Coinvolto nella scissione del Partito Socialista Italiano di Palazzo Barberini nel 1947

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A gennaio del 1947 ci fu una scissione storica nel Partito Socialista Italiano, nella quale troviamo coinvolto l’immancabile Gigliotti. Per capire cosa c’entra Frank Gigliotti anche nella scissione del PSI verificatasi nel 1947, e che diede vita al PSLI (che poi nel 1952 diventerà PSDI), dobbiamo spiegare perchè si verificò questa scissione. Al congresso del PSI del ‘1946 – si legge sul sito del Partito Socialista Democratico Italiano – emersero forti contrasti politici fra la linea politica del segretario Pietro Nenni – tesa a proseguire l’attiva collaborazione col Partito Comunista Italiano – e la minoranza guidata da Giuseppe Saragat, il quale rivendicava al contrario l’autonomia dei socialisti dal Pci. Culmine di questa accentuata divaricazione di idee, strategie e modelli, fu la Scissione di Palazzo Barberini”, che l’11 gennaio 1947, al termine di una concitata riunione, sancì la nascita del PSLI, Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. ”Il partito che oggi sorge – dichiarò Saragat nel suo discorso per la fondazione del partito – ha lo scopo essenziale di creare le premesse per la vera unità democratica della classe lavoratrice: solo un movimento come il nostro, capace di dare una risposta concreta ai bisogni dominanti del popolo che sono la libertà, la giustizia e la pace, potrà trascinare la maggioranza dei lavoratori con l’impeto irresistibile di un moto storico”. Da quel momento le due anime del Socialismo italiano – quella massimalista, di matrice rivoluzionaria, e l’ala riformista, d’ispirazione parlamentare – che avevano convissuto insieme per tutta la prima parte del Novecento, intrapresero strade diverse. Ventotto parlamentari socialisti seguirono Saragat nel nuovo cammino, tanto che alla fine di quello stesso anno i Socialdemocratici entravano a far parte della maggioranza di governo del Paese, con Giuseppe Saragat vicepresidente del Consiglio dei Ministri guidato da Alcide De Gasperi. Alle elezioni del 1948 i socialdemocratici italiani si presentarono come una forza politica collocata a sinistra, laica e riformista, aperta al contributo di altre forze del centrosinistra portatrici di analoghi valori. Raggiunse un significativo 7% di consensi e contribuì in maniera sostanziale a controbilanciare l’avanzata del Fronte Popolare formato dal Pci e dai Socialisti di Nenni. L’attuale denominazione di Partito Socialista Democratico Italiano risale, invece, al 7 gennaio 1952 quando, durante il VII congresso nazionale, il Partito Socialista – Sezione Italiana dell’Internazionale Socialista, sorto un anno prima dalla confluenza nel Psli del Partito Socialista Unitario, prescelse il nuovo nome per marcare la propria spiccata identità democratica rispetto al partito comunista e alla direzione che stava seguendo in quel momento il Partito socialista.. Appena costituito, il Psdi, che contava all’epoca circa 80mila iscritti, elesse come primo segretario Giuseppe Saragat, suo indiscusso leader e fondatore’ (http://www.partitosocialistademocraticoitaliano.it/). Dunque, la causa di questa scissione fu la collaborazione con i Comunisti, che come sappiamo erano in forte avversione ai Massoni degli USA rappresentati da Frank Gigliotti (che ricordatevi era anche un agente della CIA che in quegli anni era disposta a ricorrere anche all’illegalità per contrastare i Comunisti in Italia). E dunque la massoneria americana assieme a quella italiana, provocarono quella scissione. Nel libro In Banks We Trust (Nelle Banche Noi Confidiamo) scritto da Penny Lernoux, leggiamo che ‘secondo un ex importante Massone Italiano, la scissione nel Partito Socialista Italiano (PSI) che creò il Partito Social Democratico Italiano (PSDI) fu ‘interamente provocata da Massoni negli Stati Uniti e in Italia’ (Penny Lernoux, In Banks We Trust, pag. 201), e lo scrittore Alfio Caruso, durante dibattito pubblico, ha affermato a proposito di questo scisma che Frank Gigliotti ‘fu uno degli ufficiali pagatori dello scisma socialista di Palazzo Barberini nel ’47, quando nacque poi il partito social-democratico di Saragat, che fu pagato interamente dalla massoneria americana attraverso i sindacalisti italiani’ (http://www.clarissa.it/). Lo scrittore Giuseppe Casarrubea dice che fu l’agente Oss Frank Gigliotti ‘che proprio in quel periodo (gennaio 1947) porta a termine la scissione socialista di Palazzo Barberini guidata da Saragat’ (Giuseppe Casarrubea, Storia segreta della Sicilia, IV Edizione Tascabili Bompiani, ottobre 2007, pag. 146). Non meraviglia quindi venire a sapere che nel luglio del 1947, Giuseppe Saragat mentre si trovava negli USA, ebbe un incontro con il massone Frank Gigliotti, durante il quale Gigliotti confidò a Saragat di essere d’accordo ‘con l’uso dell’illegalità e della violenza impiegate da Giuliano contro i comunisti’.

Peraltro Giuseppe Saragat – in base a quello che dice Roberto Fabiani – era un massone iniziato durante l’esilio alla loggia Fratelli Rosselli di Parigi (cfr. Roberto Fabiani, I Masssoni in Italia, pag. 16). Come era massone (appartenente alla loggia segreta ‘Giustizia e Libertà’) Luigi Preti (1914-2009), il deputato PSLI che – come vedremo dopo – al Parlamento prese le difese delle Assemblee di Dio in Italia perorando la loro causa, e che Pier Ferdinando Casini, segretario dell’UDC, nel Gennaio 2011 nel presentare i Discorsi Parlamentari di Luigi Preti lo ha definito ‘una figura di rilievo della nostra storia recente, che molto ha contribuito alla rinascita ed al consolidamento dell’Italia repubblicana. Preti ebbe infatti un ruolo di primo piano nel porre le fondamenta della nostra democrazia: impegnato, prima nell’Assemblea Costituente, poi per nove legislature alla Camera dei deputati e chiamato inoltre, in questo lungo periodo, a ricoprire delicati incarichi di Governo’ (http://www.pierferdinandocasini.it/). Ed ancora, risultano massoni pure questi altri membri del PSLI: Giuseppe Emanuele Modigliani (cfr. Aldo Mola, Storia della Massoneria Italiana, pag. 294, 614; Scottà Antonio, Giacomo Della Chiesa arcivescovo di Bologna. L’ottimo noviziato episcopale di papa Benedetto XV, Rubettino, 2002, pag. 558), che quando ci fu la scissione diventò presidente del PSLI; Giuseppe Canepa (cfr. Aldo Mola, Storia della Massoneria Italiana, pag. 397), e Giovanni Ernesto Caporali (Enrico Serventi Longhi, Alceste De Ambris. L’utopia concreta di un rivoluzionario sindacalista, Franco Angeli Editore, 2011, pag. 235). Anche Giordano Gamberini, che fu Gran Maestro del GOI dal 1961 al 1970, entrò nel PSLI: ‘Fu in effetti uno dei primi ad accorrere tra le braccia degli scissionisti di Palazzo Barberini’ (Gianni Rossi & Francesco Lombrassa, In nome della «Loggia»: le prove di come la massoneria segreta ha tentato di impadronirsi dello Stato italiano: i retroscena della P2, pag. 30).

Mi pare dunque che i collegamenti siano chiari tra Frank Gigliotti e il PSLI (poi PSDI, che assieme al Partito Socialista sul sito della Gran Loggia Autonoma delle Calabrie vengono definiti i «massonicissimi Partito Socialista e Partito Social Democratico» – cfr. http://www.gladc.it/letturecur.htm) fatto nascere e finanziato dalla Massoneria. E difatti il professore Fabio Martelli afferma che ‘la muratoria italiana potè presto contare su un discreto seguito presso il Partito socialdemocratico: anche in questo caso l’azione di Frank Gigliotti si rivelò determinante, poichè sua fu la decisione di sostenere i partiti della Sinistra moderata, coinvolgibili in un’attiva funzione anticomunista …. e questo supporto del GOI allo Psdi favorì il proselitismo muratorio nel partito di Saragat che si allargò poi a dirigenti dell’Uil (Unione Italiana del Lavoro)’ (Fabio Martelli ‘La Massoneria italiana nel periodo repubblicano’, in Gian Mario Cazzaniga, Storia d’Italia, Annali, 21, La Massoneria, pag. 735).

E dunque non dobbiamo meravigliarci se Luigi Preti nella seduta parlamentare del 28 Ottobre 1952 ebbe ad affermare che il suo partito aveva deciso di schierarsi in difesa delle minoranze religiose, tra cui ovviamente c’erano le ADI: ‘Il nostro partito, al congresso di Genova, si è assunto ufficialmente il compito di difendere nel paese le minoranze religiose, per le quali chiede comprensione e giustizia. Vi è stato qualcuno (mi pare Salvemini) che ha rimproverato a noi di non occuparci di queste minoranze. Quel tale, evidentemente, ha errato, perché noi abbiamo sempre sentito questa esigenza. Noi sappiamo anche che molti cattolici consentono con noi in quanto, appunto, sono nutriti di spirito liberale, ma non osano alzare la voce (direi, non osano alzare nemmeno un dito) contro il fanatismo clericale del tipo di quello del cardinale Schuster, che chiede misure contro i protestanti, in quanto «portatori dell’errore di Martin Lutero, contro la luce della verità». Questo fanatismo non è neppure condiviso dalle masse cattoliche. In fondo, è una minoranza esigua e sclerotizzata di cattolici italiani che pensa alla maniera del professor Gedda o del padre Lombardi, anche se costoro pare si arroghino con presunzione, di fronte al paese, il diritto di rappresentare veramente il cattolicesimo italiano, magari in contrapposizione agli attuali dirigenti del partito al potere. Quando noi facciamo queste ed altre critiche del genere, troviamo sempre qualche cattolico di tendenza liberale che ci viene a dire: «Lasciate correre su questo argomento delle minoranze religiose; lasciate correre sulla questione della limitazione delle nascite, e su altri problemi del genere; siate prudenti. Voi avete ragione in merito a diverse questioni anche di ordine politico; ma non dovete insistere, perché non bisogna rendere la vita difficile agli onorevoli De Gasperi e Scelba, di fronte al pericolo di un’alleanza dei cattolici intransigenti e fanatici con l’estrema destra monarco-fascista in Italia: alleanza che poi sfocerebbe, inevitabilmente, anche in uno spostamento dell’asse politico». Io direi che queste considerazioni le abbiamo fatte spesso. Anzi, le abbiamo fatte anche troppe volte; ed è forse per questo che così spesso siamo apparsi eccessivamente accomodanti. Ma a questo punto io vorrei che gli onorevoli De Gasperi, Scelba, Bubbio e via dicendo cercassero di far capire a certi presuntuosi professori e a certi piccoli padri gesuiti che si potrebbe, forse, avere oggi un successo momentaneo, sabotando gli ordinamenti liberali con l’appoggio dei monarco-fascisti. Però, ogni medaglia ha il suo rovescio; ed è chiaro che un fatto del genere porterebbe inevitabilmente alla rinascita in Italia del vecchio spirito anticlericale, che diverrebbe violentissimo e si diffonderebbe tra i socialisti, tra i liberali, insomma tra tutti i democratici in genere. Siccome poi certi trionfi sono soltanto momentanei – e lo dimostra il passato anche recente – dato che la storia finisce sempre per riprendere il suo naturale cammino che è quello della libertà e del progresso, è certo che verrebbe il giorno del redde rationem, sia pure dopo qualche lustro di regime clericale-autoritario. Verrebbe comunque, inevitabilmente il giorno in cui, affermandosi nel paese una coalizione di forze democratiche laiche (divenuta per necessità di cose anticlericale), la Chiesa cattolica farebbe le spese di una inevitabile, dura reazione. È proprio possibile, diceva Salvemini in un articolo pubblicato sul Mondo, che la storia non insegni nulla? A noi la storia ha insegnato una cosa almeno: ad aver paura di certi pretesi campioni della pura fede cattolica che, a nostro avviso, viceversa, non sono nemmeno dei cristiani nel senso vero e profondo della parola. Ma, pure a questi signori la storia dovrebbe avere insegnato qualche cosa. Essa dovrebbe aver loro insegnato, come si dice da noi in gergo, a «stare bassi», a non peccare di superbia, ad aver paura delle reazioni che il loro stesso fanatismo potrebbe provocare, come già in passato. Dice il vecchio adagio: quos vult perdere deus amentat. Vorrei che il Signore illuminasse questi fanatici del clericalismo e vorrei sperare che i migliori tra i dirigenti della democrazia cristiana, anziché soggiacere ad essi, li aiutassero ad aprire gli occhi e ad avvicinarsi ai valori tradizionali del liberalismo italiano. (Vivi applausi a sinistra).’ (Luigi Preti: discorsi parlamentari 1947-1987, Camera dei Deputati, a cura di Angelo G. Sabatini, Roma 2010, pag. 291-293). Perchè non dobbiamo meravigliarci di queste affermazioni di Preti? Perchè dietro il PSLI, poi PSDI, c’era l’ombra del solito ‘reverendo’ Frank Gigliotti, ‘l’uomo secondo il cuore delle ADI’ che tanto si diede da fare per le ADI per fargli avere la cosiddetta libertà religiosa.

A proposito del PSDI (che per un tempo si chiamò PSLI), ricordiamo le seguenti cose: 1] che della loggia segreta ‘Giustizia e Libertà’, oltre a Luigi Preti, facevano parte anche questi altri politici socialdemocratici: Giuseppe Lupis, Antonio Cariglia, Flavio Orlandi, Mario Tanassi, e Umberto Righetti (Roberto Fabiani, I Massoni in Italia, pag. 17-18); 2] che Pietro Longo, divenuto segretario del Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) nel 1978, e riconfermato segretario nel 1980 e nel 1982, e che fu anche ministro del Bilancio e della Programmazione Economica nel primo governo Craxi, fu trovato nella lista della loggia massonica P2 (cfr. Sergio Flamigni, Trame Atlantiche, pag. 420); 3] che il partito entrò in una lunga fase di agonia dopo lo scoppio dello scandalo di Tangentopoli fra il 1992 e il 1994, e scomparve nel 1998 per aderire ai Socialisti Democratici Italiani, per poi riapparire nel 2004.