Coloro che muoiono in Cristo vanno ad abitare con il Signore in cielo

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Fratelli, voglio ribadire con forza che quando un credente muore, egli muore quanto alla carne, ma la sua anima si diparte dal suo corpo e va ad abitare col Signore nei luoghi altissimi, pienamente cosciente, quindi in uno stato di perfetta lucidità mentale. Vi sono diverse Scritture che attestano che quando si muore nel Signore si va ad abitare con il Signore nel Regno di Dio, dove la gloria di Dio illumina tutto e tutti, dove Dio fa regnare la pace, e dove tutto è splendore e magnificenza. Ecco quali sono queste Scritture.

– Paolo scrisse ai Corinzi: “Noi sappiamo infatti che se questa tenda ch’è la nostra dimora terrena viene disfatta, noi abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna, nei cieli”.[1] Quindi noi credenti abbiamo una casa eterna lassù nei cieli, il cui architetto e costruttore è Dio stesso, perché essa non è stata fatta da mano d’uomo come invece un qualsiasi edifi­cio sulla terra. In questa casa vanno a dimorare coloro che muoiono nella fede, sin dal primo giorno della loro dipartenza, anzi sin dai primi momenti che seguono l’esalazione dell’anima, perché l’ascesa in cielo avviene nello spazio di un breve tempo. Gli apostoli avevano il desiderio di dipartirsi dal corpo ed andare ad abitare con il Signore, infatti Paolo scrisse ai Corin­zi: “Noi siamo dunque sempre pieni di fiducia, e sappiamo che mentre abitiamo nel corpo, siamo assenti dal Signore (poiché camminiamo per fede e non per visione); ma siamo pieni di fiducia e abbiamo molto più caro di partire dal corpo e d’abitare col Signore”,[2] ed ai Filippesi: “Io sono stretto dai due lati: ho il desiderio di partire e d’esser con Cristo, perché è cosa di gran lunga migliore; ma il mio rimanere nella carne è più necessario per voi”.[3] Anche noi abbiamo lo stesso desiderio che avevano Paolo ed i suoi collaboratori, perché sappiamo che con il Signore lassù nel cielo si sta meglio. Certo, è una cosa meravigliosa vivere con il Signore sulla terra, ma è ancora migliore la vita che si va a vivere con il Signore nel suo regno celeste.[4]

– L’apostolo Pietro nella sua seconda epistola disse: “So che presto dovrò lasciare questa mia tenda, come il Signore nostro Gesù Cristo me lo ha dichiarato. Ma mi studierò di far sì che dopo la mia dipartenza abbiate sempre modo di ricordarvi di queste cose”.[5] L’apostolo sapeva che presto sarebbe morto e sarebbe andato ad abitare col Signore in cielo, e parlava della sua morte come di una dipartenza dal suo corpo infatti disse che presto avrebbe lasciato la sua tenda. Ora, se la morte viene chiamata dipartenza vuole dire che c’è qualcosa nel corpo che parte dal corpo quando esso muore, altri­menti non ci sarebbe bisogno di chiamarla dipartenza. E noi sappiamo che questo qualcosa è l’anima che è nell’uomo.

– Giovanni, nella visione che ebbe sull’isola di Patmo, vide, tra le altre cose, le anime dei credenti che erano stati messi a morte sulla terra. Egli disse: “Io vidi sotto l’altare le anime di quelli ch’erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che aveano resa; e gridarono con gran voce, dicen­do: Fino a quando, o nostro Signore che sei santo e verace, non fai tu giudicio e non vendichi il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra? E a ciascun d’essi fu data una veste bianca e fu loro detto che si riposassero ancora un po’ di tempo, finché fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli, che hanno ad essere uccisi come loro”.[6] Leggendo le suddette parole di Giovanni si comprende chiaramente come coloro che muoiono in Cristo vanno nel cielo, e là ci stanno pienamente coscienti; e inoltre non si può non riconoscere che Gesù ha detto il vero quando disse: “Non temete coloro che ucci­dono il corpo, ma non possono uccider l’anima”,[7] perché quelle che vide Giovanni erano le anime di quelli che erano stati uccisi a motivo del nome di Cristo.

– Sempre nel libro dell’Apocalisse Giovanni dice: “E udii una voce dal cielo che diceva: Scrivi: Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, essendo che si riposano dalle loro fatiche, poiché le loro opere li seguono”.[8] Perché dunque sono beati i morti che muoiono in Cristo? Perché si riposano. E dove si riposano? In cielo infatti poco prima Giovanni ha detto di avere visto, in cielo, sotto l’altare le anime di coloro che erano stati uccisi a motivo della Parola e della testimonianza che avevano resa, le quali gridavano chiedendo a Dio di fargli giustizia, e ad esse fu detto “che si riposassero ancora un po’ di tempo, finché fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli, che hanno ad essere uccisi come loro”.[9] Notate che da quello che gli fu detto quelle anime stavano già riposandosi, ma gli fu detto di riposarsi ancora un po’ di tempo fino ad un certo tempo. Dunque si deve dire assieme allo scrittore agli Ebrei che “chi entra nel riposo di Lui si riposa anch’egli dalle opere proprie, come Dio si riposò dalle sue”.[10] Gloria a Dio in eterno. Amen. Ma vogliamo pure dire qualcosa a riguardo di coloro che non muoiono in Cristo. Essi non sono beati perché non si riposano affatto essendo che vanno nelle fiamme dell’Ades dove non hanno requie alcuna. Potrebbe esserci mai riposo in un posto di tormento, orribile, dove centinaia e centinaia di milioni di anime piangono e stridono i denti a motivo dei dolori atroci che vi patiscono? Coloro che muoiono nei loro peccati sono dunque da chiamare infelici fra tutti perché vanno nei tormenti. Grazie siano rese a Dio in Cristo Gesù per averci salvato da questa atroce e spaventevole sorte. Amen.

– Paolo dice a Timoteo: “Se muoiamo con lui, con lui anche vivre­mo”.[11] Che significa ciò? Che se noi moriamo nella fede andremo a vivere in cielo con Cristo. E questo subito dopo la morte, non alla risurrezione. Alla risurrezione otterremo un corpo incorrut­tibile che rivestirà la nostra attuale anima e con esso usciremo dai sepolcri dopo che la nostra anima tornerà in esso. Niente di illogico; questo è il disegno di Dio.

– Sempre a Timoteo Paolo diceva prima di lasciare questo mondo: “Il Signore mi libererà da ogni mala azione e mi salverà nel suo regno celeste”.[12] Ecco quale fiducia aveva Paolo; quella che il Signore lo avrebbe accolto nel suo regno celeste all’atto della sua morte. E con ciò si accordano le parole di Asaf che molto tempo prima disse per lo Spirito: “Tu mi condurrai col tuo consi­glio, e poi mi riceverai in gloria”.[13]

– Gesù disse: “Io son la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morrà mai”.[14] Ciò significa che un credente anche se muore secondo la carne continua a vivere. Ma dove continua a vivere? Dove va a vivere? Al terzo cielo, dove sta il Signore della gloria perché Gesù ha detto: “Là dove son io, quivi sarà anche il mio servito­re”.[15] Noi siamo oltremodo consolati e rallegrati nel sapere che dov’è il nostro Signore là pure noi saremo un giorno, se pur perseveriamo nella fede. Non siamo minimamente angosciati nel pensare che un giorno dovremo andarcene da questa terra, perché sappiamo che dove andremo si sta di gran lunga meglio che qui sulla terra. Mentre i peccatori vanno in un luogo dove staranno molto, molto peggio che sulla terra, noi credenti, per la grazia di Dio, andremo in un luogo migliore. Mentre i peccatori non sanno dove vanno perché camminano nelle tenebre, noi sappiamo bene dove andiamo perché ora conosciamo la via che conduce dove Gesù è andato dopo avere fatto la purificazione dei peccati (secondo che disse Gesù: “Del dove io vo sapete anche la via”)[16]; Gesù Cristo è la via che mena al Padre e noi le sue orme vogliamo seguire per entrare nel suo regno eterno. E la morte? Amara cosa certo, perché per chi rimane non è affatto piacevole vedere il corpo senza vita di un fratello in Cristo, però ricordatevi che “la morte de’ santi del Signore è preziosa nel suo cospetto”.[17]

A Dio, che nella sua grande misericordia ci ha donato la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore sia la gloria ora ed in sempiterno. Amen.

 


[1] 2 Cor. 5:1

[2] 2 Cor. 5:6-8

[3] Fil. 1:23-24

[4] Alcune considerazioni sulle parole di Paolo ai Filippesi. Secondo i Testimoni di Geova, Paolo espresse il desiderio di andare con il Signore alla prima risurrezione di quella parte dei 144.000 avvenuta nel 1918. Quindi Paolo sarebbe rimasto nella non-esistenza fino a quell’anno! Ma ciò è falso perché altrimenti Paolo non avrebbe poco prima chiamato il suo morire “guadagno” perché ciò sarebbe stato un controsenso. Che avrebbe guadagnato infatti con la sua morte? E poi, che lui parlava della sua dipartenza dal corpo e del suo andare subito con Cristo in cielo emerge anche dalle sue seguenti parole: “Ma il mio rimanere nella carne è più necessario per voi” (Fil. 1:24). L’apostolo voleva dire che se fosse partito dal corpo per lui sarebbe stato cosa di gran lunga migliore che rimanere nel corpo perché sarebbe andato con Gesù in cielo; ma si rendeva conto che per i santi di Filippi sarebbe stato più utile che lui rimanesse. Per questo lui diceva anche: “Ma se il continuare a vivere nella carne rechi frutto all’opera mia allora quel ch’io debba preferire, non saprei dire” (Fil. 1:22); perché da un lato sapeva cosa lo aspettava alla morte e dall’altro sapeva che una volta morto non avrebbe più potuto essere utile personalmente ai santi di Filippi perché sarebbe cessata la sua opera a loro favore.

[5] 2 Piet. 1:14-15

[6] Ap. 6:9-11

[7] Matt. 10:28

[8] Ap. 14:13

[9] Ap. 6:11

[10] Ebr. 4:10. Per la Torre di Guardia il significato di queste parole è che chi entra nel riposo di Dio (cioè il cristiano) si riposa dalle sue opere egoistiche!! Per comprendere questo strano significato occorre conoscere un altra stranezza introdotta dal Corpo Direttivo, e precisamente quella che afferma che il settimo giorno di riposo iniziò subito dopo la creazione dell’uomo e dura ormai da migliaia di anni e terminerà alla fine del millennio.

[11] 2 Tim. 2:11

[12] 2 Tim. 4:18

[13] Sal. 73:24. Naturalmente i Testimoni di Geova dicono che Paolo faceva parte dei 144.000, per questo poteva dire quelle parole. Innanzi tutto non si può dire che Paolo facesse parte dei 144.000, e poi che se fosse così come dicono loro Paolo avrebbe dovuto aspettare più di diciotto secoli prima di entrare nel regno celeste, il che non può essere perché lui nel regno celeste ci entrò con l’anima sua dopo che morì e non nel 1918. Al bando queste loro ciance sui 144.000! Noi come Paolo abbiamo la stessa fiducia perché abbiamo in noi lo stesso Spirito che aveva il nostro fratello Paolo, e la stessa fede. E’ vero che non siamo parte dei 144.000 ma è altresì vero che facciamo parte del piccolo gregge del Signore a cui è stato promesso il Regno. A Cristo nostro Redentore sia la gloria in eterno. Amen.

[14] Giov. 11:25-26

[15] Giov. 12:26

[16] Giov. 14:4

[17] Sal. 116:15 (Diod.)