L’intervento di un massone a favore dei Pentecostali durante le discussioni all’Assemblea Costituente sull’articolo 19

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Il 26 marzo 1947, in merito all’Art. 19, l’Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili», e durante questa discussione interviene il socialista Luigi Preti – che era un importante esponente del PSLI – sull’argomento della libertà religiosa. Di questo Luigi Preti, viene detto peraltro che durante i lavori della Costituente partecipò attivamente alla redazione della Carta fondamentale della Repubblica.

Ecco l’intervento del Preti, per capire il quale però bisogna tenere bene a mente che l’articolo 19 come era stato proposto dal democristiano Giuseppe Dossetti diceva così: «Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore, alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, alla propaganda di essa, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto, purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume».

 

‘Presidente Terracini. È iscritto a parlare l’onorevole Preti. Ne ha facoltà.

Preti. Intendo limitare la mia trattazione all’argomento della libertà religiosa. Altri del mio gruppo, di me più competenti, hanno detto e diranno quale è il pensiero del Partito socialista dei lavoratori italiani in merito alle altre libertà tutelate nel titolo primo.

Si è, da meno di 24 ore, votato da una coalizione eterogenea di credenti e di miscredenti quell’articolo 7 della Costituzione, il quale…

Una voce al centro. Non vi sapete rassegnare!

Preti. … il quale, attribuendo la sanzione statutaria ai Patti Lateranensi, non è certo atto a rassicurare in Italia e all’estero coloro che sono gelosi della libertà religiosa. È vero, bensì, che l’articolo 3 della Costituzione, in quanto afferma fra l’altro che i cittadini sono eguali dinanzi alla legge senza distinzione di opinioni religiose, pare ispirarsi al principio della libertà religiosa; ma esso non costituisce se non una premessa generica a quella chiara e specifica dichiarazione che solo nel titolo primo, ora in discussione, può concretarsi.

Del resto, l’accoglimento della proposta dell’onorevole Lucifero di rinviare a questo primo titolo il terzo comma dell’articolo 7, relativo alla disciplina delle confessioni religiose acattoliche, riesce, sotto questo aspetto, assai utile, in quanto concentra in un unico titolo tutte le disposizioni che concernono le minoranze confessionali e le loro libertà.

Se l’Assemblea non avesse votato l’articolo 7 — noi della sinistra democratica non lo abbiamo votato, e ne siamo fieri — e non ci trovassimo di fronte ai precedenti di un articolo 1 dello Statuto, affermante lo Stato confessionale — articolo il quale, andato in desuetudine nell’età liberale, fu richiamato in vigore nel 1929 — noi con un po’ di buona volontà potremmo anche dirci contenti delle garanzie offerte dall’articolo 14 del progetto, le quali, da un punto di vista astratto, potrebbero forse essere atte a tranquillizzare le coscienze.

Ma con questi precedenti, e dopo che la votazione del 25 marzo ha turbato tante libere coscienze italiane e ha indubbiamente messo in allarme l’opinione pubblica delle Nazioni veramente democratiche,… (Commenti).

Una voce a destra. Questo lo dice lei.

Preti. Sì lo dico io, con piena convinzione. (Commenti). … non possiamo dichiararci soddisfatti di quanto dispone il progetto di Costituzione in materia di libertà religiosa. Bisogna che dalla Carta costituzionale si possa chiaramente evincere che i culti non cattolici godranno domani di quella libertà effettiva, che ancora in questo momento — non dimentichiamolo — la legislazione loro nega. Tanto più che la Chiesa cattolica, in quanto si ritiene depositaria della definitiva verità, ha sempre creduto legittimo pretendere dallo Stato delle limitazioni alla libertà di coloro che essa considera i predicatori dell’errore. E se è vero che in più circostanze, sia in passato come di recente, la Chiesa si è mostrata umana e materna nei confronti di quelle confessioni religiose, le quali, come la israelitica, rinunciano a qualunque forma di proselitismo, tenacemente aggressiva essa è sempre stata nei confronti di quelle religioni che fanno del proselitismo un loro imperativo e in particolare nei confronti dei protestanti la cui predicazione è ritenuta, a ragione, più temibile, in quanto fondata su quei valori cristiani ai quali anche il Cattolicesimo si richiama.

Del resto la non liberale posizione della Chiesa — e a questo proposito io osservo che è difficile farsi liberale per ogni Chiesa o partito che creda di possedere la chiave definitiva della verità — è stata espressa, senza eufemismi, dal defunto Papa Pio XI all’indomani dei Patti Lateranensi, quasi a dare ad essi una interpretazione autentica. Disse in quell’occasione Pio XI: «Culti tollerati e ammessi. Non saremmo noi a fare questione di parole. La questione viene del resto non inelegantemente risolta distinguendo tra testo statutario e testo puramente legislativo, quello per se stesso più teorico e dottrinario e dove sta meglio «tollerati», questo inteso alla pratica e dove può stare pure «ammessi o permessi», purché ci si intenda lealmente, purché sia e rimanga chiaro e lealmente inteso che la religione cattolica è solo essa, secondo lo Statuto e i Trattati, la religione dello Stato, con la logica e giuridica conseguenza di una tale situazione di diritto costitutivo, segnatamente in ordine alla propaganda.

«Più delicata questione si presenta — prosegue Pio XI — quando, con tanta insistenza, si parla della non menomata libertà di coscienza e della piena libertà di discussione. Non è ammissibile che siasi inteso libertà assoluta di discussione, comprese cioè quelle forme di discussione che possono facilmente ingannare la buona fede di uditori poco illuminati e che facilmente diventano dissimulate forme di una propaganda non meno facilmente dannosa alla religione dello Stato e, per ciò stesso, anche allo Stato e proprio in quello che ha di più sacro la tradizione del popolo italiano e di più essenziale, la sua unità.

«Anche meno ammissibile — aggiunge Pio XI — ci sembra che si abbia inteso di assicurare incolume, intatta, assoluta libertà di coscienza; tanto varrebbe dire allora che la creatura non è soggetta al Creatore; tanto varrebbe legittimare ogni formazione, o piuttosto deformazione, delle coscienze anche più criminose e socialmente disastrose.

«Se si vuol dire che la coscienza sfugge ai poteri dello Stato, se si intende riconoscere, come si riconosce, che, in fatto di coscienza, competente è la Chiesa ed essa sola, in forza del mandato divino, viene con ciò stesso riconosciuto che in uno Stato cattolico le libertà di coscienza e di discussione debbono intendersi e praticarsi — e questa è la sua conclusione — secondo la dottrina e la legge cattolica».

Noi siamo certi che dei politici come l’onorevole De Gasperi e dei mistici come l’onorevole La Pira avranno della libertà una concezione più larga e più moderna; ma sta di fatto che, per la Chiesa, vi è una sola vera libertà: quella di assentire liberamente alla sua dottrina. La libertà dei non fedeli, come risulta dalle dichiarazioni di Pio XI, non è che l’errore, il quale si può prudentemente tollerare in omaggio al libero arbitrio umano, ma che bisogna isolare e rendere impotente.

Si spiega così come, con una Chiesa avente tale concezione della libertà, e con uno Stato dominato da un partito il quale, come tutti i partiti unici o aspiranti tali, conosceva solo la libertà di obbedire alle sue direttive, la condizione delle confessioni non cattoliche dedite al proselitismo non sia stata, dal 1929 in poi, delle più brillanti.

Le Chiese protestanti in particolare, qualche volta per sospetti politici, ma assai più sovente per pressioni ecclesiastiche, subirono non poche umilianti limitazioni della propria libertà, in base alla legislazione emanata a seguito dei Patti lateranensi.

L’articolo 5 della legge 26 giugno 1929 affermava che «la discussione in materia religiosa è pienamente libera»; ma nulla diceva in merito alla libertà di propaganda. A proposito della quale viceversa il relatore fascista alla Camera onorevole Vassallo osservava: «In seno alla Commissione si sono ricordati precedenti che pure hanno avuto un’eco nella stampa e nel Parlamento di audace, pretesa propaganda religiosa, da parte di qualche organizzazione protestante, i quali si sono dimostrati insidiosi verso l’unione e la saldezza delle forze spirituali e politiche».

E il Relatore al Senato, senatore Boselli, traendo le conclusioni, precisava che si intendeva, con la legge che si andava a votare, limitare proprio la propaganda dei protestanti. Affermava egli infatti, tra l’altro: «Se fosse vero che una perversa propaganda si aggiri fra le reclute militari, urgerebbe efficacemente reprimerla a salvaguardia della compatta unità religiosa del nostro popolo, unità che è parte somma dell’unità nazionale».

Non stupirà perciò se — cito un esempio ma potrei citarne altri — in data 30 aprile 1936 la Corte d’appello di Roma assolveva un padre gesuita, il quale, in Soriano del Cimino, istigava il popolo contro un venditore di Bibbie evangeliche e faceva dare al rogo tutti i libri sacri che lo stesso possedeva. Ed affermava la sentenza essere illegittimi in uno Stato cattolico la propaganda e il proselitismo evangelico.

Per soffermarmi su un’altra ingiusta disposizione, dirò dell’articolo 1 del regio decreto 28 febbraio 1930, che sottopone l’apertura di un tempio non cattolico al fatto che venga a soddisfare effettivi bisogni di importanti nuclei, dando così praticamente alla polizia la più ampia discrezionalità nel giudicare e nel decidere. Esso ha creato più d’una volta — e non sto qui a citare i casi — notevoli difficoltà agli evangelici italiani, a cominciare dai Valdesi, che pur hanno una tradizione plurisecolare nel nostro Paese.

Senza voler scendere al dettagliato esame delle disposizioni relative ai culti ammessi, dirò che in base ad esse nel Centro-Sud — sono cose non a tutti note — si arrivò a chiudere scuole confessionali protestanti, a proibire a pastori evangelici di esercitare il culto, ad allontanarli addirittura dalle località ove essi evangelizzavano.

E in mancanza di una specifica disposizione di carattere restrittivo, soccorreva sempre l’articolo 1 della legge sui culti ammessi, il quale, con la famosa clausola del «buon costume» e dell’«ordine pubblico» legittimava la più larga applicazione della legge di pubblica sicurezza. Specialmente le ragioni di «ordine pubblico» era facile crearle: bastava che un parroco accusasse i protestanti di mormorazioni antifasciste o, meglio, affermasse che non riusciva più a trattenere gli zelanti cattolici del paese, decisi ad assalire il propagandista evangelico, ed ecco che gli estremi di un intervento per ragioni di ordine pubblico erano creati.

I fatti palesemente incresciosi — noi lo ammettiamo — non furono frequentissimi; né si pretende qui drammatizzare in maniera eccessiva; ma la ragione principale va ricercata probabilmente, anzi certamente, nella circostanza che in Italia i protestanti non hanno mai svolto quella intensa propaganda che invece hanno svolto in altri Paesi pure cattolici. Sta però di fatto che l’unica setta protestante la quale si propose di svolgere una tenace ed attiva propaganda tra le plebi agricole del Mezzogiorno e delle Isole, e cioè la setta pentecostale, fu messa al bando nel 1935, per motivi di sanità pubblica, in relazione al testo unico di pubblica sicurezza ed alla legge sui culti ammessi, in quanto l’esaltazione che si impadronirebbe dei fedeli invocanti la discesa dello Spirito Santo sarebbe pregiudizievole alla salute degli stessi. Chissà allora che cosa avrebbe fatto il Governo se il miracolo di San Gennaro avesse avuto luogo nei templi protestanti!

Neppure dopo la liberazione (e notate questo, colleghi democristiani) questo divieto è stato tolto, tanto che proprio qualche giorno fa è stata ordinata la chiusura di un tempio in provincia di Trapani, che era stato riaperto dopo la liberazione: al quale proposito ha fatto anzi una interrogazione al Governo in questi giorni l’onorevole Gullo Rocco del nostro Partito. Il Governo afferma di attendere sempre i rapporti dell’ambasciatore Tarchiani, incaricato di espletare indagini in America, nazione di origine dei pentecostali, circa la serietà e la consistenza di questa setta. A dire il vero Tarchiani ha già risposto una prima volta favorevolmente, ma il Governo, poco acquisito all’idea di garantire scrupolosamente la libertà di culto, lascia passare il tempo. E all’estero questo lo si sa.

L’articolo 14 della Costituzione ha indubbiamente un merito: quello di affermare esplicitamente la libertà di propaganda religiosa. Ma ha il grave torto di sottoporre ancora l’esercizio dei culti acattolici alle famose limitazioni dell’ordine pubblico e del buon costume.

Si dirà, ex adverso, che è una clausola di stile. Ma sta di fatto che io ho diligentemente consultato le disposizioni in materia di tutte — credo — le carte costituzionali; sicché posso tranquillamente affermare che, in genere, questa clausola o la si trova nelle costituzioni vecchie del secolo scorso, oppure, salvo rare eccezioni, in quelle recenti a tinta conservatrice o addirittura totalitaria. Certo è che né gli Stati Uniti, né l’Inghilterra, né la Francia, né la Russia conoscono clausole limitative di questo genere.

Orbene, se è vero che, scrivendo la nuova Costituzione, dobbiamo in ogni momento e circostanza riferirci a quello che è avvenuto ieri, per meglio affermare la nostra volontà irrevocabile di tagliare i ponti con un passato che non deve più tornare, noi non possiamo adottare una formula di cui si servì il governo fascista, istigatori certi ambienti ecclesiastici, per legittimare i propri soprusi, e che domani — come all’estero, forse anche a torto, in questo momento si dubita — potrebbe eventualmente servire per consimili scopi.

Ormai l’articolo 7 è votato. Si faccia almeno tutto il possibile per evitare di vedere umiliata la Nazione di fronte al mondo intero, con il richiamo che dall’estero ci potesse essere fatto, domani, all’osservanza del famoso articolo 15 del Trattato di pace, che ci impone l’assoluto rispetto della libertà religiosa di tutti i cittadini.

Lasciamo stare dunque le ipocrite clausole dell’ordine pubblico e del buon costume. Ordine pubblico significa, in pratica, arbitrio di polizia; e la clausola del buon costume — a meno che non abbia lo stesso significato della clausola dell’ordine pubblico — è, per lo meno, offensiva nei confronti di un culto religioso. Se proprio dovessero diffondersi culti realmente contrari al buon costume, contro questi culti, che nulla in tal caso conserverebbero della dignità religiosa, lo Stato ha modo di intervenire a norma della legislazione penale.

Ma non basta, signori della Democrazia cristiana: bisogna anche trovare la maniera di affermare nel titolo primo della Costituzione, onde riparare a quello che per noi è il fallo dell’articolo 7…

Cingolani. Ma è la quarta volta che lo dice! È proprio inconsolabile! (Rumori — Commenti al centro).

Presidente Terracini. Onorevole Cingolani, lasci proseguire, per favore. (Rumori — Commenti a sinistra).

Micheli. È quattro volte che chiama in causa la Democrazia cristiana! Abbiamo il diritto di rispondere.

Preti. Onorevole Micheli, per favore non si agiti. Se no dicono che è addolorato anche lei di aver votato quel famoso articolo. (Si ride).

Micheli. Tutt’altro! Sono lieto di averlo votato. Non dica cose che non hanno senso! Questo è proprio voler fare i rompiscatole. (Rumori — Vivi commenti — Interruzione dell’onorevole Saragat).

Presidente Terracini. Mi sembra che si esageri, da tutte le parti in questo momento! Prego di non interrompere l’oratore.

Ruggiero. Chi esagera è l’onorevole Micheli, con le sue inammissibili espressioni!

Presidente Terracini. Onorevole Ruggiero, la richiamo all’ordine! (Proteste dell’onorevole Ruggiero — Commenti). Onorevole Ruggiero, la richiamo all’ordine per la seconda volta! Spero che si renda conto del valore di questo mio richiamo. Ella è troppo giovane di questa Assemblea: la prego di leggere il Regolamento della Camera. (Interruzione dell’onorevole Ruggiero).

Non prenda più la parola, prego.

Una voce a sinistra. È la legge della maggioranza!

Presidente Terracini. Non è la legge della maggioranza, perché i banchi sono dappertutto quasi vuoti. Prego anche lei di non interloquire. Mi sembra veramente che in fine di seduta troppi deputati perdano il senso del luogo dove si trovano. Da un piccolo incidente provocato da una frase scherzosa mi pare che si traggano conseguenze semi tragiche. Il che è veramente fuor di luogo.

Onorevole Preti, continui.

Preti. Bisogna trovare la maniera di affermare quell’eguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla legge, che nel progetto si è del tutto dimenticata; tanto più che il terzo comma dell’articolo 7, secondo la proposta dell’onorevole Lucifero, votata ieri sera, è stato rimandato al titolo I.

Non dimentichiamo che gli acattolici, ma soprattutto i protestanti di tutto il mondo, guardano ansiosamente a noi e attendono almeno questo.

Noi socialisti, nel limite delle nostre possibilità, difenderemo fino all’ultimo questo concetto della parità di tutte le fedi, per mantenerci appunto fedeli a quella tradizione liberale del Risorgimento che considerò sempre la libertà religiosa la più sacra di tutte le libertà, come quella per cui si sacrificò nel corso della storia il maggior numero di martiri di tutte le nazioni e di tutte le lingue; quella tradizione che è sembrata offuscarsi nel triste compromesso di ieri.

In questo noi ci consideriamo eredi dei valori eterni del liberalismo, di quel liberalismo che la nuova scuola liberale, che ha per leader al Parlamento l’onorevole Corbino e per vice leader l’onorevole Lucifero, ha messo in soffitta confinandolo nel campo economico in funzione conservatrice; di quel vecchio liberalismo ottocentesco di cui ci ha recato l’ultima fiammella Benedetto Croce, che non è affatto comparso in quest’Aula quale evanescente ombra del passato — come ha detto ieri non molto felicemente l’onorevole Togliatti — ma che è venuto a rincuorarci alla vigilia della battaglia. Ed è venuto tra noi solo per questo, perché con il suo appoggio morale combattessimo con coerenza e con fede per la difesa del più vecchio ed attuale di tutti i valori, la libertà; e ciò appunto nell’atto in cui essa veniva insidiata, con la minaccia dell’articolo 7, in una delle sue più pure, anzi nella sua più pura estrinsecazione.

Proprio a questa libertà — permettetemi compagni comunisti l’osservazione — il progressista onorevole Togliatti nella votazione di ieri, mentre uno sparuto gruppo di discepoli di Croce — 4 o 5 — ha votato con noi, ha voltato le spalle. Né so che cosa ne avranno pensato i mani di Mazzini e di Cavour. (Commenti).

Comunque in materia di parità delle confessioni religiose siamo certi di avere al nostro fianco i comunisti, nello spirito dell’emendamento proposto dall’onorevole Giancarlo Pajetta nella seduta di ieri.

La decisione spetta ai democristiani.

Essi hanno colto ieri la vittoria, che più loro premeva, nel modo che noi sappiamo…

Cingolani. Nel modo parlamentare.

Presidente Terracini. Lei, onorevole Cingolani, è l’interruttore permanente quando si pongono questi problemi. Se non temessi che l’onorevole Tonello si offenda — ma so che è troppo spiritoso per offendersi — direi che gli fa il pendant. (Si ride).

Prosegua, onorevole Preti, non dimentichi l’ora anche lei.

Preti. Ma il Presidente De Gasperi ieri ha lasciato sperare che, nello spirito di quanto egli aveva dichiarato ai protestanti d’America, il suo Partito saprà comprendere tutte le esigenze delle minoranze religiose. Noi sappiamo che cominciate a dar prova oggi, signori della Democrazia cristiana, nella votazione di questo titolo, della vostra comprensione degli eterni diritti delle minoranze religiose.

Ricordate che, dando voi prova di intransigenza oggi, questa potrebbe ricadere domani su voi tutti. La libertà si vendica su coloro che in qualunque circostanza le abbiano mancato di fede. (Applausi a sinistra).

Da: La nascita della Costituzione. Le discussioni in Assemblea Costituente a commento degli articoli della Costituzione. A cura di Fabrizio Calzaretti a questa pagina http://www.nascitacostituzione.it/

Come avete potuto vedere, il socialista Luigi Preti fece un intervento a favore dei Pentecostali affermando: ‘Sta però di fatto che l’unica setta protestante la quale si propose di svolgere una tenace ed attiva propaganda tra le plebi agricole del Mezzogiorno e delle Isole, e cioè la setta pentecostale, fu messa al bando nel 1935, per motivi di sanità pubblica, in relazione al testo unico di pubblica sicurezza ed alla legge sui culti ammessi, in quanto l’esaltazione che si impadronirebbe dei fedeli invocanti la discesa dello Spirito Santo sarebbe pregiudizievole alla salute degli stessi. Chissà allora che cosa avrebbe fatto il Governo se il miracolo di San Gennaro avesse avuto luogo nei templi protestanti! Neppure dopo la liberazione (e notate questo, colleghi democristiani) questo divieto è stato tolto, tanto che proprio qualche giorno fa è stata ordinata la chiusura di un tempio in provincia di Trapani, che era stato riaperto dopo la liberazione: al quale proposito ha fatto anzi una interrogazione al Governo in questi giorni l’onorevole Gullo Rocco del nostro Partito. Il Governo afferma di attendere sempre i rapporti dell’ambasciatore Tarchiani, incaricato di espletare indagini in America, nazione di origine dei pentecostali, circa la serietà e la consistenza di questa setta. A dire il vero Tarchiani ha già risposto una prima volta favorevolmente, ma il Governo, poco acquisito all’idea di garantire scrupolosamente la libertà di culto, lascia passare il tempo. E all’estero questo lo si sa’. Gullo Rocco era presidente del Partito Socialista Lavoratori Italiani, mentre Luigi Preti era vicesegretario (http://storia.camera.it/gruppi/partito-socialista-lavoratori-italiani-psli-01-02-1947-31-01-1948). Notate poi come Luigi Preti citò l’ambasciatore Tarchiani a cui – come abbiamo visto – Gigliotti aveva già mandato la sua memoria a favore dei Pentecostali – e che si era già espresso a favore dei Pentecostali.

E poi è da notare che Preti nel suo intervento andò contro le parole ‘con i principî dell’ordine pubblico’ contenute nella proposta dell’articolo come era stata fatta dal democristiano Dossetti (uno dei due relatori assieme al massone Mario Cevolotto). Poi quelle parole saranno tolte, e questa cosa fu importante perchè nella circolare Buffarini Guidi, che era ancora in vigore a quel tempo, veniva detto che il culto pentecostale ‘estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale’ e difatti il Preti nel suo intervento osservò che ‘specialmente le ragioni di «ordine pubblico» era facile crearle: bastava che un parroco accusasse i protestanti di mormorazioni antifasciste o, meglio, affermasse che non riusciva più a trattenere gli zelanti cattolici del paese, decisi ad assalire il propagandista evangelico, ed ecco che gli estremi di un intervento per ragioni di ordine pubblico erano creati’. E così assieme ad altri fece togliere quelle parole dall’articolo.

Ebbene, Luigi Preti era un massone. Lo storico Aldo Mola nel suo libro Storia della Massoneria Italiana scrive infatti: ‘…. in una dotta ricostruzione storica della Massoneria romana e laziale dal dopoguerra al 1986, un altissimo e ottimamente informato dignitario giustinianeo asserì che, oltre alle cinque Officine romane dai nomi prestigiosi (‘Adriano Lemmi’, ‘Giosuè Carducci’, ‘Wolfgang Amadeus Mozart’, ‘Aldebaran’ e ‘Giustizia e Libertà’, di cui era Venerabile lo stesso Bellantonio), la fusione recò a Palazzo Giustiniani circa 200 Logge e 3500 Fratelli. Fra di essi spiccavano quelli di una Loggia coperta retta dal Venerabile Giorgio Ciarroca, alto funzionario della RAI, il quale, secondo taluni, aveva alla propria Obbedienza il senatore Cesare Merzagora, i generali Giuseppe Aloja e Giovanni De Lorenzo, gli onorevoli Giacinto Bosco, Marcello Saccucci e Caradonna, Eugenio Gatto, Luigi Preti, ….’ (Aldo Mola, Storia della Massoneria Italiana, pag. 744).

E proprio in quei giorni in cui c’erano le discussioni nell’Assemblea Costituente sull’articolo 19, il massone Frank Gigliotti era qui in Italia in quanto aveva lasciato gli Stati Uniti d’America alla volta dell’Italia il 17 marzo 1947! E’ chiara la ragione di questa sua presenza qui in Italia proprio in quei giorni decisivi per la libertà religiosa in Italia: seguire e influenzare personalmente da vicino i lavori della Costituente tramite i suoi amici massoni e non massoni.

 

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La pagina del libro Storia della Massoneria Italiana dove si dice che Luigi Preti era massone.

 

Luigi Preti apparteneva al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI, che in seguito diventò PSDI), fondato da Giuseppe Saragat nel gennaio del 1947 quando si era staccato dal PSI e che era sorto per opera della Massoneria e sovvenzionato da essa per mezzo di Frank Gigliotti. E sicuramente nel partito sapevano che la Massoneria americana con Frank Gigliotti aveva preso le difese anche dei Pentecostali, e quindi bisognava perorare la loro causa in Parlamento. In effetti a sentire Luigi Preti pare di sentire Frank Gigliotti.

Peraltro, Luigi Preti non era il solo massone tra i membri del PSLI che facevano parte dell’Assemblea Costituente.