La remissione dei peccati

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La dottrina dei teologi papisti

La remissione dei peccati si ottiene con la fede e le opere e nessuno può essere sicuro di possederla.

Il concilio di Trento, il 13 Gennaio del 1547, decretò quanto segue: ‘Quantunque sia necessario credere che i peccati non vengano rimessi, né siano stati mai rimessi, se non gratuitamente dalla divina misericordia a cagione del Cristo: deve dirsi, tuttavia, che a nessuno che ostenti fiducia e certezza della remissione dei propri peccati e che si abbandoni in essa soltanto, vengono rimessi o sono stati rimessi i peccati, mentre fra gli eretici[1] e gli scismatici potrebbe esservi, anzi vi è, in questo nostro tempo, e viene predicata con grande accanimento contro la chiesa cattolica questa fiducia vana e lontana da ogni vera pietà’;[2] ed anche: ‘Chi afferma che per conseguire la remissione dei peccati è necessario che ogni uomo creda con certezza e senza alcuna esitazione della propria infermità e indisposizione, che i peccati gli sono rimessi: sia anatema’.[3] In altre parole per la chiesa cattolica romana la remissione dei peccati non è qualcosa che si può ottenere soltanto mediante la fede e di cui si può essere sicuri di possedere. Anche qui oltre la fede ci vogliono le opere buone che secondo loro hanno il potere di rimettere i peccati. E per confermare questo potere di rimettere (o espiare) i peccati che avrebbero le opere buone i teologi papisti citano due passi dai libri apocrifi; il primo è quello di Tobia che dice: ‘L’elemosina libera dalla morte e purifica da ogni peccato’,[4] il secondo è quello dell’Ecclesiastico che dice: ‘L’acqua spegne il fuoco che divampa, così l’elemosina espia i peccati’,[5] e questo passo dal Vangelo scritto da Luca: “Le sono rimessi i suoi molti peccati, perché ha molto amato…”.[6] Secondo loro Gesù rimise a quella donna i suoi peccati perché ella gli aveva rigato i piedi di lagrime, glieli aveva asciugati con i suoi capelli, glieli aveva baciati e unti di profumo; quindi egli le rimise i suoi peccati in base alle sue opere.

 


[1] Il termine deriva dal greco hairetikos che significa ‘scismatico’ o ‘settario’ e designa chi decide di separarsi dalla Chiesa per andare dietro a strane e diverse dottrine. Il termine ha dunque un significato negativo. Nel Nuovo Testamento questo termine è presente nel seguente versetto: “L’uomo settario (hairetikos), dopo una prima e una seconda ammonizione, schivalo, sapendo che un tal uomo è pervertito e pecca condannandosi da sé” (Tito 3:10,11). Diodati ha tradotto mettendo “L’uomo eretico…” e così anche i traduttori della King James Version (Versione di Re Giacomo) del 1611: “A man that is a heretic…”. I Protestanti furono sin dall’inizio definiti eretici.

[2] Concilio di Trento, Sess. VI, cap. IX

[3] Concilio di Trento, Sess. VI, can. 13

[4] Tobia 12:9

[5] Ecclesiastico o Siracide 3:29

[6] Luca 7:47