Il peccato

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La dottrina dei teologi papisti

I peccati si distinguono in veniali e mortali; i primi non privano chi li commette della grazia, mentre i secondi sì. I peccati veniali si espiano anche senza confessione; quelli mortali invece abbisognano della confessione per essere perdonati.

La dottrina sul peccato che insegna la chiesa romana, cioè il come si viene liberati dai peccati e la distinzione dei peccati, sta alla base dei suoi due sacramenti indispensabili alla salvezza, ma essa sta anche alla base del purgatorio. Ritengo dunque utile esporvela per sommi capi affinché possiate comprendere bene il perché il purgatorio è una dottrina indispensabile nella teologia papista.

Innanzi tutto essa insegna che mediante il battesimo il bambino diventa un cristiano, cioè rinasce spiritualmente a nuova vita, perché gli vengono cancellati i peccati mediante il battesimo; poi essa insegna la distinzione tra peccati veniali e peccati mortali facendo credere ai battezzati che vi sono dei peccati, quelli veniali, che non privano l’anima della grazia di Dio, ed altri, quelli mortali, che privano l’anima della grazia di Dio.

E per ciascuna di queste categorie di peccati la chiesa romana ha escogitato questo rimedio. Essa dice che un battezzato può ricevere il perdono dei suoi peccati veniali (dal latino venialis che significa ‘perdonabile’) durante la sua vita col pentimento, con buone opere e senza la confessione al prete, il Perardi afferma infatti: ‘Può aversene il perdono col pentimento e con buone opere, anche senza la confessione sacramentale’[1] o altrimenti li soddisferà dopo morto con le pene gravi del purgatorio;[2] mentre se commette un peccato mortale può ricevere il perdono di esso solo confessandolo al prete: ‘La grazia di Dio, perduta per il peccato mortale, si riacquista con una buona confessione sacramentale’[3] e dice che se muore senza averne fatta confessione sacra­mentale non potrà mai avere accesso al paradiso perché se ne andrà all’Inferno! Ecco come si esprime il Perardi a tale riguardo: ‘Chi muore in istato di peccato mortale, va all’Inferno’.[4]

In altri termini, per la chiesa romana siccome che le due categorie di peccati hanno degli effetti spirituali diversi sull’individuo che li commette (il peccato veniale non toglie la grazia mentre il peccato mortale sì), di conseguenza cambia anche il modo in cui se ne può ottenere il perdono; più facile per il primo perché in questo caso basta il pentimento con qualche opera buona, più difficile per il secondo perché in questo caso è necessaria la confessione o la contrizione perfetta!

Ma non è tutto: perché dato che la penitenza ‘rimette la pena eterna, ma ne lascia ordinariamente una temporanea da scontare o in questa vita o nell’altra’ il penitente deve anche lui dare la sua parte di soddisfazione per espiare tutta la pena dei suoi peccati commessi.

Per chi dice invece che ‘tutta la pena viene sempre rimessa da Dio insieme alla colpa e che l’unica soddisfazione dei penitenti è la fede, con cui apprendono che Cristo ha soddisfatto per essi’ c’è l’anatema tridentino[5] In questa maniera, cioè insegnando che il battezzato, sia nel caso di peccati veniali e sia di peccati mortali, deve sempre fare delle opere per ottenere la remissione del debito della pena temporanea meritata e che il pentimento e la fede in Cristo non sono sufficienti a soddisfare, il purgatorio trova il suo logico posto, perché? Perché è il luogo dove il penitente deve andare dopo morto a scontare qualsiasi debito di pena temporanea rimastogli sulla terra: che tutti hanno, solo che per alcuni è più grande e per altri meno. In paradiso infatti ci va solo colui che è senza peccato neppure veniale e senza debito di pena cioè che ha già soddisfatto a tutta la pena temporanea dovuta per i peccati gravi, cioè chi è puro di ogni macchia, e dato che in punto di morte nessuno può sperare di trovarsi così puro e così santo da potere subito accedere in paradiso – come essi dicono – perché tutti hanno qualche colpa da espiare, allora il penitente deve andarsene prima nel purgatorio a pagare il suo debito per potere poi accedere in paradiso! Avete compreso dunque in che maniera il purgatorio è strettamente collegato alla dottrina del peccato insegnata dalla chiesa papista? Perché esso costituisce quel posto da cui tutti devono passare per espiare con le loro sofferenze ogni debito di pena temporanea contratto sulla terra che essi non hanno potuto o voluto pagare sulla terra con le loro opere. In altre parole esso costituisce quel luogo dove, dato che sulla terra mediante la sola fede nel sacrificio propiziatorio di Cristo non si può in nessuna maniera ottenere la remissione di tutta la pena meritata con i peccati (il che significa che il sangue di Cristo non può cancellarla), il penitente deve per forza di cose andare per mettersi finalmente a posto davanti a Dio, cioè per pagare tutto quello che gli rimane a pagare!

Per farvi comprendere ora quali sono per i teologi cattolici romani i peccati veniali, che non sono gravi, e quelli mortali che invece sono gravi, vi citerò alcune parole sempre dal Nuovo Manuale del Catechista: ‘La legge di Dio, ad esempio, proibisce di rubare. Se io rubo pochi soldi a un ricco, il mio peccato non è mortale, ma veniale; è mortale se rubo una somma grave. Una semplice bugia è peccato veniale, ma mortale la bestemmia’.[6]

Per quanto riguarda la bugia occorre dire che, secondo i teologi romani, essa è di tre tipi, cioè, la bugia giocosa, la bugia ufficiosa, e la bugia dannosa (questa distinzione fu introdotta da Tommaso d’Aquino).

La bugia giocosa è quando si mentisce per giuoco, senza alcuno scopo serio, e per il solo piacere di mentire; la bugia ufficiosa è quando si mentisce per scusarsi, ovvero per produrre un qual­che vantaggio a sé stesso o ad altri, senza che però ne venga per essa danno al prossimo; la bugia dannosa è quando per essa ne viene ingiusto danno al prossimo.

Le prime due classi di bugie, secondo la teologia romana, non sono che peccato veniale, mentre la bugia dannosa è un peccato grave. Citiamo a tale proposito ciò che dice l’Enciclopedia Ecclesiastica alla voce ‘bugia’: ‘Solo la bugia dannosa può essere colpa grave, come quando inducesse in errore su Dio, la religione, la morale, o recasse danno grave al prossimo nella vita, nelle ricchezze o nella fama; in tutti questi casi, infatti, è una grave violazione del precetto della carità (…) La bugia ufficiosa (quella cioè che mira a qualche vantaggio) e quella giocosa, non sono peccato grave (…) anzi, la giocosa, secondo alcuni, può essere del tutto innocente, ossia non essere neppure bugia. Questa dottrina sulla colpevolezza di chi mente è comune nella Chiesa’.[7]

E se questo non basta per capire che i teologi della chiesa romana ammettono in alcune circostanze la menzogna citiamo anche quello che dice l’Enciclopedia Cattolica alla voce menzogna: ‘In molti casi, basterà il silenzio o la frase evasiva allo scopo di salvare il segreto, di eludere una minaccia, di essere cortesi. Ma tante altre volte il silenzio o la frase evasiva sono proprio tali da tradire quegli scopi. Non si può allora né tacere né evadere; bisogna dire qualcosa; d’altronde il proprio pensiero non può dirsi senza pericolo. E’ lecita in simili circostanze la risposta falsa? Con la grande maggioranza degli uomini sani, i dottori cattolici rispondono di sì’.[8]

 


[1] Giuseppe Perardi, op. cit. pag. 241

[2] In questa maniera la chiesa cattolica si contraddice perché il concilio Laterano del 1215 ha imposto la confessione di tutti i peccati e non solo di una parte; e poi perché questi peccati di ‘seconda categoria’ che secondo loro non privano l’anima della grazia di Dio sono degni della punizione divina perché coloro che li commettono senza averli espiati sulla terra li devono espiare in purgatorio con atroci sofferenze. Quindi, la chiesa romana non reputa indispensabile la confessione dei peccati veniali al prete che fa le veci di Dio e poi afferma che per essi si dovrà penare nel purgatorio; il che vuole dire che essa dichiara non grave ciò che Dio punisce con la sua ira! Ma se Cristo avesse veramente istituito la confessione al prete e ci fosse veramente il purgatorio, non sarebbe un controsenso non obbligare le anime a confessare anche i peccati veniali? Non sarebbe tutto ciò un andare contro gli interessi delle anime che possono morire con dei peccati veniali non perdonati?

[3] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 240

[4] Ibid., pag. 238. Il fatto è però che il penitente anche dopo averne fatto la confessione al prete anche se non va all’inferno, se ne va sempre in un luogo di tormenti atroci quale è il purgatorio. Una domanda quindi si impone a questo punto: come è mai possibile che la chiesa romana che si vanta di avere le chiavi del regno dei cieli, perché possiede il successore di Pietro e i successori degli apostoli che la guidano, non può fare evitare il purgatorio, che è un luogo di tormenti, a coloro che si confessano e fanno ciò che essa gli dice? Come è possibile che queste cosiddette chiavi riuscirebbero a fare scampare dall’inferno ma non dal purgatorio? Non è forse questo una prova di quanto sia inefficace questo potere delle chiavi?

[5] Concilio di Trento, Sess. XIV, can. 12

[6] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 241. Anche tra i peccati mortali ci sono quelli più gravi e quelli meno gravi; ma su questa loro distinzione non mi soffermerò per non dilungarmi troppo. Mi limito a dire che essa è arbitraria e denota quanta ignoranza della Scrittura ci sia tra i teologi papisti.

[7] Enciclopedia Ecclesiastica, vol. 1, pag. 533

[8] Enciclopedia Cattolica, vol. 8, 703. Non c’é quindi da meravigliarsi un gran che se in questa nazione così cattolica la bugia è un costume e non è considerata un peccato: la bugia cosiddetta giocosa per esempio è molto diffusa perché a tutti piace mentire per farsi beffe del prossimo; anche la bugia cosid­detta ufficiosa è molto diffusa difatti tanti mentono per scusar­si e per nascondere certe cose, e tanti mentono ai bambini sin dalla loro tenera età per non fargli fare certe cose o per far­gliene fare altre; e tutto questo perché queste menzogne vengono considerate bugie leggere ovvero peccati veniali.