Pakistan: altri casi di “blasfemia” costringono cristiani alla fuga

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Foto: All Pakistan Minorities Alliance

Un dottore cristiano, in prigione da mesi (e per la precisione dal 5 maggio 2008) con l’accusa di “blasfemia”, è stato assolto la scorsa settimana, mentre un altro cristiano e sua figlia sono in carcere con l’accusa di aver profanato il Corano ormai da oltre un mese. Il dott. Robin Sardar della provincia di Punjab (Pakistan) è stato rilasciato il 4 novembre dopo che la sua accusa di blasfemia contro il profeta Maometto era risultata infondata, secondo quanto dichiarato da Ezra Shujaab della All Pakistan Minorities Alliance (Alleanza delle Minoranze Pakistane).

Per arrivare a questo risultato vi è stata una scrupolosa investigazione che ha portato a dichiarare innocente il dott. Sardar. Ma i problemi per quest’uomo e per la sua famiglia non sono finiti con la piena assoluzione. Infatti il dott. Sardar aveva subito delle minacce di morte da parte di un gruppo di abitanti musulmani della sua stessa cittadina, i quali non avevano esitato a dichiararlo morto se fosse stato assolto. Così dal momento dell’incarcerazione (circa sei mesi fa), la sua famiglia è stata costretta a sparire dalla circolazione, in fuga dalle bande di estremisti islamici che sembrano dettare legge in quel paese. Allo stesso modo, anche il dott. Sardar è stato costretto a scappare senza lasciare tracce dopo la sua scarcerazione.

Altri gruppi di estremisti, così com’è accaduto per Sardar e la sua famiglia, non hanno esitato ad imbracciare bastoni e taniche di kerosene, per attaccare la casa di Gulsher Masih, dopo che sua figlia era stata accusata di profanare il Corano, il 9 ottobre scorso nel villaggio di Tehsil Chak Jhumra. Ebbene lui e sua figlia (di 25 anni, il cui nome è Sandal Gulsher) sono in carcere dal 10 ottobre, mentre il resto della famiglia è stata costretta alla fuga. Inutile dire che queste accuse hanno un obiettivo preciso, quello di piegare la volontà dei cristiani e di farli “tornare all’Islam”.

Fonte: Porte Aperte Italia

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Pakistan: Un cristiano processato per blasfemia

Verona (PA) – Finalmente il 17 luglio è cominciato il processo al preside cristiano Pervaiz Masih, due anni e tre mesi dopo il suo arresto per blasfemia. Masih (35 anni) è detenuto da aprile del 2001. Alcuni studenti adolescenti lo hanno accusato di avergli sentito pronunciare parole diffamatorie contro Maometto mentre erano a lezione da lui due mesi prima. In realtà tutte le accuse sono state montate dal preside di una scuola vicina, geloso del successo di Pervaiz. Infatti, secondo un rapporto pubblicato due settimane dopo l’arresto, queste accuse di blasfemia hanno origine da “una rivalità professionale e un odio religioso”. Questo rapporto è stato stilato dalla Commissione dei Diritti Umani del Pakistan (HRCP) e dal Centro di Aiuto Giudiziario che ha sede a Lahore (CLAAS).
Per ragioni di sicurezza, durante i trasferimenti dalla prigione di Sialkot al tribunale, distante una quarantina di minuti di auto, Masih deve essere scortato da alcuni poliziotti. Un anno fa in prigione, Masih è stato aggredito durante il sonno da un compagno di cella. L’assalitore musulmano lo ha colpito al volto con un pezzo di vetro. Ha potuto anche strappare la sua Bibbia prima che i secondini intervenissero
“Fisicamente Pervaiz sta bene”, ha detto uno dei suoi avvocati, “ma psicologicamente, risente dell’atmosfera del processo e le pressioni a cui è sottoposto in prigione gli pesano”. Gli avvocati non si aspettano molto dai giudici in questo processo regionale. “Hanno paura per le pressioni che subiscono dagli avvocati musulmani e dagli estremisti”, dichiara un portavoce del CLAAS. In passato i giudici dei tribunali regionali non hanno rischiato di esaminare le prove di innocenza degli accusati e li hanno condannati.
Oltre a Pervaiz Masih, altri sei cristiani pakistani sono in carcere a causa di questa legge contro la blasfemia molto controversa. Due di loro, arrestati nel 2001, sono ancora in attesa di giudizio, mentre gli altri quattro hanno presentato appello contro la loro condanna a morte o l’ergastolo.

Fonte: Porte Aperte Italia – 25 luglio 2003

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