Malaysia: Chiesa evangelica in tribunale contro il divieto di usare la parola “Allah”

La chiesa evangelica della Malaysia ricorre all’Alta Corte dopo la requisizione di alcune sue riviste in cui veniva usata la parola “Allah”. Il ministero della sicurezza interna afferma che “la pubblicazione può creare confusione e controversie nella società malaysiana”. Già all’inizio dell’anno cattolici ed evangelici avevano subito sequestri di giornali e riviste per lo stesso motivo.

Kuala Lumpur – La chiesa evangelica del Borneo è ricorsa in appello contro il divieto di usare la parola “Allah” nelle sue pubblicazioni. Oggi presso la Corte suprema è prevista l’audizione del pastore Jerry Dusing, presidente della chiesa, conosciuta in Malaysia anche come Sidang Injil Borneo (Sib).

La vicenda che oggi approda a Jalan Duta ha preso inizio nell’estate scorsa. Il 15 agosto tre scatole contenenti pubblicazioni realizzate in Indonesia dalla Sib erano state spedite in Malaysia per essere distribuite alla Sunday school (catechismo domenicale) organizzata dalla chiesa evangelica. Una volta arrivate a Sepang, le scatole erano state trattenute da addetti del ministero della Sicurezza interna (Ism) malaysiana. Un mese dopo il pastore Jerry Dusing aveva ricevuto una lettera dell’Ism con cui il ministero gli comunicava che le pubblicazioni cristiane contenenti la parola “Allah” non potevano essere distribuite nel Paese. Tra le ragioni addotte per il divieto, la lettera affermava che “la pubblicazione può creare confusione e controversie nella società malaysiana”.

In risposta la Sib aveva scritto al ministro il 24 settembre ricordandogli che il primo ministro del governo precedente, Mahathir bin Mohamad , aveva concesso l’uso della parola anche nelle pubblicazioni dei cristiani. Da questo scambio di lettere ne è sorta una controversia che ad oggi registra anche la dichiarazione del capo dell’Ism secondo cui il divieto dell’uso della parola “Allah” nelle pubblicazioni dei cristiani è ormai ristabilito. Unica eccezione viene fatta per la Bibbia e per l’uso del termine nel corso delle celebrazioni.

Il blocco delle riviste del Sib non è il primo caso. Nel dicembre 2007 l’Ism aveva bloccato per lo stesso motivo delle riviste riconsegnandole però alla fine di gennaio. Analoga vicenda per la comunità cattolica che sempre in dicembre, aveva subito il divieto di usare la parola “Allah” nelle pagine del settimanale dell’arcidiocesi di Kuala Lumpur. Per “motivi di sicurezza” l’Herald ha dovuto cancellare l’uso della parola, altrimenti rischiava la chiusura. A seguito dell’ordinanza del governo diverse partite di libri cristiani importati erano state sequestrate e l’arcidiocesi aveva deciso di portare in tribunale il governo. La comunità cattolica aveva allora sostenuto la sua posizione rifacendosi agli articoli 10 e 11 della Costituzione che garantiscono la libertà d’espressione e di praticare la propria religione.

In Malaysia quasi il 50% della popolazione è musulmano, i cristiani sono all’incirca l’8%, ma esistono anche comunità indù e buddiste e si calcola che oltre il 20% degli abitanti pratichi religioni popolari della tradizione cinese. Nel Paese operano due sistemi giuridici paralleli: uno federale-civile, regolato dalla Costituzione, ed uno di tipo giuridico-religioso che dovrebbe essere competente solo per i musulmani ed è regolato dalle leggi coraniche. Nella confusione generata da questo parallelismo trova ampio spazio la discriminazione verso fedeli di religioni diverse dall’islam. Sono frequenti i casi di conversioni vietate o forzate e di divieti come quello occorso al Sib e ai cattolici di Kuala Lumpur.

Fonte: AsiaNews – riprodotto con autorizzazione

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