Il purgatorio e dottrine collegate

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La dottrina dei teologi papisti

Il purgatorio è un luogo di tormento dove vanno coloro che muoiono in grazia, a espiare la pena dovuta per i loro peccati. La chiesa viene in aiuto alle anime che sono in esso con il suffragio, affinché le loro pene siano alleviate e siano liberate dal purgatorio. La messa offerta sull’altare privilegiato ha il potere di fare uscire subito l’anima dal purgatorio. La ragione ci fa sentire la necessità di un purgatorio; chi può essere così santo e puro all’atto della morte da poter andare subito in paradiso?

L’Enciclopedia Cattolica definisce il purgatorio così: ‘Stato ultraterreno, duraturo fino all’ultimo giudizio, in cui le anime di coloro, che sono morti in Grazia, ma con imperfezioni o peccati veniali o pene temporali da scontare per i peccati gravi rimessi, espiano e si purificano prima di salire in paradiso’.[1] E’ bene precisare che secondo quello che insegna la chiesa romana attualmente sul purgatorio, le anime che sono in questo luogo soffrono sì pene intensissime per espiare i debiti che hanno verso Dio, ma essa stessa non sa dire in che cosa consistono precisamente queste pene e neppure se tra esse ci sia il fuoco. Il Perardi così si è espresso: ‘Le anime in Purgatorio soffrono la privazione di Dio e altre pene sino a che abbiano soddisfatto in tutto ai debiti che hanno colla giustizia di Dio (…) Non sappiamo esattamente quali siano le altre pene che, oltre la privazione di Dio, si soffrono in Purgatorio. Taluni pensano che tali pene siano simili a quelle dell’Inferno (…) Non sappiamo in che cosa esse consistano, e neppure se tra esse vi sia il fuoco’.[2] L’Enciclopedia Cattolica afferma comunque che secondo la dottrina comune dei teologi cattolici nel purgatorio si patiscono ‘sofferenze causate dal fuoco’.[3]

Ma come fanno i teologi romani a sostenere il purgatorio con le sacre Scritture? Principalmente (perché come vedremo in appresso essi prendono altri passi della Scrittura) mediante queste parole di Paolo: “Io, secondo la grazia di Dio che m’è stata data, come savio architetto, ho posto il fondamento; altri vi edifica sopra. Ma badi ciascuno com’egli vi edifica sopra; poiché nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Cristo Gesù. Ora, se uno edifica su questo fondamento oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera d’ognuno sarà manifestata, perché il giorno di Cristo la paleserà; poiché quel giorno ha da apparire qual fuoco; e il fuoco farà la prova di quel che sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha edifi­cata sul fondamento sussiste, ei ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, ei ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco”.[4] Secondo i teologi papisti questo “sarà salvo, però come attraverso il fuoco” significa che il giusto dopo avere penato nel purgatorio per un certo tempo, sarà salvato nel para­diso di Dio, perché il fuoco purificatore lo avrà purificato da ogni residuo di peccato. E per sostenere questa loro interpretazione essi prendono diversi loro padri tra cui Agostino di Ippona che ha detto: ‘Secondo questa opinione, nell’intervallo di tempo che corre dalla morte di questo corpo fino a quando si giungerà al giorno in cui avver­rà la resurrezione dei corpi – giorno dell’estremo giudizio nel quale si pronunzierà la sentenza del premio o del castigo – le anime dei defunti che, durante la loro vita terrena, non hanno avuto costumi e affetti tali da meritare di essere consumati come legna, fieno e paglia, non subiranno il fuoco che brucerà quelle anime che non vissero in tale modo. Queste saranno afflitte dal fuoco di una tribolazione passeggera che brucerà a fondo le costruzioni di legno, fieno e paglia, non meritevoli di eterna condanna; e le brucerà o su questa terra, o quaggiù e nell’aldi­là, o solo nell’altra vita. A questa opinione non mi oppongo perché forse è un opinione vera’.[5]

Le anime che sono nel purgatorio possono essere aiutate dai vivi. Il catechismo della chiesa romana afferma infatti: ‘Possiamo soccorrere e anche liberare le anime dalle pene del Purgatorio con i suffragi ossia con preghiere, indulgenze, elemosine ed altre opere buone, e sopra tutto con la santa Messa (…) Il frutto di queste opere, applicato alle anime del Purgatorio, prende il nome di suffragio, perché suffraga, cioè allieva le pene delle anime del Purgatorio e ne affretta la liberazione’.[6] In altre parole ai Cattolici romani viene detto che con le preghiere, le elemosine, le indulgenze, le opere buone e soprat­tutto con la messa essi concorrono a pagare i debiti che le anime dei defunti devono espiare in purgatorio. Questo suffragio è molto sentito dai Cattolici romani soprattutto il 2 Novembre che è la festa dei morti; una festa che ha mille anni essendo stata istituita nel 998 da Odilone abate di Clunì il quale si contraddistingueva per il suo zelo nel pregare per le anime del purgatorio. A sostegno di questo cosiddetto suffragio, i teologi romani prendono diverse citazioni dei cosiddetti padri tra cui queste di Agostino: ‘Dobbiamo ammettere che le anime dei trapassati possono ricevere qualche sollievo dalla pietà dei parenti, quando per esse offrono il santo Sacrificio del Mediatore, ovvero distribuiscono elemosine ai poveri. Ma questi suffragi profitteranno soltanto a coloro i quali, durante la loro vita, avranno meritato che queste opere buone possano essere loro applicate (…) A coloro cui possono essere di giovamento, essi ne ricavano questo vantaggio; o ricevono piena ed intiera remissione delle loro colpe, o certamente qualche sollievo nel rigore delle loro pene’.[7] E soprattutto il seguente passo dei Maccabei dove è detto che Giuda Maccabeo fece offrire un sacrificio per i peccati di alcuni Giudei morti in battaglia (sotto le cui tuniche erano state ritrovati degli ‘oggetti sacri agli idoli di Iamnia’):[8] ‘Per questo egli fece compiere il sacrificio di espiazione per quelli che erano morti, affinché fossero assolti dal peccato’.[9]

L’altare privilegiato, dice l’Enciclopedia Cattolica, ‘è quello che gode dell’indulto della indulgenza plenaria, da applicarsi al defunto per il quale si celebra la Messa’.[10] Dell’altare privile­giato godono i cardinali e coloro ai quali è stato concesso dal papa. Nella pratica ciò significa che ogni messa celebrata su uno di questi altari libera un’anima dal purgatorio. ‘… tutti gli altari sono privilegiati il giorno della commemorazione dei defunti’.[11]

Ma qual’è il fine di questa dottrina del purga­torio? Quello di tranquillizza­re i peccatori facendogli credere che anche dopo morti potranno essere purificati dai loro peccati ed accedere dopo questa purificazione in paradiso.[12] Ecco come il teologo Perardi cerca di tranquillizzare i Cattolici romani parlando del purgatorio nel suo Nuovo Manuale del Catechista: ‘Anche la ragione ci fa sentire la necessità del Purgatorio. Niente di macchiato può entrare in Paradiso. Ora, quante anime si sono guardate dal peccato mortale, ma tuttavia sono cariche di peccati veniali; quante anime convertite, tratte dall’abitudine, ricaddero in colpe gravi, di cui si confessarono, ma non poterono farne penitenza; quante anime si pentirono sol­tanto in punto di morte! Esse non possono entrare subito in Paradiso. Dovranno venirne escluse per sempre e andare all’Infer­no? Se non esistesse il Purgatorio, la giustizia di Dio ci appa­rirebbe troppo spaventosa; potremmo sperare di trovarci, in punto di morte, così puri, così santi da meritare subito il Paradiso? – La misericordia di Dio ci apparirebbe troppo scarsa, troppo limi­tata poiché non potrebbe mai accogliere in cielo le anime ree anche di sole colpe veniali’.[13]

 


[1] Enciclopedia Cattolica, vol. 10, 330

[2] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 172, 175

[3] Enciclopedia Cattolica, vol. 10, 337

[4] 1 Cor. 3:10-15

[5] Agostino di Ippona, La città di Dio, Libro XXI, cap. XXVI. Anche se Agostino talvolta è ambiguo nel parlare e pare essere incerto sul purgatorio, pure occorre dire che a giusta ragione la chiesa papista lo reputa il vero padre del purgatorio perché con le sue parole ne ha gettato le fondamenta.

[6] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 172, 173

[7] Agostino di Ippona, Enchiridion, cap. CIX

[8] Cfr. 2 Maccabei 12:38-40

[9] 2 Maccabei 12: 45

[10] Enciclopedia Cattolica, vol. 1, 925

[11] Lessico universale italiano, vol. 1, Roma 1968, pag. 464

[12] Quantunque la distinzione tra peccati veniali e peccati mortali riguarda i battezzati della chiesa cattolica, chiamati da essa Cristiani, io nella mia confutazione quando ne parlo riferendomi a loro ne parlo come se essa concernesse i peccati di peccatori perché è risaputo che il loro battesimo non fa diventare cristiano proprio nessuno. Essi sono sotto il peccato e non sono stati ancora affrancati dal peccato mediante il sangue di Cristo.

[13] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 175