai insegnante nel 1987.
Alla ricerca della pace e della guarigione
Nonostante numerosi atti di beneficenza compiuti per ottenere pace interiore e guarigione, ero lontana dall’essere felice.
Avevo ogni sorta di poteri occulti e divinatori: molte persone venivano a consultarmi per essere guarite o perché gli predicessi l’avvenire. Ma io pagavo il prezzo di quei poteri occulti: quando nei giorni consacrati omettevo di offrire le mie offerte mensili agli spiriti (betel, noce d’areca e di cocco, candele, bacchette d’incenso…) sentivo un malessere e mi ammalavo.
Era molto duro. Volevo essere liberata da quei poteri ma non sapevo come fare. Vivevo talvolta presso gli amici, talvolta presso i parenti. La mia sfrenata ricerca della salvezza mediante l’invocazione degli astri solare e lunare non mi sollevava.
Avevo sempre avuto un grandissimo rispetto per i bonzi. Nei giorni consacrati, offrivo loro del cibo, in cambio essi recitavano preghiere di benedizione per la mia vita. L’acqua benedetta con cui mi aspergevano quando m’inginocchiavo ai loro piedi doveva allontanare dalla mia vita ogni disgrazia o incidente. Con questa attitudine pensavo di ottenere dei meriti per la mia reincarnazione e ottenere così una migliore vita futura. Avevo anche partecipato a molte cerimonie monacali: festa dei fiori, entrata e uscita dal Vossa (2), avevo anche fatto un ritiro di tre mesi in un monastero.
Un giorno, Veasna, una ragazza che conoscevo, mi offrì un depliant che parlava di Gesù Cristo. Mi arrabbiai:
– Di che razza sei? Sei cambogiana o barang (3) per adottare un dio straniero? I Khmer sono buddisti! Non mi parlare mai più di cristianesimo!!! Ciò non mi piace!!!
Nel marzo del 1993, sentii parlare di missionari venuti ad installarsi a Kompong Saom per annunciare l’Evangelo. Per pura curiosità, cominciai ad assistere alle loro riunioni: ne volevo sapere di più sul cristianesimo, informarmi delle pratiche e dei rituali di questa religione occidentale. Andavo ancora alla pagoda poiché per me tutti gli dèi erano ugualmente buoni.
Un giorno, fui presa da una violenta crisi di tetania. Mi sentivo incatenata. Disperata, pregai Budda, supplicai gli spiriti dei miei antenati paterni e materni (avevo ereditato dei loro geni protettori) di liberarmi, feci appello agli astri lunare e solare, ma senza risultato.
Guarigione e liberazione
Il malore non si attenuava. Allora ricordandomi quello che avevo sentito durante le riunioni cristiane, gridai: “Gesù salvami!” In pochi istanti i miei muscoli si rilassarono e potei tornare a casa in bicicletta.
Avevo però una forte febbre. Due missionari cristiani mi portarono all’ospedale affinché fossi curata e pregarono per la mia guarigione. Fu in quel momento che decisi di togliere il filo protettore che portavo attorno all’anca (4): fu il primo passo verso una rottura con la mia vecchia credenza. Sapevo che Gesù mi aveva guarita, e Gesù solo: non potevo continuare a servire due padroni.
Due giorni dopo, ero ristabilita. Il 24 aprile del 1993, mi convertii. Avevo cercato la guarigione nel bramanesimo, senza risultato. Budda non aveva saputo mettere a tacere le mie sofferenze. Solo il mio grido a Gesù fu efficace. Questo mi bastò per credere nella sua Onnipotenza e riconoscerlo come il Salvatore della mia vita.
A partire da quel giorno cominciai a leggere la Bibbia assiduamente poiché volevo conoscere questo Dio che mi aveva salvata. Il libro dei Proverbi e dei Salmi mi toccarono particolarmente. Ritrovai la pace, l’equilibro mentale e la mia allegrezza di un tempo. Questo cambiamento radicale suscitò molte reazioni: i miei colleghi ed i miei amici si beffavano di me. Provavo a spiegargli la Buona Novella dell’Evangelo ma ciò li scioccava. I bonzi e buddisti che prima frequentavo regolarmente cessarono a poco a poco ogni relazione personale con me.
La resurrezione di Gesù mi turbava moltissimo. Non riuscivo a capire il senso di questo passaggio. Pregavo Dio di illuminarmi. Una notte ebbi un sogno.
Il mio spirito salì sulle nuvole, la terra divenne un punto poi svanì. Presto non la vidi più. Intorno a me, tutto era bianco. Scorsi improvvisamente una bellissima strada di marmo che conduceva ad una chiesa anch’essa bianca, dalla quale si elevavano dei canti che glorificavano Dio.
Un sogno
Accorsi in tutta fretta verso l’altare per partecipare a quella lode. Ma a metà strada, si aprì la porta della chiesa, apparve Gesù e la porta si richiuse. Gesù stava davanti a me!!! Mi prostrai davanti a lui per salutarlo. Non potei vedere la sua faccia, solo la sua veste bianca, di un candore indescrivibile. Si sedette, con le gambe incrociate, e mise il mio capo sulle sue ginocchia. Una felicità ineffabile mi pervase. Aprii gli occhi e chiesi di vedere il suo volto. Ma non potei rialzare la testa poiché dal suo volto scaturiva una luce intensa. Gli rivolsi allora la parola: “Vorrei tanto glorificarti con dei canti e mettermi al tuo servizio!” Mi spiegò che non potevo entrare nella chiesa perché ero vivente: le voci melodiose che udivo erano quelle delle anime dei cristiani già morti. In quel momento vidi cinque angeli, con gli occhi luminosi, d’una bellezza stupenda. Accompagnavano Gesù, svolazzando attorno a lui. Mi sorrisero. Ero estasiata.
Mi risvegliai con il cuore pieno di gioia. Gesù mi aveva ben mostrato che egli era risuscitato e vivente.
Ricerca di un lavoro
Ad un certo punto volli cambiare posto e partire da Kompong Speu dove allora insegnavo. Il mio fidanzato non era d’accordo. Era molto in collera con me da quando ero cristiana. Mi intimò di scegliere tra lui e la fede cristiana.
Pregai per questa situazione e Dio mi mostrò che lui non era la giusta persona per me. Ruppi il fidanzamento. Ciò fu molto difficile… Decisi di andare via da quel posto.
Trovai lavoro all’orfanotrofio di Kompong Saom. Tutti mi accolsero calorosamente. La domenica mattina, resi testimonianza ai bambini della mia vita passata. Cominciava per me una nuova vita… Posso attestare oggi che Dio non abbandona mai coloro che si confidano in Lui. Mai.
(1) Tutti i Cambogiani furono espulsi da Phnom Penh e fecero centinaia di chilometri a piedi per installarsi in villaggi lontani, dove furono sottoposti a lavori forzati.
(2) Vossa: Il primo giorno della luna decrescente d’Asath, (luglio-agosto), i bonzi devono entrare in un periodo di ritiro di tre mesi chiamato “Chaol Vossa” (Entrare nella stagione delle piogge). Questa parola corrisponde al pali “Vossa” che significa “Pioggia”. Fu Budda stesso che istituì questo ritiro.
(3) Barang significa “straniero”.
(4) Cintura di filo di cotone sulla quale sono avvolte delle foglie d’argento o d’oro su cui sono state prima di tutto scritte dai bonzi delle formule magiche per proteggersi dalla magia nera e dagli spiriti maligni. I Cambogiani vivono nella paura degli spiriti e portano ogni sorta di talismani per proteggersi da eventuali maledizioni (morte, malattia…)
Tratto da: Bruno Feuillerat e Sylvie Pouliquen, La pluie des mangues, En Mission Avec Eux, ottobre 2004, pag. 57-61
CIAO SONO ROSARIO DELLA SICILIA ANCHE IO VOGLIO CONOSCERE IL SIGNORE GESU’.