La Scrittura non conferma la confessione fatta al prete

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Ora, i teologi papisti asseriscono che i preti hanno ricevuto il potere di rimettere i peccati da Cristo perché é scritto che Gesù ha detto agli apostoli: “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti”![1] Ma stanno le cose proprio così? Affatto. Innanzi tutto dobbiamo dire che se Cristo con quelle parole avesse istituito questo sacramento della con­fessione così come lo possiede la chiesa cattolica romana dovreb­bero esserci a tale proposito delle conferme ben precise sia negli Atti degli apostoli che nelle epistole degli apostoli tenendo presente anche il fatto che esso è reputato indispensabi­le per conseguire la salvezza perché tramite esso vengono rimessi i peccati ‘mortali’ commessi dopo il battesimo. Ma dobbiamo dire che in tutti questi scritti del Nuovo Testamento non c’è nessuna traccia di questo cosid­detto sacramento amministrato dagli apostoli ai credenti. Difatti non una volta, dico nemmeno una volta, si trova che gli apostoli richiesero che i credenti si andassero a confessare da loro per ottenere la remissione dei loro peccati. Una chiara conferma che gli apostoli non richiedevano ai credenti di andarsi a confessare da loro per ottenere la remissione dei loro peccati e quindi che essi non avevano quell’autorità di riconciliare i credenti con Dio (che invece pretendono avere i preti) l’abbiamo nel caso di Simone, negli Atti degli apostoli. Luca dice che “Simone credette anch’egli; ed essendo stato battezzato, stava sempre con Filippo…”,[2] quindi era diventato anche lui un credente. Ma quando gli apostoli Pietro e Giovanni vennero a Samaria a pregare per i credenti affinché ricevessero lo Spirito Santo avvenne che egli “vedendo che per l’imposizione delle mani degli apostoli era dato lo Spirito Santo, offerse loro del danaro, dicendo: Date anche a me questa potestà, che colui al quale io imponga le mani riceva lo Spirito Santo”.[3] Ecco dunque un credente che dopo il battesimo cade in un peccato (secondo la teologia romana un peccato ‘morta­le’ perché simonia[4]e quindi egli aveva l’obbligo di confessarsi agli apostoli per ottenerne la remissione), quindi, dato che Pietro e Giovanni erano là, quello che ci si aspetterebbe è che essi gli dicano di pentirsi e di venire a confessarsi da loro. Ma non avviene nulla di tutto ciò perché Pietro gli dice: “Ravvediti dunque di questa tua malvagità; e prega il Signore affinché, se é possibile, ti sia perdonato il pensiero del tuo cuore..”.[5] Notate che Pietro in questo caso disse a Simone (che aveva anch’egli creduto) di ravvedersi e di pregare il Signore affinché gli fosse perdonato il suo peccato. L’apostolo non gli disse: ‘Ravvediti e poi vieni a confessarti da noi, perché abbiamo il potere di rimettere i peccati da parte di Dio’, ma gli disse di ravvedersi e di pregare direttamente il Signore affinché lui gli perdonasse il suo peccato. Come potete vedere, da questo episodio citato da Luca si apprende in maniera inequivocabile che i credenti dopo il battesimo per ottenere la remissione dei loro falli dovevano con­fessarli direttamente a Dio senza la mediazione di nessun uomo sulla terra. Che la confessione dei peccati i credenti la dovevano fare diret­tamente a Dio ai giorni degli apostoli mentre loro erano in vita lo si deduce chiaramente anche dall’epistola di Giovanni, uno degli apostoli a cui Gesù disse: “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi”.[6] Nella sua prima epistola egli afferma: “Se confes­siamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità”.[7] Ma a chi li dovevano confessare quei peccati? A Dio certamente, perché egli dice che se essi – quindi lui si includeva – li confessavano a Dio egli nella sua fedeltà e giustizia glieli avrebbe rimessi e li avrebbe purificati da ogni iniquità. Non può essere altrimenti perché Giovanni sapeva che Gesù aveva loro detto che quando pregavano dovevano dire: “Padre nostro che sei nei cieli… rimettici i nostri debi­ti”[8] e quindi si dovevano rivolgere direttamente a Dio. Più avanti Giovanni afferma: “Figliuoletti miei, io vi scrivo queste cose affinché non pecchiate; e se alcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo, il giusto; ed egli è la propiziazione per i nostri peccati…”:[9] notate che egli non disse: ‘Se qualcuno ha peccato avete gli apostoli del Signore, o gli anziani delegati da loro a rimettere i pecca­ti’; no, ma “noi abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo”. Questo significa che Giovanni credeva che quand’anche un credente avesse peccato egli avrebbe trovato perdono presso Dio Padre andando direttamente a lui nel nome del suo Figliuolo.

Veniamo a Giacomo, il fratello del Signore: egli scrisse una lettera alle dodici tribù della dispersione nella quale disse le seguenti cose: “Donde vengon le guerre e le contese fra voi? Non è egli da questo: cioè dalle vostre voluttà che guerreg­giano nelle vostre membra? Voi bramate e non avete; voi uccidete ed invidiate e non potete ottenere; voi contendete e guerreggia­te… O gente adultera, non sapete voi che l’amicizia del mondo è inimicizia contro Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio….”.[10] Ora, secondo la teologia romana quei credenti dopo il battesimo s’erano resi colpevoli di peccati ‘mortali’, uccidevano, invidiavano, erano diventati amici del mondo e nemici di Dio. Ci si aspetterebbe dunque che Giacomo dicesse loro di andarsi a confessare dagli apostoli o dagli anziani della Chiesa. Ma ancora una volta di questa confessione non c’è il minimo accenno, infatti l’apostolo scrive subito dopo: “Appressa­tevi a Dio, ed Egli si appresserà a voi. Nettate le vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o doppi d’animo! Siate afflitti e fate cordoglio e piangete! Sia il vostro riso conver­tito in lutto, e la vostra allegrezza in mestizia! Umiliatevi nel cospetto del Signore, ed Egli vi innalzerà”.[11] Ecco ancora una volta una esortazione a rivolgersi direttamente a Dio, ad andare a confessare i propri peccati a Dio direttamente e non a un ministro di Dio.

Tutti questi esempi appena visti attestano in maniera chiara che Cristo non diede agli apostoli la potestà di rimettere i peccati agli uomi­ni, infatti essi non richiesero mai che i credenti caduti nel peccato si andassero a confessare da loro. Anche allora i creden­ti quando peccavano erano esortati a confessare i loro peccati a Dio per ottenerne la remissione. D’altronde c’erano anche le Scritture dell’Antico Patto che confermavano loro che questa confessione essi la dovevano fare a Dio e non a degli uomini, quantunque uomini santi che erano stati con Gesù. Citiamo per esempio queste eloquenti parole di Davide: “Io t’ho dichiarato il mio peccato, non ho coperta la mia iniquità. Io ho detto: Confesserò le mie trasgressioni all’Eterno; e tu hai perdonato l’iniquità del mio peccato”.[12] Non erano anche per loro una chiara prova che essi dovevano confessarsi a Dio solo? Ma domandiamoci: ‘Ma non sarebbero stati confusi gli stessi apostoli se avessero ordinato ai credenti di andare a dichiarare i loro peccati a loro e non direttamente a Dio, quando le Scritture dell’Antico Patto ordinavano di andare a confessarsi a Dio direttamente. Ma come avrebbero potuto gli apostoli affermare di avere il potere di rimettere i peccati che i credenti commettevano contro Dio senza essere ripresi per la loro arroganza?

Infine, per confermare ulteriormente che la confessione delle proprie iniquità, secondo la Scrittura, va fatta a Dio e non a dei presunti intermediari quali i preti cattolici, citiamo due confessioni trascritte nell’Antico Testamento, quella di Esdra e quella di Daniele.

Nel libro di Esdra è scritto: “E al momento dell’oblazione della sera, m’alzai dalla mia umiliazione, colle vesti e col mantello stracciati; caddi in ginocchio; stesi le mani verso l’Eterno, il mio Dio, e dissi: ‘O mio Dio, io son confuso; e mi vergogno, o mio Dio, d’alzare a te la mia faccia; poiché le nostre iniquità si son moltiplicate fino al di sopra del nostro capo, e la nostra colpa è sì grande che arriva al cielo. Dal tempo de’ nostri padri fino al dì d’oggi siamo stati grandemente colpevoli…”.[13]

Nel libro di Daniele è scritto: “E feci la mia preghiera e la mia confessione all’Eterno, al mio Dio, dicendo: ‘O Signore, Dio grande e tremendo, che mantieni il patto e continui la benignità a quelli che t’amano e osservano i tuoi comandamenti! Noi abbiamo peccato, ci siam condotti iniquamente, abbiamo operato malvagia­mente, ci siamo ribellati, e ci siamo allontanati dai tuoi coman­damenti e dalle tue prescrizioni, non abbiam dato ascolto ai profeti, tuoi servi, che hanno parlato in tuo nome ai nostri re, ai nostri capi, ai nostri padri, e a tutto il popolo del paese…”.[14]

Ecco dunque dei membri del popolo di Dio sotto l’Antico Patto che si confessarono direttamente a Dio per ottenere il suo perdono. Per riassumere: nella Scrittura non c’è la benché minima menzione di una confessione da farsi ad un sacerdote per ottenere il perdono dei peccati; non c’è nell’Antico Patto e non c’è neppure nel Nuovo Patto perché gli apostoli nelle loro epistole non ne parlano.

Forse qualcuno penserà che gli apostoli in virtù di quelle parole che Gesù disse loro cioè: “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti”,[15] richiedessero che i peccatori andassero da loro a dichiarare i loro peccati per ottenere la remissione di essi. Ma anche qui si deve dire che di una simile confessione non esiste la benché minima traccia nella Scrittura. Perché questo? Perché gli apostoli avevano ricevuto l’ordine di predicare la remissione dei peccati secondo che aveva loro detto Gesù: “Così è scritto, che il Cristo soffrirebbe, e risuscite­rebbe dai morti il terzo giorno, e che nel suo nome si prediche­rebbe ravvedimento e remission dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme”[16] e non la potestà di assolvere i peccatori penitenti perché questa la possiede solo Dio, il giusto Giudice. Questo é confermato dai seguenti episodi trascritti nel libro degli Atti degli apostoli.

–  A Gerusalemme il giorno della Pentecoste, quando i Giudei che udirono la predicazione di Pietro, dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Fratelli, che dobbiam fare?”,[17] Pietro rispose loro dicendo: “Ravvedetevi, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remission de’ vostri peccati…”.[18] Notate che cosa Pietro disse di fare a quei Giudei per ottenere la remissione dei loro peccati; egli disse loro di ravvedersi e di farsi battezzare. Pietro assieme agli altri apostoli non dissero loro: ‘Venite a confessarvi da noi e noi vi rimetteremo i vostri peccati perché abbiamo ricevuto da Cristo il potere di farlo’. Questa é una chiara dimostrazione di come gli apostoli non inte­sero malamente le parole del Signore Gesù come invece hanno fatto i teologi cattolici romani.

–  A casa di Cornelio, Pietro predicò la remissione dei peccati nel nome di Cristo infatti disse: “Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve la remission de’ peccati me­diante il suo nome”.[19] Anche in questo caso Pietro non pretese che Cornelio ed i suoi andassero da lui a confessargli i loro peccati appunto perché l’apostolo non aveva il potere di rimettere a nessuno i peccati da parte di Dio ma quello di predicare la remissione dei peccati il che è differente.

–  Sempre a casa di Cornelio, Pietro disse: “Ed egli ci ha comanda­to di predicare al popolo e di testimoniare ch’egli è quello che da Dio è stato costituito Giudice dei vivi e dei morti”;[20] quindi è Cristo, essendo il Giudice di tutti, ad avere il potere di assol­vere e non degli uomini costituiti da lui. I peccatori quindi per ottenere misericordia da Dio devono confessare le loro iniquità a Cristo che è il Giudice che può assolvere o condannare (e non a degli uomini). Gesù stesso ha confermato che il peccatore per essere assolto è sufficiente che si confessi direttamente a Dio quando disse in una parabola che un pubblicano, salito al tempio per pregare, “non ardiva neppure alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: O Dio, sii placato verso me peccatore!”;[21] questo pubblicano non andò a confessarsi dai sacer­doti che erano nel tempio ma direttamente da Dio, ed ottenne la remissione dei suoi peccati secondo che Gesù disse: “Io vi dico che questi scese a casa sua giustificato”.[22]

–  Quando gli apostoli comparvero davanti al Sinedrio, Pietro e gli altri dissero: “L’Iddio de’ nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi uccideste appendendolo al legno. Esso ha Iddio esaltato con la sua destra, costituendolo Principe e Salvatore, per dare ravvedimento a Israele, e remission dei peccati”.[23] Anche in questo caso gli apostoli non si attribuirono affatto il potere di rimettere i peccati agli uomini perché fecero capire chiaramente con le loro parole che è Dio colui che dà la remissione dei peccati come anche il ravvedimento. Ora, noi sappiamo che il ravvedimento è Dio a darlo agli uomini perché è scritto che quelli della circoncisione dopo che Pietro raccontò loro come Dio lo aveva mandato dai Gentili a predicare il Vangelo e come essi avevano ricevuto lo Spirito Santo, dissero: “Iddio dunque ha dato il ravvedimento anche ai Gentili affinché abbiano vita”;[24] quindi come gli apostoli non avevano il potere di dare il ravvedimento a nessuno, ma solo l’ordine di predicare il ravve­dimento a tutti, così essi non avevano neppure il potere di dare la remissione dei peccati a nessuno perché quella la dava direttamente Dio al peccatore penitente; essi anche in questo caso avevano l’ordine di predicare la remissione dei peccati.[25]

Come potete vedere gli apostoli non confessavano i peccatori ma li esortavano a ravvedersi e a credere in Gesù Cristo per ottene­re la remissione dei loro peccati; a lui dovevano confessare i loro peccati e non a loro. La penitenza cattolica romana che l’uomo deve fare al sacerdote quindi non ha nessun passo scrittu­rale che la sostenga. E questo lo ha riconosciuto pure Bartmann che ha detto che nella Scrittura ‘non si trova alcun passo in cui si esiga esplicitamente che il peccatore confessi i suoi peccati gravi a un sacerdote per ottenerne il perdono’.[26] Ma allora, qualcuno dirà, come mai dinanzi all’evidenza i teologi difendono il dogma della penitenza? La ragione è perché devono compiacere al papa in ogni cosa e non possono permettersi di dissentire da lui se non vogliono incorrere in qualche provvedimento disciplinare. Nella chiesa romana funziona così: il papa detta la legge e i teologi devono ubbidirgli anche se la sua legge contrasta la verità e non può quindi essere sostenuta con la Parola di Dio.

Per concludere, tutte le suddette Scritture da noi citate confer­mano che la confessione dei propri peccati l’uomo, sia il pecca­tore che vuole essere salvato, che il credente che è già salvato, la deve fare al Signore affinché i suoi peccati gli vengano rimessi perché solo Dio ha il potere di perdonare i peccati all’uomo secondo che é scritto nei Salmi: “Egli è quel che ti perdona tutte le tue iniquità”.[27]

 


[1] Giov. 20:23

[2] Atti 8:13

[3] Atti 8:18,19

[4] Per simonia i Cattolici intendono il traffico di cose sacre a scopo di lucro. Il simoniaco è colui che vende o compra ‘uffici sacri’, ecc.

[5] Atti 8:22

[6] Giov. 20:23

[7] 1 Giov. 1:9

[8] Matt. 6:9,12

[9] 1 Giov. 2:1,2

[10] Giac. 4:1,2,4

[11] Giac. 4:8-10

[12] Sal. 32:5

[13] Esd. 9:5-7

[14] Dan. 9:4-6

[15] Giov. 20:23

[16] Luca 24:46,47

[17] Atti 2:37

[18] Atti 2:38

[19] Atti 10:43

[20] Atti 10:42

[21] Luca 18:13

[22] Luca 18:14

[23] Atti 5:30,31

[24] Atti 11:18

[25] Cfr. Luca 24:47 per comprendere che gli apostoli avevano ricevuto l’ordine di predicare il ravvedimento e la remissione dei peccati.

[26] Bernardo Bartmann, op. cit., pag. 282

[27] Sal. 103:3