Breve storia del papato

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Abbiamo quindi dimostrato mediante le Scritture come colui che viene chiamato papa non è né il vescovo universale, né il succes­sore di Pietro perché Pietro non fu vescovo di Roma e non lasciò successori, né il capo della Chiesa di Dio, e neppure il vicario di Cristo, ed altre cose sul suo conto. Vogliamo ora esaminare per sommi capi la storia del papato al fine di comprendere come sia potuto accadere che dall’antica Chiesa di Roma, la cui fede era pubblicata per tutto il mondo, sia sorto questo piccolo Stato comandato da colui che si dice il vescovo di Roma e il successore di Pietro il quale possiede un enorme potere spirituale su centinaia di milioni di persone di tutto il mondo. Traccerò la storia del papato parlando sia dell’origine del potere spirituale che di quello temporale soffermandomi di volta in volta su quegli eventi che hanno contribuito maggiormente a sviluppare questi poteri; mi soffermerò anche a parlare di alcuni papi contraddistintisi per la loro arroganza, doppiezza, empietà, sete di denaro e di sangue, e per la loro dissolutezza e di alcune stragi e guerre avvenute per opera dei papi o per la conquista del seggio papale o per la conservazione del trono pontificio, o per la salvaguardia degli interessi e dei territori del papato o per accrescere il proprio territorio di giurisdizione. Ho deciso di inserire in questo libro questa parte storica sul papato perché sono giunto alla conclusione dopo avere studiato il cattolicesimo romano che senza di essa il libro sarebbe stato mancante di una parte importante ai fini della comprensione del cattolicesimo. Ritengo infatti che se un credente vuole capire bene cosa è il cattolicesimo romano oltre che a conoscere a fondo le sue dottrine, deve conoscere la storia del papato, se non tutta, almeno una parte. Solo così egli può avere un quadro completo del cattolicesimo e può dimostrare ai Cattolici, oltre che con le sacre Scritture, anche con i fatti storici registrati dai loro stessi storici e scrittori che quell’istituzione su cui essi fondano tutte le loro speranze non è altro che un’istituzione umana che non si basa affatto sulle parole di Gesù a Pietro (come viene asserito da essi nella loro ignoranza) perché è solo il frutto di circostanze storiche verificatesi nei primi otto secoli che ne hanno permesso la nascita e la crescita;[1] istituzione che una volta nata per potere conservarsi in vita e svilupparsi ha ricorso a compromessi di svariato genere, a menzogne, alla violenza, alla guerra, a soprusi di ogni genere; i cui capi che si sono succeduti al suo vertice hanno fomentato guerre ed ingiustizie di ogni genere, benedicendo i malvagi e maledicendo i giusti, approvando l’iniquità e riprovando la giustizia, ed introducendo e avallando ogni sorta di dottrine false.

Dal secondo al quarto secolo.

Verso la fine del secondo secolo il vescovo di Roma cominciò ad attribuirsi delle prerogati­ve di supremazia sugli altri vescovi. L’allora vescovo Vittore (189-199) infatti nella controversia che esisteva attorno alla Pasqua tra le chiese d’Oriente e quelle d’Occidente (gli Orientali dicevano che bisognava festeggiarla il 14 di Nisan qualunque fosse il giorno nel quale cadeva, mentre i Romani dicevano che bisognava festeggiarla la Domenica più vicina al 14 di Nisan) richiese alle comunità dell’Asia di attenersi alla prassi romana che rimontava, a suo dire, alla tradizione apostolica; e nel caso di rifiuto minacciò l’esclusione dalla comunione ecclesiale. Ma le chiese d’Oriente si opposero a Vittore per mezzo di Policrate vescovo di Efeso.[2]

Anche nel terzo secolo il vescovo di Roma continuò a ritenersi in un certo senso superiore agli altri vescovi infatti Callisto I (217-222) riteneva appoggiandosi sul “Tu sei Pietro” d’avere il potere di legare e sciogliere e quindi di accogliere nella chiesa anche gli adulteri in quanto la sua chiesa era vicina al sepolcro di Pietro. Ma a Callisto gli si oppose Tertulliano dicendogli: ‘Chi sei tu che (in tal modo) sovverti e deformi l’intenzione manifesta del Signore, che conferiva tale potere personalmente a Pietro?’.[3]

Poi fu la volta di Stefano I (254-257) a ritenersi in possesso di qualcosa che gli altri vescovi non avevano, e quindi superiore agli altri vescovi, infatti egli rivendicò la successione di Pietro a motivo del luogo dove egli era vescovo e di avere quindi l’autorità di accogliere nella chiesa anche i battezzati dagli eretici. In altre parole Stefano, appoggiandosi sulla tradizione, accettava il battesimo ministrato dagli eretici per cui coloro che lasciavano una setta per entrare a fare parte della Chiesa, secondo lui, non avevano bisogno di essere ribattezzati, ma solo che il vescovo gli imponesse le mani. Ma a Stefano si oppose Cipriano, vescovo di Cartagi­ne, il quale non riteneva valido il battesimo degli eretici e perciò se un eretico si convertiva doveva essere ribattezzato. Lui non diceva però ribattezzato ma semplicemente battezzato perché per lui quel battesimo non era vero. Cipriano disse in una sua lettera a Quinto a proposito di questa controversia: ‘Non è, d’altronde, il caso di dettare una norma in forza di una consuetudine:[4] tocca alla ragione prevalere’.[5] E per essersi rifiutato di dare ragione a Stefano fu da lui scomunicato.

Queste opposizioni ricevute da ben tre vescovi romani nello spazio di poco più di mezzo secolo attestano chiaramente che le chiese in quel periodo non riconoscevano che il vescovo di Roma avesse un primato giurisdizionale di istituzione divina sopra la Chiesa universale; una cosa del genere era del tutto estranea alle chiese di allora. (Occorre dire però che nei riguardi del vescovo di Roma molte chiese avevano cominciato a mostrare un certo riguardo cioè avevano cominciato a mostrargli un onore speciale). Il contrario, cioè che le chiese dei primi secoli dopo Cristo considerassero il vescovo di Roma il loro capo o il vescovo dei vescovi, da cui esse dipendevano e a cui dovevano un assoluta sottomissione, i cui giudici erano inappellabili e non criticabili perché pronunciati dal vicario di Cristo sulla terra, non si può dimostrare né con gli scritti del Nuovo Testamento e neppure con gli scritti dei cosiddetti padri tanto è vero che persino uno scrittore cattolico è costretto ad affermare: ‘Non si può accertare per il periodo dei primi tre secoli una supremazia giuridica del vescovo di Roma sulla Chiesa universale’.

Ma per quali motivi il vescovo di Roma cominciò a reputarsi (e ad essere reputato da taluni) superiore agli altri vescovi o comunque degno di speciale onore nei loro confronti? I motivi sono i seguenti: 1) Roma era la capitale dell’Impero Romano e quindi la città più importante di tutto l’Impero e quindi anche il vescovo di quella città doveva essere oggetto di particolare onore; 2) a Roma al tempo degli apostoli vi era stata una Chiesa famosa per tutto il mondo per la sua fede alla quale Paolo, l’apostolo dei Gentili, aveva scritto una delle sue più lunghe epistole, e secondo molti una delle sue più importanti; 3) la Chiesa di Roma godeva fama di essere attaccata alla sana dottrina (chiamata da molti tradizione apostolica) e avversa all’eresia (per esempio si era opposta con forza alle eresie degli Gnostici),[6] e allo scisma ed a questo proposito si faceva presente la lettera del vescovo romano Clemente (88-97) da lui scritta alla Chiesa di Corinto quando in seno ad essa dei giovani si erano ribellati ai loro conduttori: in questa lettera Clemente esortava i credenti a sottomettersi agli anziani costituiti dagli apostoli;[7] 4) la tradizione diceva che a Roma vi era morto l’apostolo Paolo; 5) la tradizione diceva che Pietro era venuto a Roma e vi era rimasto diversi anni a pascere la Chiesa di quella città (come vescovo) e vi era pure morto martire per cui chi era vescovo di quella città era automaticamente successore di Pietro. Ma tra tutti i motivi qua sopra citati quello che più di altri spinse i vescovi di Roma a ritenersi superiori agli altri fu quest’ultimo citato, e difatti è su questo che tuttora insistono i Cattolici per sostenere il primato del loro vescovo romano su tutta la Chiesa.

Ma questo primato (sulla Chiesa universale) del cosiddetto successore di Pietro occorreva dimostrarlo con le Scritture, cioè bisognava dimostrare che Pietro era stato da Cristo costituito capo della sua Chiesa sulla terra perché solo così il suo ‘successore’ avrebbe potuto rivendicare di avere un primato di origine divina. Ecco dunque che i vescovi di Roma cominciarono a dichiarare, prima timidamente e dopo sempre con più chiarezza, che in virtù delle parole di Gesù a Pietro: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa… Io ti darò le chiavi del regno de’ cieli; e tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato ne’ cieli, e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto nei cieli”,[8] l’apostolo Pietro era stato costituito Principe degli apostoli, capo e fondamento della Chiesa, e che il vescovo di Roma, dato che era il suo successore (perché Pietro era stato a Roma e qui era morto), aveva di conseguenza ricevuto in eredi­tà il primato dato da Cristo a Pietro. Si può quindi dire che le parole di Gesù dette a Pietro “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa…” (e ripeto, unitamente alle parole della tradizione che affermavano che Pietro era venuto a Roma e quivi era morto martire, senza le quali le parole di Gesù non avrebbero potuto essere applicate al vescovo di Roma) cominciarono ad un certo punto della storia della Chiesa (dal III secolo in avanti) a servire ai vescovi di Roma per sostenere il loro primato su tutta la Chiesa, in altre parole essi si misero ad interpretare in quella maniera errata quelle parole di Gesù a Pietro, facendo contemporaneamente sempre presente che la loro sede era vicina al sepolcro di Pietro, perché spinti dal loro orgoglio e dalla loro sete di potere. Volevano insomma avere il primato sulla Chiesa universale presente in ogni luogo. Che arroganza, che presunzione! Ma questa loro ambizione di dominare su tutta la Chiesa incontrò l’opposizione di molti che giustamente videro in quell’atteggiamento del vescovo di Roma una dimostrazione di arroganza. Ma il seme malvagio era ormai stato seminato dai vescovi di Roma e col passare del tempo esso, con l’aiuto degli imperatori e dei re, sarebbe cresciuto fino a far diventare il vescovo di Roma il sovrano di uno Stato.

La supremazia del vescovo di Roma ricevette un forte impulso nel quarto secolo. Vediamo alcuni avvenimenti che ce lo dimostrano. Costantino (306-337), dopo essere salito al potere concesse ai Cristiani la ‘libertà’ di professare la loro fede con l’editto di Milano (313) in cui si diceva: ‘Da lungo tempo pensiamo che non si debba negare la libertà di religione; anzi, ad ogni uomo dovrebbe essere garantita la libertà di manifestare i propri pensieri ed i propri desideri, permettendogli così di considerare le cose dello spirito secondo la propria scelta. E’ per questo motivo che ordiniamo di permettere a chiunque di osservare le proprie credenze e la propria religione’. La Chiesa poteva finalmente, dopo tanti anni di persecuzione,[9] godere della ‘libertà di culto’ al pari dei pagani. Costantino restituì alle chiese le proprietà che erano state loro confiscate dai suoi predecessori durante le persecuzioni, egli fece pure costruire molte basiliche[10] e concesse loro vastissimi latifondi.[11] I vescovi perciò si trovarono nelle mani delle ingenti proprietà da amministrare.[12] Oltre a ciò i vescovi vennero esentati da diversi tributi; le loro proprietà erano esentasse. Venne pure permesso di lasciare i propri beni alle chiese, e i lasciti non venivano sottoposti a nessuna tassa. Ma Costantino in questa maniera divenne una sorta di ‘capo visibile’ della Chiesa perché cominciò a comandare in materia di fede e dottrina anche sui vescovi che erano costretti ad inchinarsi davanti alle sue decisioni anche nelle cose spirituali se non volevano perdere i loro privilegi. Vediamole alcune di queste sue ingerenze negli affari interni della Chiesa.

Nei primi anni del IV secolo scoppiò la controversia donatista. Era successo che in quegli anni nell’Africa settentrionale un certo Ceciliano era stato ordinato vescovo da un certo Felice. Ma siccome – veniva sostenuto da taluni – questo Felice sotto la persecuzione di Diocleziano che c’era stata aveva ceduto dinanzi ai pagani (per cui era un traditore), molti non approvarono l’ordinazione di Ceciliano perché secondo loro il comportamento di Felice la invalidava. A capo di costoro si mise un certo Donato, da qui il nome di Donatisti dato agli avversari di Ceciliano, che si appellarono all’imperatore chiedendo la deposizione di Ceciliano. Nel 314 (mentre c’era in corso la controversia donatista) l’imperatore fece convocare un concilio ad Arles, a cui parteciparono vescovi o loro delegati della Gallia, dell’Italia, dell’Africa, della Spagna e della Britannia. A questo concilio non partecipò però Silvestro (314-335) vescovo di Roma (tenuto per papa). Questo concilio prese posizione contro la posizione donatista perché abrogò l’uso africano di ribattezzare gli eretici convertiti, purché il loro primo battesimo fosse stato amministrato nel nome della Trinità ed approvò le ordinazioni compiute da indegni. I Donatisti invece facevano dipendere la validità delle ordinazioni dalla condotta di colui che le faceva. Nel 316 Costantino dichiarò definitivamente Ceciliano innocente ed emanò una legge molto severa contro i Donatisti: essi venivano condannati all’esilio con la confisca dei beni, le basiliche da esse occupate dovevano essere loro tolte e date ai Cattolici. Questa sentenza non fece che inasprire gli animi dei Donatisti. A Cartagine nel 317 tre basiliche donatiste furono occupate a prezzo di atroci massacri; i soldati si abbandonarono a ogni sorta di violenze. Dappertutto nell’Africa proconsolare ci furono saccheggi, uccisioni di vescovi, oltraggi alle vergini. Nel 321 però l’imperatore concesse ai Donatisti libertà di culto annullando così le decisioni del concilio di Arles.[13] Sempre Costantino fece convocare il concilio generale (o ecumenico) di Nicea (nel 325) che condannò l’eresia ariana e Ario[14] (con i vescovi che la pensavano come lui) all’esilio; lui lo aperse e lui vi prese parte dominando sull’assemblea riunita. Anche a questo concilio non partecipò il vescovo di Roma perché vi mandò due suoi delegati.

Nel 330 Costantino volle spostarsi a Bisanzio, che chiamò Costantinopoli, per farne la capitale dell’Impero, a Roma così si creò un vuoto politico che fu immediatamente preso dal vescovo, che così oltre che a svolgere funzioni religiose cominciò ad esercitare pure delle funzioni politiche diventando la persona più potente della città.[15] Come vedremo in seguito, nell’ottavo secolo negli ambienti papisti sarà redatto un falso documento chiamato Donatio Constantini (la Donazione di Costantino) in cui si diceva che Costantino nello spostarsi a Bisanzio lasciava la giurisdizione di Roma e di altri territori al vescovo di Roma; documento che nel medioevo servirà ai papi per confermare il loro potere temporale. La controversia ariana continuava però ancora a turbare la Chiesa perché gli Ariani diventavano sempre di più. Ario riuscì a conciliarsi il favore dell’imperatore il quale invitò Atanasio (295 ca. – 373), vescovo di Alessandria, a riammettere Ario nella Chiesa, ma questi si rifiutò di farlo. Allora Costantino nel 335 fece convocare un concilio a Tiro (che si trasferì poi a Gerusalemme) in cui fece riabilitare Ario, dichiarare ortodossa la sua dottrina, e fece deporre Atanasio, che difendeva strenuamente la divinità di Cristo Gesù. Atanasio fu quindi esiliato (questo fu il suo primo esilio e durò fino alla morte di Costantino avvenuta nel 337).

Sotto il regno di Costantino avvenne così che la Chiesa si alleò con l’imperatore permettendogli di intromettersi negli affari spirituali in cambio dei privilegi, e da quel momento in poi non sarebbe stata più la stessa perché da perseguitata diventerà persecutrice, difatti si servirà del braccio secolare per punire con l’esilio e talvolta per sterminare coloro che dissentiranno da lei.[16]

Nel 343 si tenne un concilio a Sardica (l’odierna Sofia), a cui ancora una volta non fu presente il vescovo di Roma, che allora era Giulio (337-352), che assolse Atanasio e condannò Ario. In uno dei canoni di questo concilio viene ricordata la consuetudine che un vescovo non può essere giudicato che dal concilio della propria provincia e viene detto che nel caso il vescovo condannato non sia soddisfatto del giudizio dato, i conprovinciali devono scrivere al vescovo di Roma. In altre parole si da la facoltà ad un vescovo condannato di appellarsi a Roma. E’ il canone terzo quello citato che precisamente dice: ‘Se in qualche provincia, uno fra i Vescovi ha una quistione con un suo fratello e collega nell’episcopato, né l’uno né l’altro deve appellarsene a Vescovi di altra provincia. Ma se un Vescovo stima essere a torto condannato, e ritiene la sua causa essere non debole ma buona, da doversi rinnovare il giudicio, – se piace alla vostra Carità, onoriamo la memoria di Pietro apostolo, e si mandi notizia, intorno a quei giudici, a Giulio il Vescovo di Roma, talché per mezzo dei Vescovi vicini alla provincia, si rinnovi, se occorre, il tribunale, ed egli (Giulio) stabilisca dei giudici istruttori…’. Il canone quinto poi aggiunge che in caso di appello, il Vescovo di Roma può ordinare che la causa sia di bel nuovo esaminata dai Vescovi provinciali. Questo concilio però fu abbandonato dai vescovi orientali presenti ad esso, e i suoi canoni non furono da essi riconosciuti. Il concilio di Sardica riveste una importanza notevole, direi fondamentale, nella evoluzione del potere spirituale di Roma perché per la prima volta in un concilio la sede di Roma veniva palesemente innalzata al di sopra delle altre. E non per nulla i difensori del potere spirituale del papa tuttora citano molto il concilio di Sardica a sostegno del primato del vescovo di Roma sulla Chiesa universale.

Nel 355 l’imperatore Costanzo fece convocare un concilio a Milano. Questo concilio condannò di nuovo Atanasio, il quale subì così l’ennesimo esilio che questa volta durò fino al 362.[17] Assieme a lui furono esiliati altri vescovi che sostenevano la divinità di Cristo tra cui anche il vescovo di Roma che allora era Liberio (352-366) il quale non aveva voluto sottoporsi all’imperatore accettando l’arianesimo e condannando Atanasio. Ma pochi anni dopo, Costanzo, vedendo che Liberio durante l’esilio aveva ceduto, lo fece tornare dall’esilio in occasione del concilio di Sirmio (358) e lo costrinse a sottoscrivere l’eresia ariana per potere essere fatto tornare a Roma. Avvenne così che l’imperatore Costanzo fece tornare Liberio a Roma. Ma nel mentre a Roma era stato eletto vescovo Felice. Si era dunque venuta a creare una situazione difficile ed imbarazzante perché c’erano ora due vescovi di Roma, il vecchio e il nuovo. L’imperatore allora fece scrivere a Roma dai vescovi del concilio di Sirmio, dove era stata approvata per l’ennesima volta l’eresia ariana, una lettera in cui si diceva che ‘i due vescovi occuperebbero insieme la sede apostolica e farebbero di comune accordo le funzioni sacerdotali; e che occorrerebbe dimenticare tutti i dolorosi avvenimenti accaduti a proposito dell’ordinazione di Felice e della assenza di Liberio’. Ma le cose non andarono come voleva l’imperatore perché a Roma si crearono due fazioni che si scontrarono per diversi anni; ci furono tumulti anche sanguinosi a quanto dicono alcuni. Felice ebbe la peggio e dovette andarsene, ed oggi è considerato un antipapa.[18]

A Liberio poi successe Damaso (366-384) il quale divenne vescovo di Roma con la forza e la violenza. Ecco come divenne vescovo costui. Quando morì Liberio nell’anno 366, si presentarono come candidati al papato il diacono Ursino e il prete spagnolo Damaso. Ambedue furono eletti vescovi dai rispettivi partiti. Ma quando si trattò di prendere possesso della sede vescovile, i partigiani dell’uno e i partigiani dell’altro presero le armi per decidere chi fosse il vero successore di Pietro. Il combattimento si fece per le vie e per le basiliche; dopo molte battaglie i seguaci di Ursino si rinchiusero nella basilica di Sicinnio (che poi sarà chiamata da Sisto III ‘S. Maria Maggiore’). I seguaci di Damaso allora si arrampicarono sul tetto, vi pratica­rono un foro e cominciarono a lanciare contro i seguaci di Ursino pietre e tegole, mentre gli altri attaccavano il portone centrale. Quando il portone cedette, scoppiò una lotta sanguinosa al termine della quale si contarono 137 cadaveri tra i seguaci di Ursino. Costui fu poi mandato in esilio dal rappresentante dell’imperatore. Damaso lordò quindi le sue vesti di sangue per impossessarsi del vescovato romano. Ed ora costui è annoverato tra i santi (Damaso è quello che suggerì a Girolamo di fare una nuova traduzione della Bibbia che ora porta il nome di Volgata). E non fu l’unica volta che avvenne che uno divenne vescovo di Roma spargendo o facendo spargere sangue perché di queste lotte sanguinose fra i partigiani di due candidati al papato ne seguirono molte nel corso dei secoli successivi. D’altronde, occorre tener presente che il posto di vescovo di Roma era diventato ambitissimo perché conferiva un grande potere sulle anime e privilegi e onori in grande numero. Chi diventava vescovo di Roma diventava una sorta di re che avrebbe potuto vivere nel lusso e nelle delizie. Per capire quanto ciò fosse vero c’è la testimonianza di Ammiano Marcellino (scrittore pagano), vissuto nel IV secolo, il quale parlando del clero romano ed in particolare dei vescovi dice: ‘Io devo confessare che, vedendo quanta pompa e magnificenza accompagni la dignità, non stupisco punto che coloro che la ambivano, abbiano adoperato tutti i mezzi possibili per ottenerla (la carica di vescovo). Ottenutala, potevano essere sicuri di divenire ricchi e potenti mediante i regali che facevano loro le dame romane. Non era più mestieri che andassero a piedi, ma facevano uso di equipaggi magnifici e riccamente adorni. Sulle loro tavole v’erano a dovizia i cibi più delicati; essi sorpassavano spesso lo stesso imperatore in magnificenza e dispendio’. Girolamo scrisse che quando Damaso chiese al prefetto di Roma, un pagano con molti titoli sacerdotali, di convertirsi, costui gli rispose: ‘Volentieri, se nominerai me Vescovo di Roma’. Ecco dunque che cosa era diventato il vescovo di Roma agli occhi dei pagani; un principe, un re della terra.

Nel 380 l’imperatore Teodosio emanò un editto che faceva del cristianesimo la religione ufficiale dell’Impero Romano; e nel 381 il concilio di Co­stantinopoli riconosceva il primato della sede romana, e stabili­va che il patriarca di Costantinopoli aveva il primato d’onore secondo a quello del vescovo di Roma. Quindi fu ancora una volta un concilio a dichiarare la sede di Roma superiore alle altre; ciò nonostante l’allora vescovo di Roma, Damaso, dichiarava in un concilio romano del 382: ‘La Santa Chiesa di Roma ha la precedenza su tutte, non grazie alla deliberazione di questo o quel concilio, ma perché il primato le fu conferito dalla frase di Nostro Signore e Salvatore riportata nel Vangelo’!

Dal quinto al settimo secolo.

Anche il vescovo romano Innocenzo I (401-417) rafforzò il primato del vescovo di Roma; egli disse per esempio: ‘Chi non conosce o non vede che quel che venne dichiarato alla Chiesa di Roma da Pietro, Principe degli Apostoli e che tuttora qui si ritiene, dovrebbe essere da tutti osservato? E che nulla si vorrebbe aggiungere o introdurre senza la sua autorità o che paresse provenire da altre parti essendo manifesto che tutte le chiese d’Italia, delle Gallie, di Spagna, di Africa, di Sicilia e delle isole intermedie furono stabilite per ufficio del venerabile apostolo Pietro e dei suoi successori’.

Nel 445 l’imperatore Valentiniano III riconobbe il primato del vescovo di Roma nelle cose spirituali, e decretò che quello che decideva quel vescovo doveva essere legge per tutti. ‘Tutto ciò che l’autorità della sede apostolica sancì o sarà per sancire, sia legge per essi ed a tutti’. Questo ulteriore riconoscimento imperiale non fece altro che rafforzare ulteriormente il primato del vescovo di Roma. E difatti l’allora vescovo di Roma Leone I detto Magno (440-461) – che molti chiamano il primo ‘papa’ – sosteneva apertamente e con grande forza che Gesù concesse a Pietro il primato della dignità apostolica, che passò poi al vescovo di Roma al quale compete la cura di tutte le chiese. Questo Leone era così in stretto rapporto con l’imperatore Valentiniano che ottenne da lui che fossero promulgate delle leggi severissime contro i Manichei.[19] Questo dimostra ancora una volta come il vescovo di Roma poteva liberamente, in virtù della sua posizione privilegiata che godeva presso l’imperatore, fare leva sul potere civile per perseguitare gli eretici. Il primato di Roma ricevette un’ulteriore conferma da un fatto avvenuto al concilio di Calcedonia del 451, convocato dall’imperatore Marciano, che i papisti fanno notare con orgoglio per sostenere il primato del vescovo di Roma. Leone aveva mandato a quel concilio una lettera in cui confutava l’eresia di Eutiche (costui era un monaco di Costantinopoli che diceva che la natura umana e divina in Cristo si erano fuse in una sola, la divina). E il commento dell’assemblea a quella lettera fu: ‘Per bocca di Leone ha parlato Pietro!’.[20] Ma ciò nonostante la cosiddetta supremazia della sede di Roma ricevette un ridimensionamento da quello stesso concilio di Calcedonia perché esso decretò nel suo ventottesimo canone: ‘I Padri hanno a buon diritto attribuito il primato alla sede dell’antica Roma, poiché questa città è sovrana; con lo stesso intento i centocinquantatre vescovi teofili hanno accordato il medesimo primato alla santissima sede della novella Roma, pensando con ragione che la città onorata (dalla presenza) dell’imperatore e del senato, e che ha gli stessi privilegi dell’antica Roma imperiale, è grande come quella nelle cose ecclesiastiche, essendo la seconda dopo di essa’.[21] I legati di Leone presenti al concilio (si noti ancora una volta che il vescovo di Roma non fu presente personalmente ad un concilio della Chiesa antica) protestarono contro questo canone; per loro costituiva una ingiuria alla ‘sede apostolica’. Leone I non accettò il ventottesimo canone ma si lanciò con veemenza contro di esso. All’imperatrice Pulcheria scrisse persino: ‘..per l’autorità di S. Pietro, egli assolutamente annullava il decreto di Calcedonia’.

Durante il V secolo contribuirono ad accrescere il potere temporale del vescovo di Roma anche le invasioni barbariche. Verso il 410 discesero i Goti sotto Alarico i quali per tre giorni devastarono Roma, nel 452 gli Unni sotto Attila e nel 455 i Vandali sotto Genserico. Nel caso del sacco di Roma compiuto dai Goti di Alarico avvenne che Innocenzo I si era recato con una ambasceria romana a Ravenna per chiedere all’imperatore Onorio di trattare con i Goti e accondiscendere alle loro richieste affinché Roma non fosse saccheggiata; ma la missione si rivelò infruttuosa perché Alarico entrò in Roma e la saccheggiò per tre giorni. Comunque il vescovo di Roma agli occhi del popolo crebbe in importanza perché veniva guardato come un difensore. Nel caso di Attila viene detto che quando egli minacciava di attaccare Roma e di saccheggiarla Leone I gli andò incontro e riuscì a persuaderlo (versandogli nelle mani un cospicuo tributo) di non toccare Roma. Nel caso invece di Genserico (che proveniva dall’Africa settentrionale), Leone I riuscì a persuaderlo a risparmiare a Roma il fuoco e il sangue; ma dovette acconsentirgli di saccheggiare con le sue orde la città per due settimane. I Vandali spogliarono i templi delle loro cose preziose e trasportarono in Africa come schiavi di guerra migliaia di romani. In questa maniera il vescovo di Roma acquisì agli occhi della popolazione romana un maggiore prestigio. Un’altra devastazione barbara si verificò nel 472 sotto Rechimero.[22] L’impero Romano d’Occidente cadde sotto i colpi delle invasioni barbariche nel 476 quando Odoacre depose Romolo Augustolo e assunse il titolo di re d’Italia. La sua caduta permetterà al papato di svilupparsi ulteriormente perché esso non sarà più controllato e governato dall’imperatore d’Occidente. Il vescovo di Roma caduto l’impero d’Occidente diventerà sempre più importante.

Nel 492 divenne papa Gelasio I (492-496) che contribuì a rafforzare il potere spirituale del vescovo di Roma infatti scrisse all’imperatore Anastasio: ‘Due sono i poteri, augusto imperatore, che principalmente governano questo mondo; il potere sacro dei vescovi e quello temporale dei re. Di questi due poteri il ministero dei vescovi ha maggior peso, perché essi devono rendere conto al tribunale di Dio anche per i re dei mortali’, e sempre Gelasio riaffermò il primato di Roma dicendo: ‘E se conviene che tutti i fedeli si sottomettano ai vescovi, i quali rettamente dispensano le cose sacre, quanto maggiormente è necessario procedere con il capo di quella sede che Dio ha preposto a tutte le altre e dalla Chiesa universale fu sempre venerata con devozione filiale’.

Nel 498 morì il vescovo di Roma Anastasio II. All’elezione del nuovo papa avvenne che una parte del clero e la maggioranza del senato elessero papa l’arciprete Lorenzo nella basilica di Santa Maria Maggiore. Nel mentre però gli avversari di Lorenzo eleggevano il diacono Simmaco nella basilica del Laterano. Scoppiarono quindi dei tumulti tra le due fazioni perché ambedue si consideravano il legittimo successore di Pietro. Le cose arrivarono a tal punto che il re ostrogoto Teodorico, che era ariano, intervenne nella disputa e fece venire i due contendenti a Ravenna. Fu riconosciuto il diritto di Simmaco. Tornato a Roma Simmaco fece convocare un concilio; Lorenzo si sottomise a Simmaco e gli venne assegnata la diocesi di Nocera in Campania. Ma la calma durò poco, perché gli avversari di Simmaco lo attaccarono accusandolo di vari delitti ritenendolo indegno di occupare la ‘sede apostolica’. Teodorico convocò di nuovo Simmaco a Ravenna, ma costui giunto a Rimini, decise di fuggire e tornare a Roma dove si rinchiuse in San Pietro. A Teodorico questo suo comportamento parve una confessione. Gli avversari di Simmaco approfittarono allora di questa situazione e ottennero che a Roma fosse mandato un visitatore per governare temporaneamente la chiesa. Fu mandato Pietro vescovo di Altino che giunto a Roma rifiutò di avere rapporti con Simmaco. Simmaco protestò contro questa intrusione. Tutti i beni ecclesiastici e tutti gli edifici religiosi (tranne San Pietro) furono consegnati al visitatore. Il re allora per farla finita con questa situazione fece convocare un certo numero di vescovi italiani per giudicare Simmaco. L’esito del concilio fu che Simmaco non poteva essere considerato colpevole e bisognava quindi riconoscerlo come legittimo pastore. Gli edifici religiosi e i beni furono riconsegnati a Simmaco. Gli avversari di Simmaco allora a questo punto (dato che non si erano arresi e volevano mandare via a tutti i costi Simmaco) ottennero dal re il ritorno di Lorenzo. Lorenzo tornò a Roma e accaddero gravi tumulti. Il Liber Pontificalis[23] parla di preti e chierici massacrati e di donne bruciate. Il re Teodorico intervenne di nuovo e Lorenzo dovette ritirarsi. Rimase quindi papa Simmaco; alla sua morte subentrò sul trono pontificio Ormisda (514-523). Ormisda fu seguito da Giovanni I (523-526). Durante il primo anno di pontificato di Giovanni avvenne che l’imperatore Giustino emanò un editto contro gli Ariani; molti di loro per paura abiurarono, altri subirono il martirio e diverse basiliche furono loro tolte e date ai Cattolici. Ma questo editto fece indignare il re Teodorico, che era anche lui ariano, il quale convocò a Ravenna il vescovo di Roma e gli ordinò di recarsi a Costantinopoli con un ambasceria composta da alcuni vescovi e quattro senatori. La missione che gli era stata affidata era quella di indurre Giustino a ritirare l’editto contro gli Ariani, restituirgli le loro basiliche e permettere a coloro che avevano ritrattato di potere tornare a professare la dottrina ariana. Giovanni andò a Costantinopoli ma non chiese all’imperatore di permettere a coloro che avevano ritrattato di ritornare all’arianesimo; la cosa perciò non piacque a Teodorico che quando i componenti dell’ambasceria tornarono a Ravenna li fece tutti imprigionare. Giovanni morì così in prigione.

L’imperatore Giustiniano (527-565) contribuì a rafforzare il primato di Roma perché affermò che il papa di Roma è il primo di tutti i sacerdoti. ‘Ordiniamo, dietro la definizione dei quattro concili, che il santissimo papa della vecchia Roma sia il primo dei vescovi, e che l’altissimo arcivescovo di Costantinopoli, che è la nuova Roma, sia il secondo’. Questo imperatore emanò delle leggi contro gli eretici. Furono da lui perseguitati sia i Montanisti[24] che gli Ariani. Anche questo imperatore si immischiò nelle cose spirituali della Chiesa infatti condannò con un editto i ‘Tre capitoli’[25] e poi nel 553 fece convocare a Costantinopoli un concilio per condannarli. E costrinse l’allora vescovo di Roma Vigilio (537-555) ad accettare la decisione del concilio che Vigilio in un primo tempo aveva ritenuto nulla. Ancora una volta si può vedere con quale disinvoltura gli imperatori in quel tempo costringevano i vescovi ad accettare le loro opinioni in materia di fede. Ma vediamo come era diventato papa questo Vigilio. Vigilio, diacono di nobile famiglia, divenne papa – da quanto ci viene detto – comprando la carica e facendo uccidere il papa precedente Silverio (536-537). Costui era stato fatto papa dal re goto Teodato nel 536. Poco dopo Teodato morì e prese il suo posto il re Vitige che pensò di ritirarsi col grosso dell’esercito a Ravenna per preparare un offensiva contro Belisario, generale bizantino, che ormai si trovava a Napoli. Belisario entrava quindi in Roma e le truppe gote se ne andavano. E il papa si alleò con Belisario. Nel marzo del 537 però il re goto tornò per tentare la riconquista della città e pose sotto assedio Roma. Allora avvenne che Vigilio diede del denaro al generale bizantino Belisario affinché deponesse con la forza papa Silverio e consacrasse lui come nuovo papa. Silverio fu così deposto (l’accusa era che egli aveva tradito Belisario invocando l’aiuto del re goto affinché liberasse Roma dai Bizantini) e relegato allo stato di semplice monaco a Patara in Licia, mentre Vigilio fu consacrato papa dal Senato e dal clero terrorizzato da Belisario. La sua consacrazione ebbe luogo il 29 marzo 537. Ma Silverio trovò in Patara chi lo difendeva; era il vescovo di Patara che ottenne così dall’imperatore Giustiniano che Silverio fosse rimandato a Roma per essere quivi di nuovo giudicato (come abbiamo detto infatti era stato accusato e condannato per tradimento nei confronti di Belisario). Ma Belisario, indotto da Vigilio, fece deportare Silverio nell’isola di Palmaria (Ponza) sotto la vigilanza di due messi di Vigilio; e dato che Vigilio per essere riconosciuto papa legittimo da tutto il clero aveva bisogno che Silverio morisse, accelerò la sua morte privandolo del cibo, in altre parole diede ordini ai suoi messi di farlo morire di fame (questo in base a quello che dice il Liber Pontificalis). Ancora una volta si può vedere a che cosa erano pronti a ricorrere i pretendenti al trono pontificio; alla corruzione e all’omicidio.

Alla morte di Vigilio fu eletto papa Pelagio I (556-561). Di costui va detto che prima che diventasse papa aveva incitato Vigilio a resistere all’imperatore Giustiniano non schierandosi contro i ‘Tre capitoli’. E per questa sua posizione fu messo in prigione, da dove continuò a difendere i ‘Tre capitoli’ opponendosi all’editto di Giustiniano e alla decisione del concilio del 553 ed accusando Vigilio di essere volubile e venale. Ma una volta morto Vigilio e scarcerato eccolo tornare a Roma ma con altre idee infatti condannò i ‘Tre capitoli’ ed accettò il concilio di Costantinopoli. Questo voltafaccia si spiega con il fatto che in virtù di esso Pelagio ebbe il favore dell’imperatore Giustiniano per diventare papa.

Per il 590, in virtù degli eventi che si erano susseguiti fino a quel tempo, i due esponenti ecclesiastici più importanti erano il vescovo di Roma e il patriarca di Costantinopoli. Però mentre il patriarca di Costantinopoli era sotto il diretto controllo dell’imperatore, il vescovo di Roma non lo era perché a Roma era lui che comandava sia negli affari religiosi che in quelli civili.[26] Attorno a quell’anno il patriarca di Costantinopoli che era Giovanni detto il digiunatore, si auto definì ‘vescovo universale’; ma Gregorio detto Magno, vescovo di Roma, si indignò a motivo di questa sua arrogan­za, e gli scrisse una lettera di ammonizione tra le cui parole vi sono queste: ‘…Possa dunque tua Santità riconoscere quanto sia grande il tuo orgoglio pretendendo un titolo che nessun altro uomo veramente pio si è giammai arrogato’. Va detto però che Gregorio Magno mentre da un lato non voleva essere chiamato ‘vescovo universale’ (come non voleva neppure che altri vescovi si procla­massero tali) perché lui preferiva essere chiamato ‘servo dei servi di Dio’, dall’altro nei fatti esercitò il potere papale da monarca quale era. Poco dopo, nel 602, l’imperatore Maurizio (assieme ai suoi figli) fu ucciso da Foca (di cui viene detto fosse particolarmente crudele verso i suoi nemici) che ne prese il posto, e Gregorio Magno gli mandò una lettera di congratula­zione nella quale diceva: ‘Gloria a Dio nei luoghi eccelsi (…) Sen­tiamo con vivo piacere che la benignità di vostra pietà sia pervenuta al potere imperiale. I cieli esultino e la terra fe­steggi, e tutta la cristianità finora sì tristamente afflitta, giubili per le vostre benigne opere’.[27] Gregorio dunque divenne amico dell’imperatore Foca; i loro rapporti quantunque durarono solo due anni circa furono ottimi. Foca, nel 607, per contraccambiare l’amicizia e le adulazioni che gli rivolgeva il vescovo di Roma riconobbe la supremazia della ‘sede apostolica di Pietro su tutte le chiese’ (caput omnium ecclesiarum) e vietò al patriarca di Costantino­poli di usare il titolo di ‘universale’ che da quel momento doveva essere riservato solo al vescovo di Roma, che allora era Bonifacio III e che a differenza di Gregorio Magno, e dimenticando quello che il suo predecessore aveva dichiarato a tale proposito, non rifiutò affatto di farsi chiamare ‘vescovo universale’. Questo riconoscimento Foca lo concesse perché si trovava in polemica con il patriarca bizantino Ciriaco e volle in questa maniera screditarlo presso Roma, e dato che era odiato a Bisanzio cercava di farsi amare a Roma. Era tenuto in così grande onore Foca dai Romani che questi nel 608 elevarono ai piedi del Campidoglio una colonna sormontata da una statua di Foca in bronzo dorato, recante sulla base un’iscrizione in onore del ‘clementissimo e piissimo imperatore, trionfatore perpetuo, incoronato da Dio sempre Augusto’.

Dall’ottavo al decimo secolo.

Nell’ottavo secolo ci furono tumulti nell’impero a motivo delle statue e delle immagini: il vescovo di Roma ebbe una parte principale in essi. Ecco come andarono le cose. L’imperatore d’Oriente Leone III (717-741) intorno all’anno 726 emanò un editto col quale proibiva il culto delle immagini. Questo editto fece infuriare il vescovo di Roma che allora era Gregorio II (715-731) il quale scomunicò l’imperatore dichiarandolo eretico e aizzò il popolo romano, i Veneziani, il re dei Longobardi, e tutti i duchi Longobardi contro l’imperatore bizantino. Il popolo in Italia si rifiutò di abbandonare il culto delle immagini e si rivoltò contro i soldati imperiali; e da ambo i lati fu sparso sangue. Anche il patriarca di Costantinopoli si oppose all’editto imperiale. Nel 730, l’imperatore d’Oriente, vedendo che il culto delle immagini non era stato abbandonato, decretò che tutte le immagini fossero distrutte per ogni dove cominciando da Costantinopoli. Qui scoppiò fra il popolo una sommossa sanguinosa aizzata dai monaci che fu repressa dalla guardia imperiale. L’imperatore diede lo stesso ordine anche al vescovo di Roma che gli rispose di imparare prima meglio il suo catechismo e lo chiamò ‘un uomo sciocco, imbecille, un ignorante, un pazzo, che non sapeva più distinguere tra verità e bugia, peggiore di un eretico’. Il vescovo gli scrisse pure: ‘Tutti i popoli occidentali guardano con antica devozione a colui del quale con millanteria tu minacci di abbattere l’effigie, a S. Pietro intendo, che i regni d’Occidente onorano come Dio in terra. Desisti dunque dal tuo proposito; la tua rabbiosa violenza nulla può contro Roma, contro la città, contro le sue coste o le sue navi. L’Europa intera venera il santo principe degli apostoli; se tu manderai a distruggere la sua immagine, noi ci dichiariamo fin d’ora innocenti del sangue che sarà versato e dichiariamo che esso ricadrà interamente sul tuo capo’. L’imperatore gli scrisse altre volte, ma il papa sostenne sempre la sua opinione e concluse dicendo che ‘Cristo mandi in corpo all’imperatore il diavolo’ (invocamus Christum, ut immittat tibi daemonem). Poi egli convocò un concilio a Roma nel quale venne ordinato il culto delle immagini e vennero dichiarati eretici e scomunicati tutti coloro che vi si opponessero. E secondo Bellarmino il vescovo di Roma ordinò che i sudditi dell’imperatore qui in Italia non gli dovessero più pagare alcun tributo. Anche il vescovo successivo, Gregorio III (731-741), rimase ostinato e non volle ubbidire all’editto imperiale. Convocò un concilio a Roma e scomunicò gli iconoclasti.[28] L’imperatore allora, vedendo l’ostinazione del vescovo di Roma, s’impossessò dei beni ecclesiastici in Sicilia e Calabria. L’imperatore poi fece un nuovo tentativo che fu l’ultimo, per costringere il vescovo ad ubbidire. Egli mandò nel 734 in Italia una flotta; ma questa fu distrutta da una tempesta nel mare Adriatico. Quello che avvenne in questo periodo mostra fino a che punto oramai si innalzavano i vescovi di Roma e come erano pronti a reagire a degli ordini imperiali quando questi si opponevano alle loro idee (anche se errate) o ai loro interessi. Ma questo comportamento dei vescovi di Roma verso dei re si sarebbe ripetuto nel corso dei secoli: ci saranno infatti vescovi di Roma che deporranno re, scioglieranno i sudditi dal giuramento di fedeltà nei confronti del loro sovrano, e manderanno i propri eserciti o eserciti stranieri contro di essi per punirli.

Verso la metà dell’ottavo secolo il papato si consolidò maggiormente perché il vescovo di Roma riuscì ad estendere il suo potere temporale. Nel 752 venne eletto pontefice romano Stefano II (752-757) il quale si trovava a disposizione un patrimonio immobiliare enorme. Questo patrimonio cosiddetto di San Pietro (Patrimonium Petri) comprendeva molti edifici e vasti fondi terrieri che erano in diverse provincie d’Italia e nelle regioni vicine, fondi che erano coltivati da coloni e da schiavi e da cui la sede di Roma ricavava delle ingenti rendite. Esso era aumentato sempre di più dal tempo di Costantino in poi perché re, regine, alti funzionari dello Stato, ed anche privati avevano lasciato prima di morire i loro beni alla sede di Roma per assicurarsi la salvezza eterna. Naturalmente tra le donazioni e i lasciti come ce ne furono di volontari e spontanei ce ne furono anche di estorti con la furbizia e le lusinghe. Per quanto riguarda l’uso che di questo patrimonio faceva la chiesa va precisato che una parte veniva utilizzato per soddisfare l’ingordigia e la superbia dei vescovi e dei loro collaboratori e una parte veniva utilizzato per sovvenire ai bisogni dei malati e dei poveri e per fare fronte alle diverse spese che la chiesa di Roma doveva affrontare per il mantenimento delle basiliche e del culto. Ora, Stefano era a capo di un impero immobiliare e la paura di cadere sotto il dominio dei Longobardi (i quali si erano stabiliti in Italia dopo l’anno 568) che con Astolfo avevano occupato gli stati imperiali in Italia, conquistato Ravenna e si accingevano a conquistare anche Roma, lo indusse ad andare in Francia a chiedere aiuto militare a Pipino re dei Franchi. Non era la prima volta, e non fu l’ultima, che un papa chiedeva aiuto militare ad un sovra­no occidentale affinché difendesse il suo territorio dai suoi nemici; infatti prima di lui Gregorio III aveva mandato al re dei Franchi Carlo Martello una ambasciata con ricchi doni al fine di ottenere un aiuto militare contro i Longobardi, ma il re franco aveva rifiutato di esaudire il papa perché non voleva rinunciare all’amicizia con i Longobardi. Ma proseguiamo con Stefano II. Cronisti storici dicono che Stefano II si inginocchiò davanti a Pipino re dei Franchi[29] e con le lacrime agli occhi lo supplicò di ‘difendere la causa di Pietro e della repubblica romana’. In questo incontro il papa mostrò al re dei Franchi la Donatio Constantini (documento che sarebbe stato in seguito dimostrato falso) in cui veniva detto che l’imperatore Costantino il Grande aveva consegnato al vescovo di Roma tutte le provincie ed i quartieri della città di Roma e d’Italia e delle regioni occidentali, e la supremazia sui patriarchi di Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Gerusalemme. E che lui, l’imperatore, riserbava per sé l’Oriente con capitale Bisanzio, dove si spostava con il consenso papale, non ritenendo giusto che un imperatore terreno esercitasse la sua potestas nella stessa sede dell’imperatore celeste. Il re dei Franchi promise al papa la ‘restituzione’[30] dei territori sottrattigli da Astolfo[31] e per questo suo impegno preso fu nominato da Stefano patricius Romanorum ossia ‘patrizio dei romani’. Nel 755 Pipino per mantenere il suo solenne giuramento scese in Italia e assediò Astolfo a Pavia, capitale dei Longobardi. Astolfo allora promise con giuramento di ‘restituire’ al papa l’Esarcato di Ravenna, la Pentapoli e i territori pontifici occupati. Ma appena Pipino partì alla volta della Francia, Astolfo non mantenne la promessa, anzi andò e assediò Roma. Allora il papa angosciato scrisse (immaginando di essere l’apostolo Pietro in persona) al re dei Franchi invocandone l’aiuto, e minacciandogli la privazione della vita eterna nel caso si fosse rifiutato di soccorrerlo: ‘Se poi, ma noi non lo crediamo, vi renderete colpevoli di indugi o addurrete pretesti, e non obbedirete con sollecitudine al nostro ammonimento di liberare questa città, il popolo che vi dimora, la Chiesa apostolica consegnataci da Dio e il suo sommo sacerdote, sappiate che per volere della Santissima Trinità, in virtù della grazia dell’apostolato concessaci da nostro Signore, sarete privati, per avere disobbedito alle nostre intimazioni, del regno di Dio e della vita eterna’. Pipino allora scese di nuovo in Italia contro i Longobardi, gli strappò i territori che andavano da Roma a Ravenna e li concesse in donazione al papa come un possedimento eterno.[32] Questa concessione, avvenuta nel 756, segnò la nascita dello Stato pontificio[33] che sarebbe durato fino al 1870.

Nel 795 diventò papa Leone III che contribuì ad accrescere il prestigio del vescovo di Roma incoronando, nell’anno 800, Carlo Magno come Imperatore del cosiddetto sacro romano impero. Carlo Magno confermò la donazione fatta al papa da Pipino nel 756, e secondo taluni vi aggiunse ulteriori territori.

Verso la metà del nono secolo ci dicono i documenti cattolici, sotto Leone IV (847-855), un gruppo di falsificatori papisti produsse le false decretali, una collezione di decreti di un certo numero di papi (da Clemente I a Gregorio II) e di concilii su punti dottrinali e di disciplina che avevano come scopo quello di ingrandire e sostenere l’autorità papale. Da queste decretali risultava che il papa ha la supremazia su tutti i vescovi, che i vescovi posti sotto accusa hanno il diritto di appellarsi al papa, che il papa ha la ‘piena potestà’ sulla Chiesa, che la chiesa di Roma, in base ad un unico privilegio, ha il diritto di aprire e chiudere le porte del paradiso a chi essa vuole. Queste decretali, da questo periodo in poi, servirono ai papi per rivendicare la loro suprema autorità sulla Chiesa universale. Esse contribuirono molto al rafforzamento del potere papale durante il medioevo.

Nel 896 divenne papa Stefano VI (896-897). Questo papa è stato definito dal cardi­nale Baronio ‘un intruso’. Egli fece dissotterrare il cadavere del suo predecessore Formoso (891-896), lo fece vestire dei suoi abiti pontificali, e lo fece portare davanti ad un’assemblea di cardinali, vescovi e preti, e lo pose seduto per giudicarlo. Stefano cominciò allora ad accusare quel cadavere di tanti delit­ti[34] e lo incitava a rispondere a sua difesa. Ma siccome quel morto non poteva rispondere rispondeva un altro al suo posto. Alla fine fu giudicato colpevole, gli furono tagliate dalla sua mano destra le tre dita, il pollice, l’indice e il medio, con le quali il papa suole benedire, fu spogliato dei suoi abiti e dopo essere stato trascinato per le vie di Roma fu gettato nel Tevere per ordine di Stefano VI. Questo papa fu poi preso da una parte del popolo romano e gettato in prigione dove secondo alcuni fu poi strangolato.

Alla morte di Stefano fu eletto papa Romano (897) il quale fu papa per circa tre mesi durante i quali annullò i decreti di Stefano e riabilitò la memoria di Formoso. Platina (cattolico) dice di questo comportamento di Romano: ‘Codesti papuzzi (pontificuli) non pensavano ad altro che a distruggere e a disapprovare quello che avevano fatto i loro predecessori; lo che è dimostrazione di piccola mente e di cuore malvagio’. A Romano successe Teodoro II (897), il quale visse solo pochi giorni. Dopo Teodoro fu eletto papa Sergio ma il partito contrario prese le armi, cacciò Sergio che si ritirò presso Marozia, figlia di Teodora I moglie di Teofilatto, e fece papa Giovanni IX (898-900) che pensò anche lui a riabilitare la memoria di Formoso. A Giovanni successe Benedetto IV il quale visse pochi anni (900[35] -903). A costui successe Leone V (903) il quale pochi giorni dopo la sua elezione fu cacciato in prigione e là fatto uccidere dal prete Cristoforo che si proclamò papa. Ma questo dispiacque a Sergio che fece prendere Cristoforo e rinchiudere in prigione dove fu fatto morire, e si dichiarò papa. Sergio divenne papa con l’aiuto della potente famiglia Teofilatto, le cui due figlie Teodora II e Marozia con i loro intrighi avrebbero dominato il papato per parecchi anni tanto da far nominare questo periodo del papato l’epoca del regime delle prostitute. Marozia era l’amante di Sergio e gli aveva dato un figlio che sarebbe stato fatto poi papa con il nome di Giovanni XI. Il cardinale Baronio, di Sergio III (904[36] -911) ha detto che non vi era delitto, per infame che fosse, di cui non fosse stato macchiato papa Sergio, che era lo schiavo di tutti i vizi, ed il più scellerato di tutti gli uomini.[37] Sergio III fu seguito sul trono pontificio prima da Anastasio III (911-913) e poi da Landone (913-914). Poi fu la volta di Giovanni X (914-928) che fu messo su dalla famiglia Teofilatto. Durante il suo pontificato Marozia ed Alberico (con cui ella si era sposata) suo marito la fecero da padroni. Rimasta vedova di Alberico, Marozia si sposò Guido marchese di Toscana; dopodiché per ordine suo Giovanni X fu gettato in prigione dove fu poi fatto morire soffocato con un cuscino. Mentre Giovanni languiva in prigione Marozia fece papa Leone VI (928) che visse solo pochi mesi. Morto questo altro papa Marozia fece papa Stefano VII (928-931). Alla sua morte ella mise sul trono papale suo figlio Giovanni XI (931-935) a proposito del quale il Baronio dice: ‘La santa Chiesa, cioè la romana, ha dovuto vilmente essere calpestata da un tal mostro’. Intanto moriva il secondo marito di Marozia, e subito ella pensò a sposarsi Ugo re d’Italia. Ma c’era un problema; Ugo era il cognato di Marozia e le leggi canoniche non permettevano tali unioni. Ma la difficoltà fu superata da Giovanni XI che concesse il permesso per il matrimonio. E così Marozia si sposò Ugo; la cerimonia nuziale avvenne a Castel Sant’Angelo alla presenza di Giovanni XI. Ma la cerimonia fu seguita da un fatto che segnò la fine di Marozia. Ugo si mise a offendere Alberico II, il figlio di Marozia e d’Alberico di Camerino. Alberico che già non vedeva bene quel nuovo matrimonio di sua madre uscì fuori ed incitò il popolo contro il re Ugo. Il popolo allora prese d’assalto il castello e il re fuggì. Alberico II allora fece gettare in carcere sua madre e mettere sotto stretta sorveglianza il suo fratellastro Giovanni XI. Fu fatto papa allora Leone VII (936-939) a cui succedette Stefano VIII (939-942). Morto costui Alberico fece papa Marino II (942-946). A Marino successe Agapito II (946-955). Morto costui divenne papa Giovanni XII (955-964). Non aveva ancora venti anni quando fu fatto papa, e dimostrò una condotta scandalosa perché dato ai piaceri della carne e brutalmente violento. Viene asserito che il Laterano durante il suo pontificato divenne un covo di prostitute. Nel 960 offrì la corona imperiale a Ottone che accettò volentieri promettendo che avrebbe difeso i patrimoni della chiesa. E così il 2 febbraio del 962 Ottone venne incoronato assieme a sua moglie. All’incoronazione seguì un patto chiamato Privilegium Ottonianum mediante il quale Ottone confermava a Giovanni XII e ai suoi successori tutti i diritti e i patrimoni della chiesa, e Giovanni dal canto suo prestava giuramento di fedeltà all’imperatore promettendo che non lo avrebbe mai tradito. Anche la nobiltà e il popolo romano fecero il loro giuramento di fedeltà. Ma appena Ottone fu partito Giovanni si gettò alle spalle il giuramento fatto e si alleò con Berengario. Ottone saputolo accorse a Roma, ma Giovanni raccolti i tesori della chiesa se ne fuggì prima a Tivoli e poi in Corsica. Intanto Ottone prendeva possesso della città. Pochi giorni dopo l’imperatore convocò un concilio per giudicare Giovanni a motivo dei delitti di cui era accusato. Giovanni saputolo fece sapere che dichiarava nullo quel concilio. Giovanni fu giudicato colpevole e al suo posto Ottone mise un altro papa di nome Leone VIII (963-965). Intanto Giovanni dalla Corsica fomentava delle rivolte, la prima fu soffocata nel sangue da Ottone (fu una vera e propria strage), la seconda, scoppiata dopo la partenza di Ottone mise in fuga Leone VIII mentre Giovanni tornava a Roma pronto a vendicarsi. Giovanni fece convocare un concilio in cui dichiarò nullo il precedente concilio e deposto Leone VIII. Giovanni si vendicò dei suoi avversari facendogli mozzare il naso e la lingua. Ottone allora decise di farla finita con Giovanni e si mise in marcia per Roma, ma durante il viaggio lo raggiunse la notizia che Giovanni era morto. Era stato assassinato da un marito che lo aveva sorpreso in flagrante adulterio con la propria moglie. Lo avrebbe gettato fuori dalla finestra. Il cardinale Bellarmino di questo papa ha affermato che fu quasi il più cattivo dei papi. Ma prima che Ottone potesse giungere a Roma il popolo romano, non riconoscendo Leone VIII, volle eleggere un nuovo papa di nome Benedetto V (964-965). Giunto a Roma, l’imperatore l’assediò e la prese per fame. Poi Ottone fece convocare un concilio che fece deporre Benedetto V. In questo concilio in cui presiedeva Leone VIII, Benedetto V fu accusato di avere usurpato il trono papale. Benedetto riconobbe la sua colpa dicendo: ‘Se ho peccato, abbiate pietà di me’, e poi si gettò ai piedi del papa e dell’imperatore dichiarando di essere antipapa e vero papa Leone VIII. Ma mentre Ottone era commosso, Leone era invece infuriato contro di lui. Per compiacere all’imperatore che intercedeva per lui gli impose l’esilio. Così Ottone se lo portò in Germania dove morì. Rimase papa Leone VIII che morì nel 965. I romani allora mandarono un ambasciata a Ottone per chiedergli un papa; fu da lui scelto Giovanni, vescovo di Narni, che prese il nome di Giovanni XIII (965-972). Ma costui non era ben visto dal popolo romano per cui poco tempo dopo la sua elezione ci fu una rivolta contro di lui, ma il papa riuscì a fuggire andandosi a mettere sotto la protezione del conte Pandolfo di Capua. Qualche tempo dopo Giovanni XIII faceva ritorno a Roma con una scorta di soldati capuani, seguito di lì a poco da Ottone il quale giunto a Roma la saccheggiò e punì i rivoltosi impiccando alcuni e accecando altri. Morto Giovanni, l’imperatore fece eleggere Benedetto VI (973-974). Ma il popolo si rivoltò anche contro di lui, lo gettò in prigione e fecero papa Bonifacio VII. Benedetto fu poi strangolato in prigione (taluni dicono che fu per mano dello stesso Bonifacio). Ma ecco che ad un certo punto Bonifacio dovette fuggire da Roma, e non lo fece a mani vuote perché portò via molti tesori della chiesa, e si rifugiò a Costantinopoli. Intanto, essendo rimasta vuota la sede, l’imperatore fece eleggere papa Benedetto VII (974-983). Morto Benedetto fu fatto papa Giovanni XIV (983-984). Ma ecco ricomparire Bonifacio VII il quale rientrato in Roma si va a reinsediare sul trono pontificio e fa rinchiudere in prigione Giovanni XIV dove poi lo farà morire avvelenato. Ma Bonifacio dopo circa un anno verrà preso ed assassinato dai suoi nemici. Il suo cadavere trascinato per le vie di Roma fu gettato ai piedi della statua equestre di Marco Aurelio. Il papa successivo fu Giovanni XV (985-996) che si contraddistinse per il suo forte nepotismo e per essere stato il primo a canonizzare santo qualcuno. Morto anche costui l’imperatore fece papa suo cugino (o nipote secondo altri) Brunone che prese il nome di Gregorio V (996-999). Ma appena Ottone partì dall’Italia ci fu una rivolta che costrinse Gregorio a fuggire da Roma. Al suo posto il popolo elesse papa Giovanni XVI ma di lì a poco ecco rientrare a Roma Ottone, che era stato chiamato da suo cugino, e vendicarsi di coloro che si erano rivoltati contro Gregorio. Giovanni XVI fu preso e per ordine di Ottone gli furono tagliati il naso e la lingua e strappati gli occhi e gettato sanguinante in una cella di un monastero romano. Ma Gregorio V non contento fece prendere il moribondo e postolo a rovescio in groppa ad un asino gli fece percorrere le strade di Roma per farlo insultare dal popolo. Il capo della rivolta invece fu decapitato. A Gregorio succedette Silvestro II (999-1003). I cronisti dell’undicesimo e dodicesimo secolo dicono di costui che egli diventò papa grazie ad un patto col demonio al quale aveva venduto la propria anima. E’ ricordato da diversi cronisti e storici medievali come il papa mago perché aveva imparato la magia, l’astrologia, la negromanzia e tutte le ‘scienze’ proibite ad un cristiano.

Ecco dunque alcuni cenni della storia del papato del decimo secolo; il secolo di ferro e di fitte tenebre per il papato come gli stessi storici cattolici riconoscono. Papi libertini, omicidi, avidi di disonesto guadagno, messi su e deposti da imperatori, da donne intriganti menanti la vita nella lussuria e nella cupidigia. Talvolta poi ce ne erano due, e altre volte tre di papi contemporaneamente di cui gli storici cattolici non riescono a dire con certezza chi era il vero papa e chi erano gli antipapi perché ognuno ha la sua opinione. Dinanzi a questi fatti storici non si capisce dunque come i teologi papisti possano dimostrare la loro successione apostolica ma soprattutto come quegli scellerati possano essere stati dei servi di Dio costituiti per l’edificazione della sua Chiesa.

Dall’undicesimo al tredicesimo secolo.

Saltiamo qualche anno per arrivare a Benedetto IX (1032-1044) perché questo è l’unico papa ad avere regnato tre volte! Costui divenne papa secondo taluni all’età di circa undici anni. Durante il suo pontificato si abbandonò ad ogni sorta di iniquità. Pier Damiani (prelato cattolico) disse di lui: ‘Quel miserabile sguazzò nell’immoralità dall’inizio del suo pontificato alla fine dei suoi giorni’. Ed un altro osservatore scrisse: ‘La Cattedra di Pietro è stata occupata da un diavolo dell’inferno travestito da prete’. Desiderio di Montecassino, il futuro papa Vittore III, nei suoi Dialoghi scrisse di Benedetto: ‘…un certo Benedetto (per il nome e non certo per le opere) figlio del console Alberico, seguendo le orme di Simon Mago anziché quelle di Simon Pietro, prodigati dal padre non pochi quattrini fra il popolo, si arrogò il sommo sacerdozio. Quale sia stata la vita di lui dopo l’ascesa al soglio, come turpe, come indecente, crudele ed esecranda non posso raccontare senza inorridire’. Le estorsioni, le rapine, le violenze e le uccisioni di Benedetto IX irritarono a tal punto i romani che lo cacciarono da Roma. Ma costui appoggiato dall’imperatore Corrado che era allora in Italia riuscì a rientrare in Roma. Ma i Romani, sempre perché erano stanchi di sopportare Benedetto IX, lo scacciarono di nuovo ed elessero papa Silvestro III. Ma Benedetto IX non si diè per vinto e appoggiato dai suoi parenti riuscì a riprendersi il trono papale (1045), costringendo Silvestro III (che viene riconosciuto da alcuni come vero papa mentre da altri un antipapa) ad andarsene. Alla fine Benedetto IX decise di dimettersi vendendo la carica che ricopriva all’arciprete romano Giovanni Graziano che divenne papa con il nome di Gregorio VI. Benedetto si ritirò nella casa paterna; ma dopo un po’ di tempo tornò all’assalto del trono papale con le armi ed insediarsi in Roma come papa. Ecco dunque tre papi regnare contemporaneamente e dirsi tutti e tre i successori di Pietro! Ma l’imperatore Enrico III volle porre fine a questo scandalo e scese in Italia con il suo esercito per mettere le cose in ordine. Egli convocò un concilio a Sutri, concilio che decretò la deposizione di Silvestro III e di Gregorio VI. Pochi giorni dopo l’imperatore fece convocare un concilio a Roma e dichiarare deposto Benedetto IX ed eleggere papa Clemente II (1046-1047). Costui morì dopo pochi mesi (viene asserito che fu avvelenato da Benedetto IX); successe allora che Benedetto IX, vedendo che l’imperatore era partito, si riprese il papato per l’ennesima volta (questo avvenne nel 1047, ma questo non piacque ai romani). Ma l’imperatore Enrico III fece scacciare Benedetto IX da Roma. e fece mettere sul trono papale Poppone, vescovo di Bressanone, che prese il nome di Damaso II (1048) che però morì molto presto, dopo 23 giorni dal suo insediamento sul trono papale (anche questa volta viene asserito per opera del veleno di Benedetto IX).

Passiamo ora a parlare di Gregorio VII (1073-1085) perché sotto questo papa il potere temporale subì un ulteriore potenziamento. Ma prima di iniziare a parlare di Gregorio VII è bene tenere presente che nel 1054 ci fu lo scisma tra la chiesa cattolica romana e la chiesa greco-ortodossa. Prima di quell’anno c’erano state diverse dispute tra la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente. Quella sulla data della Pasqua in cui gli Occidentali dicevano che bisognava festeggiarla la Domenica più vicina al quattordici del mese di Nisan, mentre gli Orientali dicevano che bisognava festeggiare la festa il quattordicesimo giorno del mese di Nisan, qualunque fosse il giorno in cui cadeva. La disputa sul celibato; la Chiesa d’Occidente lo aveva vietato ai diaconi, ai preti e ai vescovi; mentre la Chiesa d’Oriente aveva permesso ai diaconi e ai preti di mantenere la propria moglie dopo l’ordinazione, vietando il matrimonio ai vescovi. La disputa sulla barba in cui gli ecclesiastici occidentali potevano radersi la barba mentre quelli orientali dovevano portare la barba. Ma la disputa che fece giungere le cose alla rottura fu quella sulla eucarestia. Il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario (1043-1048) aveva condannato la Chiesa d’Occidente per l’uso del pane non lievitato nell’Eucarestia e aveva ordinato la chiusura dei monasteri e delle basiliche latine di Costantinopoli. Per porre fine alla disputa Leone IX mandò in Oriente il cardinale Umberto con altri due legati ma le discussioni arrivarono a tale punto che il 16 giugno 1054 i legati romani posero sull’altare della cattedrale di Santa Sofia un decreto di scomunica contro il patriarca e i suoi seguaci. A sua volta anche il patriarca di Costantinopoli scomunicò il papa e i suoi seguaci. Queste scomuniche saranno poi da ambo le parti ritirate nel 1965 al tempo di Paolo VI. Rimane il fatto però che la chiesa orientale continua a non riconoscere il primato del papa sulla Chiesa universale e ad avere delle divergenze dottrinali con la chiesa d’Occidente.

Ma proseguiamo con la storia del papato parlando di Gregorio VII. Costui diventò papa nel 1073; egli riteneva che solo il vescovo di Roma dovesse essere chiamato vescovo universale, che il papa come vicario di Dio sulla terra doveva esercitare non solo il potere spirituale ma anche quello temporale, che la chiesa non dovesse stare sottomessa al potere civile anzi lo doveva controllare, e che il papa aveva il potere di deporre i sovrani e di sciogliere i sudditi dall’obbligo di fedeltà ai loro principi. Questi suoi principii li espose nel Dictatus papae: ecco alcune propo­sizioni di questo documento: ‘Solo il pontefice Romano ha il diritto di essere chiamato universale (…) Il papa è l’unica persona a cui i principi devono baciare il piede (..) Il suo nome è unico al mondo. A lui solo è lecito deporre gli imperatori (…) La sua sen­tenza non può esser annullata da alcuno, ma egli può annullare quelle di tutti gli altri (…) Egli non può essere giudicato da alcuno (…) Il papa può sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà fatto ai sovrani indegni’.[38] Gregorio durante il suo pontificato cercò di sopprimere il matrimonio degli ecclesiastici ordinando ai sacerdoti sposati di dimettere le loro mogli,[39] e si batté pure contro l’investitura degli ecclesiastici da parte dei laici e contro la simonia. Egli perciò si scontrò con il re Enrico IV che concedeva investiture dietro compenso di denaro. Oltre a concedere investiture dietro compenso Enrico IV si intromise nelle faccende interne del clero italiano, il che fece indignare ulteriormente il papa che lo invitò a comparire a Roma per discolparsi sotto pena di scomunica. Enrico gli rispose convocando all’inizio del 1076 un concilio a Worms che dichiarò papa illegittimo Gregorio. Gregorio allora gli lanciò la scomunica liberando i suoi sudditi dall’obbligo di fedeltà verso di lui. Questa fu la decisione più audace presa fino ad allora da un papa contro un sovrano. Enrico allora, temendo di perdere il regno perché c’era il pericolo di una guerra civile, attraversò le Alpi e venne al castello di Canossa (sull’Appennino emiliano) dove si trovava in quei giorni il papa. Arrivato al castello nel gennaio del 1077 egli si umiliò davanti al papa[40] chiedendogli perdono. E il papa per questo suo atto di umiliazione lo liberò dalla scomunica. Ma tornato in patria Enrico IV si attirò di nuovo le ire di Gregorio che lo scomunicò di nuovo. Enrico allora invase l’Ita­lia e mise sul trono un nuovo pontefice di nome Guiberto (1084) che prese il nome di Clemente III. Gregorio allora si rifugiò in Castel Sant’Angelo. Avvenne allora che Gregorio chiamò in suo aiuto i Normanni che vennero a Roma trovandola indifesa perché Enrico IV se ne era andato pochi giorni prima perché riteneva di non poter fronteggiare con il suo esercito le forze dei Normanni. Ed i Normanni si diedero alla violenza contro la popolazione di Roma sterminando migliaia di persone, violando molte donne, e saccheggiando le case e incendiandole. Dopo che i Normanni fecero scempio di Roma, Gregorio se ne dovette andare via dalla città a motivo della furia dei superstiti (e con lui se ne andarono le truppe normanne), e così rimase sul trono pontificio Clemente III (che è definito però antipapa). Grego­rio fuggì a Salerno dove morì nel 1085. Le sue ultime parole sarebbero state: ‘Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità, perciò muoio in esilio’.[41] Gregorio VII è stato canonizzato santo.

Dopo la sua morte nel 1086 fu eletto papa Desiderio, abate di Montecassino, che prese il nome di Vittore III. Gli storici dicono che egli fosse privo di quello spirito del pontefice che i tempi richiedevano perché non aveva lo spirito del guerriero come l’aveva avuto il suo immediato predecessore. Morì nel 1087.

A Vittore successe Urbano II (1088-1099) il cui nome è legato alla prima crociata contro i Turchi. Riunito un concilio a Clermont nel 1095 Urbano II esortò il popolo che si diceva cristiano a partire armati verso la Palestina per andare a liberare i luoghi sacri dalle mani dei Turchi. In cambio egli offrì un indulgenza plenaria dai peccati. Al crociato venivano anche accordate immunità da tasse e gabelle. Il popolo accecato dalle tenebre si mise in cammino verso la Palestina al grido di: ‘Dio lo vuole!’. I crociati durante il viaggio si dettero a violenze, soprusi e a sterminare anche molti Ebrei (cronisti storici dicono migliaia) ritenuti infedeli da sterminare al pari dei Turchi. Arrivati a Gerusalemme conquistarono la città massacrando tante persone anche là; e tutto ciò con la benedizione papale.

Eugenio III (1145-1153) fu il papa che indisse la seconda crociata contro i Mussulmani che ebbe luogo nel 1147, ma questa crociata si dimostrò un insuccesso.

Clemente III (1187-1191) bandì solennemente nel 1188 la terza crociata che non riuscì a riconquistare Gerusalemme dalle mani di Saladino. Riccardo d’Inghilterra (il re che giunse in Palestina a capo dei crociati) però ottenne da Saladino che fosse permesso ai pellegrini l’accesso a Gerusalemme.

Passiamo ora ad Innocenzo III (1198-1216) il papa che assieme a Gregorio VII contribuì più di tutti a rafforzare il papato in quel tempo. Innocenzo III fu eletto papa nel 1198. Secondo lui il papa era superiore ai re in virtù dell’autorità ricevuta da Dio, e perciò aveva il potere di scomunicare i re e di deporli. Per illustrare questo concetto si usava di una similitudine tutta particolare; diceva che Dio aveva posto due luminari nel firmamento per illu­minare il giorno e la notte, e questi erano il sole, il luminare maggiore, e la luna il luminare minore. Il sole era l’autorità pontificia mentre la luna era l’autorità legale. ‘Perciò la luna riceve la sua luce dal sole, ed è quindi inferiore al sole sia nella grandezza che nel calore, sia nella sua posizione che nei suoi effetti. Allo stesso modo il potere regio deriva la sua dignità dalla autorità pontificia e quanto meno si sottopone ad essa, tanta minore luce ne riceve. Ma quanto più le si sottomet­te, tanto più aumenta il suo fulgore’.[42] Per sostenere la sua autorità assoluta sui regni della terra, Innocenzo fece uso anche delle seguenti parole che Dio rivolse al profeta Geremia: “Io ti costituisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per svellere, per demolire, per abbattere, per distrug­gere, per edificare e per piantare”.[43] Di fatto Innocenzo III causò molte turbolenze in vari stati; nel 1200 egli pose sotto interdetto la Francia allorquando Filippo si rifiutò di mandare via la sua seconda moglie Agnese e di ripren­dersi la sua legittima moglie Ingeborg. Questo interdetto del papa provocò un tumulto in Francia per cui Filippo si sottomise al papa, e di malavoglia mandò via Agnese e riprese con sé Inge­borg. Tra il 1205 e il 1213 Innocenzo III si scontrò con Giovanni d’In­ghilterra perché quest’ultimo non aveva voluto riconoscere l’ar­civescovo che Innocenzo aveva nominato alla sede vacante di Canterbury. Innocenzo lo scomunicò e pose anche l’Inghilterra sotto interdetto. I suoi sudditi allora si opposero al re il quale fu costretto ad umiliarsi davanti ad Innocenzo.[44] Nel 1213 Giovanni dichiarò che da allora in poi lui e i suoi sudditi avrebbero considerato i propri domìni feudi papali e avrebbero pagato ogni anno mille marchi al papa. Ecco come Innocenzo III riuscì ad umiliare i due più potenti sovrani di quel tempo facendo leva sul suo potere temporale. Ma Innocenzo III oltre a tutto ciò promosse la crociata contro gli Albigesi nel sud della Francia sterminandone, a quanto dicono gli storici, decine di migliaia. Secondo Innocenzo anche gli eretici si dovevano piegare davanti al papa, e l’eresia doveva essere estirpata con la forza. Anche Gregorio IX (1227-1241) si darà da fare per reprimere gli eretici come aveva fatto Innocenzo; egli istituirà infatti in Europa tra il 1231 e il 1234 i tribunali dell’Inquisizione, affidandone la direzione ai Domenicani.[45]

Il potere temporale dei papi subì un declino sotto Bonifacio VIII eletto papa nel 1294. Durante il suo pontificato avvenne che Filippo di Francia ed Eduardo I d’Inghilterra imposero al clero una tassa per sostenere le spese militari che essi stavano sostenendo nella guerra che li opponeva l’uno all’altro. Bonifacio allora emanò la bolla Clericis Laicos con la quale proibiva ai laici, sotto la minaccia di scomunica e interdetto, d’imporre qualsiasi tassa e imposta agli ecclesiastici senza il consenso della chiesa di Roma, e vietava ai preti, sotto pena di scomunica da parte della chiesa romana, di pagare tali contributi ad un capo temporale. Eduardo reagì dichiarando fuori legge il clero e facendo approvare dal parlamento una legge che proibiva ad esso di prestare ascolto alle pretese papali di autorità temporale in Inghilterra. E Filippo reagì vietando le esportazioni di denaro dalla Francia in Italia, privando così il papato delle sue rendi­te francesi. Allora Bonifacio si trovò in grande difficoltà e decise di venire ad un accomodamento della legge emanata nella Clericis Laicos, autorizzò quindi Filippo a riscuotere le imposte del clero in caso di estrema necessità, anche senza consultazione papale. Il re da parte sua revocò i provvedimenti contro il papato. E così fu ristabilita la pace tra il re di Francia e il papa. Bonifacio era un papa assetato del sangue dei suoi nemici difatti fece distruggere nel 1299 la città di Palestrina, in mano ai Colonna suoi nemici (i cardinali Colonna affermavano apertamente che la sua elezione era illegittima), sterminando, secondo i cronisti, alcune migliaia di persone. Egli era anche assetato di denaro; sete che lo portò ad inventare il Giubileo (che si tenne nel 1300) che secondo le stime dei cronisti portò a Roma centinaia di migliaia di pellegrini che naturalmente lo arricchirono notevolmente e aumentarono il suo prestigio. Le relazioni tra Filippo e Bonifacio ritornarono ad essere non buone allorquando nel 1301 Filippo fece arrestare un legato pontificio per tradimento contro il re. Il papa ordinò a Filippo di rilasciarlo, ma Filippo si oppose all’ordine di Bonifacio. Allora il papa emanò nel 1302 la bolla Unam Sanctam nella quale sosteneva che fuori dalla chiesa romana non c’era salvezza e né remissione dei peccati e che il papa aveva autorità spirituale e temporale sopra tutti e che per essere salvati era necessario sottoporsi al pontefice romano. Filippo reagì violentemente alla bolla papale, e dato che in Francia erano presenti presso al re i cardinali Colonna (che scomunicati e cacciati da Bonifacio si erano rifugiati presso Filippo) che accusavano il papa dicendo che era illegittimo, eretico e simoniaco, egli colse l’occasione per ordinare a Guglielmo di Nogaret di andare ad arrestare il papa e condurlo a Parigi dove sarebbe poi stato processato. Nogaret giunto in Italia organizzò assieme alla famiglia dei Colonna (nemica acerrima di Bonifacio) una congiura contro il papa che si trovava allora ad Anagni. Entrati nella cittadina assalirono il palazzo pontificio; il papa fu arrestato, ma dopo tre giorni di prigionia gli abitanti di Anagni si rivoltarono contro i congiurati cacciandoli e liberando Bonifacio. Tornato a Roma morì nel 1303. Di lui è stato detto da degli storici cattolici che ‘entrò nel pontificato come una volpe, vi regnò da leone e vi morì come un cane’.

Dal quattordicesimo al sedicesimo secolo.

A Bonifacio VIII successe Benedetto XI (1303-1304), e poi Clemente V (1305-1314) che nel 1309 trasferì la corte papale ad Avignone, dove era sotto il diretto controllo del re di Francia. Iniziò così quella che è stata definita la catti­vità avignonese che durò fino al 1377 allorquando Gregorio XI riportò la sede papale a Roma. Il poeta Petrarca, durante la sua permanenza ad Avignone, descrisse la corte papale come ‘la vergogna del genere umano, un ricettacolo di vizi, una cloaca dove si raccoglie tutta la sozzura del mondo. Là si disprezza Dio e si adora soltanto il denaro, e si calpestano le leggi umane e divine’. Dopo che morì Gregorio XI (1378) ci fu un periodo di tempo in cui ci furono due papi, Urbano VI e Clemente VII che si dicevano ambedue il legittimo papa e il vero successo­re di Pietro. Urbano VI stava in Roma mentre Clemente VII portò la capitale ad Avignone per la seconda volta. Avvenne così che alcune nazioni riconobbero come vero papa il primo mentre altre il secondo. Lo scisma si protrasse fino agli inizi del secolo successivo quando si riunì il concilio di Pisa (1409) che dichiarò illegittimo l’allora papa di Avignone Benedetto XIII e quello di Roma Gregorio XII (essi furono dichiarati decaduti dalla loro carica pontificia come scismatici ed esclusi dalla comunione della Chiesa), ed elesse papa Alessandro V. Ma siccome le decisioni del concilio di Pisa non ebbero una approvazione generale avvenne che ci furono non più due papi, ma tre papi che rivendicavano l’autorità suprema sulla Chiesa e scomunicavano solennemente gli altri due. Ognuno di essi aveva i suoi sostenitori a livello internazionale; Gregorio XII aveva dalla sua parte l’Italia, la Germania e il nord Europa; Benedetto XIII aveva la Spagna, la Scozia, la Sardegna, la Corsica e parte della Francia; Alessandro V la maggior parte della Francia e numerosi ordini religiosi.

Morto Alessandro V (1410) gli successe Giovanni XXIII che fu deposto dal concilio di Costanza (1415-1418) assieme a Benedetto XIII; Gregorio XII invece abdicò. Al loro posto fu eletto papa Martino V.

Durante il periodo che va dall’inizio della cosiddetta cattività avignonese al concilio di Costanza la corte papale era corrotta oltremodo, i papi si abbandonavano ad ogni dissolutezza, all’impurità e si rendeva­no colpevoli di ogni sorta di delitti, e nonostante tutto ciò si proclamavano vicari di Cristo; per questo si cominciarono a levare da più parti voci di protesta. Tra coloro che riprovarono la condotta dei papi, il loro potere temporale e molti dei loro dogmi ci furono Giovanni Wycliffe (1320-1384). Egli sosteneva che il capo della Chiesa era Cristo e non il papa romano, che l’unica autorità per il credente era la Bibbia e non la chiesa romana, e che la chiesa romana doveva conformarsi ai precetti del Vangelo dai quali si era profondamente allontanata. Le sue idee furono condannate a Londra nel 1382. Oltre a lui ci fu anche Giovanni Huss (1369-1415) che contestò al papa il primato; quest’ultimo fu scomunicato e condannato al rogo dal concilio di Costanza nel 1415.

Ma vediamo quello che dice Ludovico Von Pastor, che è uno storico cattolico, su alcuni papi vissuti in questo periodo storico al fine di capire quali fossero i costumi di coloro che si dicevano i vicari di Cristo in terra.

Di Clemente VI (1342-1352) egli afferma: ‘Coll’arricchire e favorire i suoi congiunti e col lusso princi­pesco della sua Corte egli arrecò danni sensibilissimi agli inte­ressi della Chiesa (…) Per continuare le abitudini di una vita splendida e spendereccia Clemente VI abbisognò di nuove fonti di denaro, e seppe trovarne, ma a scapito degli interessi della Chiesa, poiché accrebbe i perniciosi artifizi finanziari di Clemente V e di Giovanni XXII (….) Quando gli venivano fatte rimo­stranze per gli abusi che ne derivavano e si accennava che i suoi antecessori non si sarebbero permesse tali cose, rispondeva: I miei antecessori non seppero essere papi’.[46]

Di Bonifacio IX (1389-1404) il Pastor afferma: ‘I mezzi usati da Bonifacio IX per empire le casse della Camera apostolica hanno danneggiato gravemente il prestigio e la venera­zione della suprema dignità ecclesiastica. Dense ombre getta sulla memoria di Bonifacio IX anche il suo nepotismo’.[47]

Ed infine di Giovanni XXIII (1410-1415) egli afferma: ‘Questo scaltro politico era talmente tocco dalla corruzione del suo tempo da non potere rispondere neanche lontanissimamente ai doveri della suprema dignità nella Chiesa (…) E’ sicuramente fonda­ta l’accusa di immoralità personale contro il papa pisano; in una bolla di Alessandro V, a quanto so non presa finora in considera­zione, io trovo la prova documentaria d’un figlio pubblicamente riconosciuto e d’una figlia di Baldassarre Cossa’.[48] Il concilio di Costanza disse di Giovanni XXIII quando lo depose: ‘..egli è stato ed è simoniaco notorio, dilapidatore pubblico dei beni e dei diritti non solo della chiesa romana, ma anche di altre chiese (…) Con la sua vita e i suoi costumi detestabili e disonesti, notoriamente scandalosi per la chiesa e per il popolo cristiano prima della sua assunzione al papato, e anche dopo sino a questi giorni, egli ha scandalizzato e scandalizza apertamente, col suo modo di vivere descritto, la chiesa di Dio e il popolo cristiano (…) in quanto indegno, inutile, dannoso deve essere allontanato, privato e deposto dal papato e da ogni suo governo spirituale e temporale’.[49]

Di Martino V (1417-1431) poi che fu il papa che come abbiamo visto fu eletto dal concilio di Costanza al posto dei tre esistenti a quel tempo il Pastor dice: ‘Uno sguardo ai possedimenti dei Colonna fa vedere che nel favo­rire i congiunti Martino V sorpassò i limiti del lecito e che andò più avanti di quel che esigessero le cose’.[50]

Vediamo adesso di parlare di altri due papi di questo secolo, Sisto IV e Alessandro VI.

Sisto IV (1471-1484) fu, come molti altri papi nepotista e pieno di omicidio. Pastor dice di lui: ‘Il nepotismo eccessivo di Sisto IV, che bene si può spiegare, ma non giustificare, forma la grande obbrobriosa piaga di questo pontificato (…) Resta una verità deplorevole, che Sisto IV (…) nell’esaltare i suoi parenti oltrepassò ogni misura e si avviò per molti aspetti su vie del tutto mondane…’.[51] Egli ebbe anche una parte nella congiura contro i Medici (nella quale fu ucciso Giuliano dei Medici e Lorenzo scampò) infatti sempre il Von Pastor afferma che: ‘Ad ogni modo si dovrà deplorare profondamente, che un papa abbia sostenuto una parte nella storia di questa congiura’;[52] (la congiura fu approvata dal papa perché i Medici in quel tempo costituivano un ostacolo alle sue mire espansionistiche). Fu il primo papa a legalizzare le case di prostituzione di Roma che gli fruttavano migliaia di ducati all’anno ed impose una tassa ai sacerdoti che avevano un amante. Ogni mezzo per raccogliere denaro gli parve buono tanto che era solito dire: ‘Il papa non ha bisogno che di penna e d’inchiostro per la somma che vuole’. Il nome di questo papa è legato anche al terribile tribunale dell’Inquisizione perché fu lui con una bolla del 1478 ad istituire in Spagna l’Inquisizione che avrebbe mietuto migliaia di vittime.

Eccoci ora ad Alessandro VI (1492-1503). Dopo che Rodrigo Borgia diventò papa (comprando i voti dei cardinali) con il nome di Alessandro VI, Giovanni dei Medici disse al cardinale Cybo: ‘Ora siamo nelle grinfie del lupo forse più selvaggio che il mondo abbia mai visto; o fuggiamo, o ci divorerà’. Era dato alla fornicazione e all’adulterio ed ebbe diversi figli. Nominava i cardinali in cambio di forte somme di denaro e poi li avvelenava per favorire l’avvicendamento. Fece inoltre espropriare i latifondi delle grandi famiglie romane – i Colonna, i Caetani, i Savelli – e incamerare i loro patrimoni. Contro i suoi scandali predicò il frate domenicano Girolamo Savonarola che Alessandro VI tentò di mettere a tacere offrendogli il cappello da cardinale, ma avendo il frate rifiutato lo fece processare e condannare all’impiccagione e al rogo. Di lui alcuni dicono che morì di malaria mentre altri che morì avvelenato per errore con il veleno che lui stesso aveva destinato ad un cardinale di cui voleva incamerare i beni.

Siamo arrivati così al sedicesimo secolo: le cose andavano di male in peggio. La corruzione ed ogni sorta di iniquità dominavano a tutti i livelli nella chiesa cattolica romana. I papi non cercavano altro che di divertirsi e di estendere il loro potere temporale.

Un esempio di questa voglia di dominare su un territorio sempre più vasto lo abbiamo in Giulio II (1503-1513). Questo papa tra tutte le passioni possedeva quella della guerra. Infrangendo la legge canonica si mise addosso l’armatura e montato sul suo cavallo alla testa del suo esercito salì al nord per combattere in nome di Dio e dello Stato pontificio. Riuscì ad estendere il territorio dello Stato pontificio annettendo ad esso diversi territori che si erano staccati da esso. Creò così un vasto Stato pontificio, che andava da Piacenza a Terracina, le cui dimensioni sarebbero rimaste praticamente immutate fino all’Ottocento. Giulio II aveva anche la mania della grandezza infatti volle far cominciare la ricostruzione della basilica di San Pietro.

Un altro esempio di papa che dei precetti dell’Evangelo non ne voleva sentire perché era dato alle passioni ingannatrici lo abbiamo nel successore di Giulio II, vale a dire Leone X (1513-1521). Ecco alcune cose che dice il Pastor di questo papa: ‘Più volte Leone X acquistò istrumenti di musica preziosi, ornati di oro e di argento (…) Spesso prendeva parte in persona alle eleganti e spiritose gare, che decoravano la sua tavola più delle preziose stoviglie, delle scelte vivande e dei vini fini (…) Rimase però a sufficienza figlio del suo tempo per trovare sommo conten­to anche negli scherzi triviali dei buffoni di professione (…) I contemporanei fanno il nome di tutta una serie di simili buffoni, mediante i cui scherzi e arguzie talvolta triviali Leone X si facea passare il tempo, persuaso che questo lieto trattenimento gli allungherebbe la vita (….) Leone X faceva trattare splendidis­simamente i suoi ospiti. Il suo successore rimase meravigliato delle colossali spese di cucina, nelle quali in ispecie figurava fortemente un piatto di lingue di pavoni (…) Più comprensibile del piacere che provava per l’arte dei buffoni, è la grande predile­zione del Mediceo pel nobile passatempo della caccia. Malgrado il divieto della Chiesa molti cardinali, a partire dai tempi dello Scarampo, attesero a questo sport, al quale ora dedicossi anche un papa (…) Né pioggia e vento, né freddo né la serietà della situa­zione politica riuscivano a trattenerlo da questo diletto’.[53] La corte di Leone X era piena oltre che di buffoni anche di meretrici.[54] Fu lui a decretare la vendita delle indulgenze per la ricostruzione della cosiddetta basilica di San Pietro. E sempre lui disse ad uno dei suoi cardinali: ‘Quanto bene ci ha fatto quella favola del Vange­lo’. Quando fu scoperta una congiura che il cardinal Petrucci aveva ordito contro di lui per farlo morire, Leone X fece strangolare questo cardinale e squartare altri due congiurati.

Durante il pontificato di Leone X scoppiò quella che è stata ed è tuttora chiamata la Riforma. Più che dire scoppiò la Riforma sotto Leone X occorrerebbe dire però che sotto questo papa quella protesta contro la chiesa cattolica romana che si era manifestata nel corso dei secoli precedenti in svariate maniere e da parte di gruppi diversi che avevano i più svariati nomi (Valdesi,[55] Lollardi,[56] Hussiti,[57] ecc.) assunse delle proporzioni molto grandi, mai raggiunte in precedenza, perché a favore di essa si schierarono o sinceramente o per solo pretesto principi e re (per loro infatti accettare le idee della Riforma significava implicitamente scrollarsi di dosso il dominio del papato nei propri territori di giurisdizione, come anche significava entrare in possesso dei beni ecclesiastici della chiesa romana) che con la loro autorità avrebbero favorito nei territori su cui dominavano la diffusione della Riforma. Va detto però che questo movimento di riforma non solo rimproverava al papa e alla curia romana gli scandali perpetrati a disonore del Vangelo (come avevano già fatto molti) ma metteva enfasi sulla giustificazione per sola fede ossia dichiarava con forza che l’uomo per essere giustificato da Dio deve solo credere nel Signore Gesù non potendo esser giustificato per via di digiuni, di preghiere, di pellegrinaggi, ed altre opere prescritte dalla chiesa papista. Prima di cominciare a parlare di Martin Lutero, che fu l’uomo che in virtù di svariate circostanze preparate da Dio fu quello che divenne, se così possiamo definirlo, l’iniziatore di questo vasto movimento di protesta, è bene riferire alcune parole del cardinale Bellarmino, i cui scritti sono considerati dai Cattolici privi di errori perché è stato fatto ‘santo’, che rendono bene l’idea di quella che era la situazione della chiesa cattolica romana prima che ‘scoppiasse’ la Riforma tramite Lutero. Questo alto prelato papista disse: ‘Alcuni anni prima dell’esplosione dell’eresia luterana e calvinista, non vi era più né severità nei tribunali ecclesiastici, né purezza di costumi, né conoscenza delle sante scritture, né rispetto delle cose divine; in una parola, non vi era più religione’. Stando così le cose non sorprende che le idee di Lutero trovarono subito terreno fertile in tutta Europa e si diffusero come un uragano perché, quantunque non condividiamo diverse dottrine di Lutero, questo uomo si studiò di portare le persone a rigettare il papato per le sue iniquità, superstizioni e sopraffazioni di ogni genere, a leggere la sacra Scrittura nella loro lingua (cosa che la chiesa cattolica romana in quel tempo di fatto vietava) e a rigettare tante eresie della chiesa cattolica che non erano altro che una fonte di disonesto guadagno per i papi e tutta la curia romana (purgatorio, messa come ripetizione del sacrificio di Cristo e sacrificio espiatorio, indulgenze, ecc.). Ma soprattutto quest’uomo mettendosi a predicare che l’uomo è giustificato per sola fede senza il bisogno delle opere di soddisfazione prescritte dalla chiesa cattolica romana, che costituivano per gli uomini dei pesi difficili a portare che non riuscivano a portare pace alla loro anima travagliata perché impotenti a giustificarli dai loro misfatti, fece riapparire da sotto quel cumulo di immondizie papiste la buona notizia della grazia di Dio per la gioia di tutti coloro che volevano essere giustificati da Dio ma che, dato che fino a quel momento erano stati ingannati dai vani ragionamenti dei teologi papisti, non avevano potuto ottenere questa così tanta anelata giustificazione che dà vita.

Lutero (1483-1546) era un monaco agostiniano che si studiava di seguire scrupolosamente le regole del suo ordine sottomettendo il suo corpo ad un duro regime di mortificazioni. Nel 1510 egli venne a Roma per sbrigare degli affari del suo ordine, e qui credeva di trovare un clero ed un popolo profondamente religiosi, invece vi trovò sacerdoti ignoranti che celebravano la messa rapidamente e senza alcuna devozione, e le donne che nei luoghi di culto della chiesa cattolica tenevano un contegno vergognoso. Visto ciò rimase indignato, disgustato e convinto del bisogno di una riforma in seno alla chiesa cattolica romana. Dopo essere tornato in patria, tra il 1513 e il 1517 meditando le Scritture fu persuaso dal Signore che solo la fede in Cristo poteva giustificare l’uomo davanti a Dio, e nell’accettare questa verità si sentì rinascere. Ecco cosa scriverà in seguito Lutero su quella esperienza che cambierà il corso della sua vita: ‘Ero stato infiammato dal desiderio di intendere bene un vocabolo adoperato nella Epistola ai Romani, al capitolo primo, dove è detto: ‘La giustizia di Dio è rivelata nell’Evangelo’; poiché fino allora lo consideravo con terrore. Questa parola: ‘giustizia di Dio’ io la odiavo, perché la consuetudine e l’uso che ne fanno abitualmente tutti i dottori mi avevano insegnato ad intenderla filosoficamente. Intendevo la giustizia che essi chiamano formale o attiva, quella per la quale Dio è giusto e punisce i colpevoli. Nonostante l’irreprensibilità della mia vita di monaco, mi sentivo peccatore davanti a Dio; la mia coscienza era estremamente inquieta, e non avevo alcuna certezza che Dio fosse placato dalle mie opere soddisfattorie. Perciò non amavo quel Dio giusto e vendicatore, anzi, lo odiavo (…). Ero fuori di me, tanto era sconvolta la mia coscienza; e rimuginavo senza tregua quel passo di Paolo, desiderando ardentemente sapere quello che Paolo aveva voluto dire. Finalmente, Dio ebbe compassione di me. Mentre meditavo giorno e notte ed esaminavo la connessione di queste parole: ‘La giustizia di Dio è rivelata nell’Evangelo come è scritto: ‘Il giusto vivrà per fede’, incominciai a comprendere che la giustizia di Dio significa qui la giustizia che Dio dona, e per mezzo della quale il giusto vive, se ha fede. Il senso della frase è dunque questo: l’Evangelo ci rivela la giustizia di Dio, ma la giustizia passiva, per mezzo della quale Dio, nella sua misericordia, ci giustifica mediante la fede, come è scritto: ‘Il giusto vivrà per fede’. Subito mi sentii rinascere, e mi parve che si spalancassero per me le porte del paradiso. Da allora la Scrittura intera prese per me un significato nuovo (…). Quanto avevo odiato il termine: ‘giustizia di Dio’, altrettanto amavo ora, esaltavo quel dolcissimo vocabolo. Così quel passo di Paolo divenne per me la porta del paradiso’. Lutero capì allora che tutti i suoi sforzi che aveva fatto da monaco per essere giustificato da Dio, cioè i digiuni, le preghiere, le veglie, erano stati inutili perché bastava solo la fede per ottenere la giustificazione.[58] Lutero, dopo avere fatto questa preziosa scoperta, si scontrò nel 1517 con il domenicano Tetzel che si era messo a vendere le indulgenze[59] nei pressi di Wittenberg dove lui insegnava.[60] Il messaggio del Domenicano era: ‘Tosto che il denaro suona nella cassetta, l’anima balza fuori del purgatorio’. In quello stesso anno Lutero affiggeva alla cattedrale di Wittenberg le sue 95 tesi con le quali condannava gli abusi del sistema delle indul­genze e si dichiarava pronto ad un dibattito sull’argomento. Inizialmente quindi, Lutero attaccò gli abusi del sistema delle indulgenze pensando di riformarlo (in effetti, leggendo le sue 95 tesi si può vedere che lui non negò al papa il potere di concedere le indulgenze come neppure il diritto da parte del popolo di acquistarle; cosicché si deve concludere che ancora non gli era pienamente chiara la via di Dio),[61] e da ciò si deduce che egli inizialmente non aveva in mente di separarsi dalla chiesa cattolica romana ma solamente di riformarla al suo interno. Ma poco tempo dopo, convintosi che per operare una riforma che permettesse agli uomini di ritornare al Vangelo era necessario separarsi dal sistema instaurato dalla chiesa romana, egli attaccò il primato del papa, la dottrina dei sette sacramenti quali mezzi per ricevere la grazia perché affermava che si viene giustificati per sola fede, e il sistema gerarchico nella chiesa perché diceva che in virtù della fede ogni credente è un sacerdote. Fu allora che il papa reagì emettendo, nel giugno del 1520, contro Lutero la bolla Exurge Domine (con cui il papa condannava gli ‘errori’ e gli scritti di Lutero e lo minacciava di scomunica se non avesse ritrattato entro 60 giorni), che fu bruciata pubblicamente (e con essa bruciò i libri di diritto canonico) da Lutero sulla piazza di Wittenberg, dicendo: ‘Poiché tu hai turbato il Santo del Signore, così il fuoco eterno ti molesti e consumi’. In seguito, ai primi di gennaio del 1521 Roma emanò la bolla Decet Romanum Pontificem con cui Lutero veniva colpito dalla scomunica. Lutero fu poi convocato dall’imperatore Carlo V alla Dieta imperiale di Worms nel 1521 per rispondere in merito alle sue teorie e ritrattare le sue affermazioni. Lutero vi andò ma non volle abiurare, rimase fermo. Alla domanda riguardante la sua ritrattazione egli rispose: ‘Nei miei scritti non c’è nulla di biasimevole: Roma esercita in Germania la tirannia’ e concluse dicendo: ‘Non posso e non voglio ritrattarmi, perché non è né sicuro né sincero agire contro la propria coscienza. Che Dio mi aiuti. Amen’. Sulla via del ritorno dalla Dieta fu rapito da alcuni suoi amici e messo nel castello di Wartburg di proprietà di Federico il Saggio, un principe che lo difendeva e proteggeva. Qui rimarrà circa diciotto mesi, durante i quali tradurrà in tedesco il Nuovo Testamento, dopo di che tornerà a Wittenberg e si rimetterà a predicare contro le dottrine papiste. Dopo la sua partenza da Worms la Dieta imperiale emanò un editto con cui Lutero veniva messo, assieme ai suoi scritti, al bando dell’Impero, e chi lo incontrava veniva esortato a consegnarlo nelle mani dell’autorità imperiale. Ma questo editto contro Lutero per svariati motivi non fu mai messo in atto.

Ma nonostante l’opposizione del papa e dell’imperatore la Riforma continuò a propagarsi in Germania (con l’aiuto di diversi principi) e da lì si diffuse rapidamente nelle altre nazioni dell’Europa. Il luteranesimo fuori dalla Germania si diffuse molto in Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia (in queste nazioni con l’appoggio dei sovrani che aderirono alla Riforma); ma anche in Francia, Olanda, e in Italia (incominciando dalla repubblica di Venezia), qui però un po’ meno. Oggi le chiese che si rifanno agli insegnamenti di Lutero si chiamano chiese luterane.

Oltre il luteranesimo sorse e si diffuse in Europa il calvinismo ossia quell’insieme di dottrine insegnate da Giovanni Calvino (1509-1564) riformatore nato in Francia che svolse la sua missione soprattutto in Svizzera, a Ginevra, i cui scritti si diffusero anch’essi per tutta l’Europa. Quantunque ci fossero delle differenze dottrinali tra Lutero e Calvino[62] tutti e due predicavano che l’uomo è giustificato soltanto per fede senza le opere e rigettavano il papismo. Il calvinismo si diffuse molto in Francia (qui i suoi aderenti saranno chiamati Ugonotti), in Olanda, in Scozia (qui propagherà il calvinismo Giovanni Knox, 1513-1572) e in Inghilterra (coloro che furono soprannominati i Puritani per esempio erano calvinisti). Oggi le chiese che sul continente (specialmente in Svizzera, Olanda, Francia e parti della Germania) si rifanno agli insegnamenti di Calvino sono denominate chiese riformate: in Inghilterra e in Scozia invece i Calvinisti sono conosciuti comunemente come presbiteriani.

Un altro movimento riformatore sorto in quegli anni che si diffonderà in Europa è l’anabattismo, sorto in Svizzera nei pressi di Zurigo attorno al 1523. L’anabattismo era un movimento che si contraddistingueva sia dal luteranesimo che dal calvinismo perché non accettava il battesimo degli infanti ma solo quello degli adulti (da qui il nome dato ai suoi aderenti di Anabattisti, cioè ribattezzatori), come non accettava l’unione tra Chiesa e Stato perché predicava la completa separazione tra Chiesa e Stato. Gli Anabattisti erano anche pacifisti non ammettendo la violenza né a scopo di offesa che di difesa, e non ammettevano il giuramento in tribunale e che un cristiano ricoprisse la carica di magistrato.[63] Gli Anabattisti si diffonderanno molto nei Paesi Bassi. Dal movimento anabattista sono sorti i Mennoniti (che hanno preso il nome da Menno Simmons un ex sacerdote cattolico, 1496 ca. -1561 ca.) e i Battisti.

Un discorso un po’ diverso merita invece l’anglicanesimo radicatosi in Inghilterra. Perché esso iniziò come movimento politico e proseguì come movimento religioso. In Inghilterra esistevano ancora dei Lollardi (seguaci di Giovanni Wycliffe), e dopo lo scoppio della Riforma luterana si diffusero gli scritti di Lutero che furono accettati da molti. In quel tempo era re d’Inghilterra Enrico VIII che era sposato con Caterina d’Aragona da cui oramai riteneva di non potere avere più un figlio maschio che potesse succedergli al trono. Allora il re chiese al papa Clemente VII l’annullamento di questo suo matrimonio e il permesso di risposarsi con Anna Bolena. Il papa però rifiutò di concedere il divorzio a Enrico, il quale allora pensò di farselo rilasciare dal clero inglese. Il re si fece proclamare nel 1531 dall’assemblea del clero capo e protettore della chiesa e del clero d’Inghilterra. Così il clero accettò Enrico VIII come suo capo e nel 1533 il matrimonio del re con Caterina veniva dichiarato nullo mentre lui si era già sposato segretamente con Anna Bolena. Nel 1534 Enrico fece votare al parlamento la ‘legge di supremazia’ che riconosceva il re come unico capo supremo in terra della Chiesa d’Inghilterra. Venne a consumarsi quindi lo scisma; il re d’Inghilterra era diventato il papa della chiesa nella sua nazione. Ed in questa sua nuova veste fece perseguitare a morte quei prelati che rifiutarono la sua supremazia spirituale e fece chiudere molti monasteri i cui beni e le cui terre passarono in parte alla corona e in parte furono donate o vendute alla nobiltà. Va detto però che benché il re perseguitò a morte quei prelati cattolici che si rifiutarono di riconoscerlo come capo supremo della chiesa, e fece chiudere molti monasteri, egli si mantenne sostanzialmente cattolico nella dottrina. Inizialmente aveva sì fatto delle concessioni ai Protestanti per potere avere il loro favore, ma dal 1539 in poi aveva cambiato atteggiamento facendo promulgare la legge dei Sei Articoli che era fortemente cattolica. Questa legge affermava la transustanziazione, la sufficienza della comunione sotto una specie, il celibato dei preti, la perpetuità dei voti, le messe private e la confessione auricolare. Nonostante ciò, si può dire, che questo re favorì, contro le sue intenzioni, l’opera di riforma in seno alla chiesa inglese. Morto Enrico VIII, gli successe al trono il giovane figlio Edoardo VI (1547-1553) che favorì la diffusione della Riforma nel paese. Nel 1547 il parlamento permise il calice al popolo nella comunione e revocò la legge dei Sei Articoli: nel 1549 rese legale il matrimonio dei preti e ordinò la chiusura delle cappelle votive dove si diceva la messa in suffragio dell’anima del donatore. Inoltre fu decretato che i servizi religiosi dovevano tenersi nella lingua parlata anziché in latino. Nel 1549 veniva stabilito l’uso del ‘Book of Common Prayer’ (‘Libro della preghiera comune’), libro che era opera di un Protestante in cui veniva messo al primo posto l’uso dell’inglese nei servizi religiosi, la lettura della Bibbia e la partecipazione dei fedeli all’adorazione. Nel 1552 venne pubblicato una seconda edizione di questo libro (in cui c’era una chiara influenza calvinista) il cui uso venne ordinato alle chiese. Nel 1553 infine il re sanzionò i Quarantadue Articoli preparati da un Protestante e che erano fortemente calvinisti; questi articoli divennero credo della chiesa anglicana. Alla morte di Edoardo VI gli successe la cattolica Maria Tudor (1553-1558) che abolì i cambiamenti apportati da Edoardo ed emanò delle severissime leggi contro coloro che dissentivano dalla chiesa inglese. Molti credenti furono messi a morte durante il suo regno; da qui il soprannome dato a questa sovrana ‘la sanguinaria’, ben amata naturalmente dal papa. Altri invece furono costretti a fuggire in quei paesi europei dove la Riforma era protetta. Dopo Maria salì al regno Elisabetta che reintrodusse, con qualche modifica, i cambiamenti apportati da Edoardo alla chiesa inglese. E per questa sua decisione si attirò la scomunica dell’allora papa Pio V. Ecco come sorse la chiesa anglicana (da cui poi si sarebbero staccati coloro che verranno chiamati Puritani perché ritenevano che in essa rimanessero troppi avanzi del papismo che dovevano essere tolti, e coloro che furono denominati Metodisti) tuttora esistente.

Tutti coloro che aderirono alla Riforma, non importa se Luterani, Calvinisti, Anabattisti, Anglicani, furono chiamati Protestanti.[64]

Dopo avere fatto questa doverosa parentesi per trattare la Riforma che rappresentò dal sedicesimo secolo in avanti per il papato la perdita del suo antico potere in molte nazioni europee come anche una perdita di molte entrate e di molti membri, proseguiamo con il successore di Leone X.

Morto Leone X nel 1521, gli succedette Adriano VI nel 1522. Il nuovo papa era olandese. Costui aveva intenzione di riformare la chiesa cattolica romana a cominciare dalla corte papale mandando via le meretrici, i poeti e i buffoni. Ma i suoi propositi non piacquero alla curia romana che lo prese in avversione. Si ammalò improvvisamente e morì nel 1523.

Prese il suo posto Clemente VII (1523-1534) il quale a motivo della sua posizione politica antimperiale si attirò le ire di Carlo V che mandò le sue truppe contro Roma. I soldati tedeschi giunti a Roma si diedero al saccheggio, uccisero parecchie persone, violentarono le donne e distrussero parecchie opere d’arte. Il papa si rifugiò in Castel Sant’Angelo ma si dovette arrendere, fu fatto prigioniero per alcuni mesi. Il papa dovette pagare molto denaro e grazie alla compiacenza di alcuni ufficiali riuscì a fuggire dalla città travestito da venditore ambulante. Molti interpretarono allora quel flagello abbattutosi su Roma come un castigo inflitto da Dio a motivo della vita scandalosa che conducevano i papi e gli ecclesiastici. Clemente VII poté tornare a Roma, trovandola devastata e spopolata, solo nel 1528. Si riconciliò poi con Carlo V nel 1529. L’anno dopo Clemente VII incoronò imperatore Carlo V a Bologna. Carlo V fece emanare alla Dieta di Spira del 1529 un decreto contro gli Anabattisti secondo cui ‘ogni anabattista, ed ogni persona ribattezzata, uomo o donna che fosse, doveva essere messa a morte o per la spada, o per il fuoco, o altrimenti’. Carlo V farà poi guerra alla Lega di Smalcalda (una lega formatasi nel 1531 a cui avevano aderito dei principi, dei conti e delle città protestanti per proteggere con le armi il protestantesimo in Germania) sconfiggendola nel 1547 a Muhlberg.

Morto Clemente fu eletto papa Paolo III (1534-1549). Dice di lui il Pastor: ‘In generale questo papa non può venire assolto dalla taccia, che per più d’un rispetto si abbandonasse egli stesso ad una vita mondana, che non conveniva colla gravità del tempo. Anche ora come prima non soltanto da cardinali, ma anche dal papa in Vati­cano venivano celebrate feste sfarzose, nelle quali comparivano musici, improvvisatori, persino cantatrici, danzatori e buffoni’.[65] Sotto Paolo III sorsero i Gesuiti (1540), ‘gli uomini del papa’, che avrebbero con intrighi e lusinghe di ogni genere aizzati re e governatori contro i Protestanti per estirparli dai territori di questi;[66] fu istituita l’Inquisizione romana (1542) per combattere l’eresia in ogni luogo,[67] e fu convocato il concilio di Trento nel 1545 (che si protrasse fino al 1563) che non fece altro che rafforzare il potere del papa e di tutta la curia romana e confermare tutte le false dottrine cattoliche a cui si opponevano i riformatori lanciando gli anatemi contro coloro che non le avrebbero accettate.

Il papa successivo fu Giulio III (1550-1555). Sempre il Pastor ci dice di lui: ‘Egli assisteva parimente alle rappresentazioni teatrali con cui terminavano i suoi banchetti. Eziando donne venivano invitate in Vaticano (…) Giulio III, che sempre a lato degli affari aveva largamente indulto insieme ai piaceri, amava in ispecie splendidi conviti (…) Come al pari dei papi del rinascimento usciva a caccia, giocava di grosse somme con cardinali amici e altri confidenti e manteneva molti buffoni di corte, così Giulio III non aveva neppure scrupolo alcuno di intervenire a rappresentazioni teatra­li sconvenienti’.[68]

A Giulio successe per poco Marcello II (1555), e poi venne Paolo IV (1555-1559). Costui si contraddistinse per le persecuzioni contro gli Ebrei. Ecco cosa dice a riguardo il Pastor: ‘Sollecitudine per mantenere pura la fede fu anche la causa delle severissime prescrizioni, che Paolo IV emanò subito al principio del suo pontificato contro gli Ebrei (…) una bolla del 14 luglio 1555 decretava che in Roma e nelle altre città dello Stato pontificio i Giudei dovessero abitare affatto separati dai cristiani in un quartiere o in una strada con soltanto un ingresso e un’uscita. Fu stabilito inoltre: non è permessa più d’una sinagoga in ciascuna città, gli Ebrei non possono acquistare immobili e debbono vendere entro un determinato tempo ai cristiani quelli che si trovano in loro possesso. Come segno distintivo si prescrissero agli Ebrei cappelli gialli. Venne loro interdetto di tenere servi cristiani, il lavoro pubblico nei giorni di festa per i cristiani, troppo strette relazioni coi cristiani, di stendere contratti fittizi (…) Finalmente non era lecito agli Ebrei esercitare commercio alcuno di grano o altre cose necessarie al bisogno umano, curare come medici i cristiani’.[69] Questo papa come si può ben vedere imitò Faraone d’Egitto perché anche lui maltrattò gli Ebrei; ma oltre che ad opprimere e perseguitare gli Ebrei fece perseguitare a morte coloro che avevano abbracciato la Riforma. Sotto di lui molti credenti morirono a motivo della loro fede. Fu un persecutore crudele e spietato dei Protestanti. Nel 1559 egli promulgò il primo Index Librorum Prohibitorum, cioè l’Indice dei libri la cui lettura era proibita ai Cattolici.[70]

Dopo Paolo IV altri papi che perseguitarono con grande ferocia i Protestanti furono Pio V, Gregorio XIII e Sisto V; tutti e tre pronti ad incoraggiare a sterminare i Protestanti e i sovrani che li favorivano nella loro nazione.

Pio V (1566-1572) incitò il re Carlo IX a sterminare gli Ugonotti in Francia; nel 1570 con una bolla scomunicò la regina Elisabetta d’Inghilterra (perché favorì il protestantesimo in Inghilterra) e sciolse i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà verso di lei; ed oltre a ciò cospirò l’assassinio di questa regina.

Gregorio XIII (1572-1585) con una bolla incitò Carlo IX a perseverare nello sterminio dei Protestanti finché il suo regno fosse interamente purgato dalle ‘eresie blasfeme’: il suo segretario di Stato, cardinale Galli, a nome di papa Gregorio un giorno rispose al nunzio pontificio in Spagna, Filippo Sega (al quale il Cattolico inglese Ely aveva sottoposto un piano per uccidere la regina Elisabetta): ‘Chiunque la toglie dal mondo al debito fine del servizio di Dio, non solo non pecca, ma si acquista un merito, soprattutto tenendo conto della sentenza lanciata contro di lei da Pio V’.

Sisto V (1585-1590) per riconquistare l’Inghilterra alla chiesa cattolica gli mandò contro il re Filippo di Spagna, devoto cattolico, con la sua grande flotta chiamata ‘Armada Espanola’ ma l’impresa finanziata da questo papa sanguinario non riuscì, perché la flotta spagnola fu sconfitta da quella inglese.

La controriforma cattolica (così viene chiamata la reazione papista alla Riforma protestante) produsse un periodo di dure persecuzioni durante le quali trovarono la morte in Europa molte migliaia di credenti. Furono annegati, sepolti vivi, bruciati vivi, impiccati, decapitati, furono insomma trattati come se avessero fatto l’opera dei malfattori. Il loro reato era quello di non volersi sottoporre al papa accettando i dogmi della chiesa cattolica romana.[71]

Dal diciottesimo al ventesimo secolo.

Passiamo ora al diciottesimo secolo ed in particolare vediamo quali furono gli effetti della rivoluzione francese sul papato; prima però diciamo qualcosa su Clemente XIV (1769-1774). Questo papa è passato alla storia per la sua decisione di sopprimere i Gesuiti a motivo dei loro misfatti compiuti che avevano incrementato l’avversione al papato di molti sovrani (in Russia e in Prussia però i Gesuiti continuarono a sopravvivere fino alla loro riabilitazione). Di questo papa il Pastor dice: ‘Clemente XIV soleva distrarsi giocando a bigliardo, o, quando il tempo era buono, a bocce nel giardino del Quirinale o a Villa Patrizi (…) Quando Clemente XIV era di buon umore, i suoi intimi potevano permettersi scherzi e burle quanto mai singolari…’.[72] Morì avvelenato.

Con la rivoluzione francese il papato ricevette un altro duro colpo. L’Assemblea Nazionale del 1789 dichiarò proprietà dello Stato i beni della chiesa cattolica. Gli ordini vennero sciolti, i voti soppressi, i vescovi da ora innanzi dovevano essere eletti dal popolo e il papa doveva solo ricevere la comunicazione dell’avvenuta scelta, gli ecclesiastici dovevano essere pagati dallo Stato e prestare giuramento di fedeltà ad esso. Le cose per il papato peggiorarono ulteriormente quando il Direttorio ritenne che il governo dei preti in Italia fosse incompatibile con l’esistenza della repubblica francese. Nel 1797 a Roma durante una sollevazione popolare ci fu l’uccisione del generale Duphot da parte di soldati pontifici, il Direttorio colse allora l’occasione per adempiere il suo disegno che era quello di eliminare lo Stato pontificio, e mandò le truppe francesi sotto il comando del generale Berthier ad invadere lo Stato pontificio e ad occupare Roma dove venne proclamata la Repubblica. L’allora papa Pio VI (1775-1799) che era molto vecchio chiese ai suoi nemici che voleva morire qui dove era vissuto. Gli fu risposto che poteva morire dappertutto; la sua camera fu saccheggiata, gli tolsero dal dito l’anello che portava e lo portarono in Francia dove morì nel 1799. In quello stesso anno in Francia salì al potere Napoleone Bonaparte. Egli fece nel 1801 un Concordato con la chiesa cattolica romana (l’allora papa era Pio VII che era stato eletto papa nel marzo del 1800 in un conclave tenuto a Venezia e poi era andato a Roma dove non c’era stato più il papa dal febbraio 1798) in cui riconosceva la religione cattolica come ‘la religione della maggioranza dei Francesi’, pur non facendone la religione di Stato. I vescovi dovevano essere nominati dallo Stato e consacrati dal papa. Il clero doveva essere pagato dallo Stato ma alla chiesa non sarebbero state restituite le proprietà incamerate nel 1790. Nel 1804 Napoleone invitò il papa a recarsi a Parigi alla cerimonia della sua incoronazione imperiale. Pio VII accettò (fu costretto a farlo perché Napoleone minacciava di punirlo se egli avesse rifiutato) pensando che sarebbe stato lui ad incoronare l’imperatore Bonaparte, come aveva fatto il suo predecessore Leone III con Carlo Magno, e che con questo gesto ne sarebbe venuto del bene alla chiesa cattolica romana; ma quando venne il giorno della cerimonia nella cattedrale di Notre-Dame avvenne che Napoleone prese la corona e se la mise sulla testa con le sue proprie mani. Il papa era stato ancora una volta umiliato da Napoleone e tornò a Roma dove tra gli ecclesiastici regnava l’insoddisfazione per il suo comportamento. Dopo di ciò Napoleone chiese a Pio VII di unirsi a lui contro gli Inglesi (che secondo Napoleone non volevano la pace dell’Impero) ma il papa rifiutò attirandosi le ire di Napoleone il quale fece occupare Ancona ed Urbino, e mandò le sue truppe contro Roma occupandola nel 1808. I cardinali che non gli erano amici furono allontanati a cominciare dal segretario di stato. Pio VII (1800-1823) venne deportato da Roma (prima fu portato a Savona e poi a Parigi) e lo Stato pontificio fu annesso all’impero francese. Ma con la sconfitta di Napoleone le cose tornarono come erano prima, perché Napoleone, costretto dalle circostanze che gli erano sfavorevoli, diede ordine di mettere in libertà il papa il quale tornò a Roma trionfalmente. Era il maggio del 1814; lo Stato pontificio ritornava nelle mani del papa.

Nel 1848 l’allora papa Pio IX fu costretto da una sollevazione popolare a fuggire da Roma e a rifugiarsi a Gaeta. La popolazione era stanca di vedere il potere civile nelle mani del clero; essa voleva che il governo civile fosse affidato solo ai ‘laici’, cosa che il papa non voleva assolutamente perché secondo lui lo Stato pontificio era l’eredità di San Pietro che egli aveva ricevuto da Cristo e quindi esso doveva essere governato dal successore di Pietro perché gli apparteneva. Ma Pio IX mentre si trovava in Gaeta, pensò di riprendersi Roma con la forza facendo appello all’Austria, alla Spagna, al regno di Napoli e alla Francia la quale mandò le sue truppe a Roma (dove intanto era stata proclamata la repubblica romana con la sua nuova costituzione che portava in fronte il principio della sovranità popolare, e dichiarata decaduta la sovranità temporale del papa) ‘per restituire la capitale del mondo cattolico alla sovranità della Chiesa, secondo il caldissimo desiderio di tutti i cattolici’. Le truppe francesi dopo essere sbarcate a Civitavecchia, sotto il comando del generale Oudinot, bombardarono Roma e uccisero parecchie persone per restituire la città nelle mani del papa.[73] Le truppe delle altre potenze invece occuparono il resto dello Stato pontificio. La repubblica romana fu così sciolta; e il governo degli affari civili fu trasmesso ad una commissione cardinalizia nominata dal papa. Pio IX poté tornare a Roma nel 1850.

Nel 1859-1860 Vittorio Emanuele II riuscì ad annettersi prima la Romagna e poi l’Umbria e le Marche, iniziando così la conquista dello Stato pontificio. Lo Stato pontificio alla fine del 1860 era limitato solo al Lazio e alla città di Roma dove c’erano delle truppe francesi a difesa dello Stato pontificio. Nel 1870 avvenne che scoppiò la guerra tra la Francia e la Prussia. E la Francia fu costretta per ragioni militari a ritirare le sue truppe che teneva sul suolo italiano in difesa dello Stato della chiesa cattolica. Lo Stato della chiesa si trovò quindi indifeso (e per giunta la Francia uscì sconfitta dalla guerra) e di questa condizione ne approfittarono subito gli Italiani per disfarsi una volta per tutte della tirannia del clero. In quell’anno le truppe piemontesi comandate dal generale Raffaele Cadorna entrarono per la brec­cia di Porta Pia in Roma annettendo la città del papa al regno d’Italia. Fu una grande umiliazione per lo Stato pontificio;[74] il papa perse quella che egli definiva l’eredità o il patrimonio di San Pietro[75] a cui mai avrebbe rinunciato di sua spontanea volontà, e si dichiarò ‘prigioniero del Vaticano’; scomunicò il re Vittorio Emanuele II e tutti coloro che avevano contribuito all’occupazione dello Stato pontificio e vietò ai Cattolici di partecipare sia in qualità di candidati che di elettori ad elezioni di qualsiasi tipo. A qualsiasi offerta del Governo italiano per giungere ad una riconciliazione Pio IX rispose dicendo: Non possumus. Nel 1871 il Parlamento italiano approvò la cosiddetta Legge sulle Guarentigie con cui andava incontro alle esigenze della ‘Santa Sede’, comprese quelle economiche assegnandole ‘una dotazione di annua rendita di L. 3.225.000’ che sarebbe stata esente da ogni specie di tassa od onere governativo, comunale e provinciale. Ma sia Pio IX che i suoi successori rifiutarono la mano offertagli dal Governo italiano, non vollero riconoscere la Legge sulle Guarentigie.

Nel 1922 salì al potere Benito Mussolini,[76] e nello stesso anno fu eletto papa Pio XI (1922-1939). I due capirono che avrebbero potuto trarre enormi vantaggi da un accordo rappacificatore, e perciò iniziarono dei negoziati segreti tra le parti per porre termine all’inimicizia tra papato e governo italiano che ormai durava da diversi decenni. I negoziati portarono alla stipulazione, nel 1929, tra la ‘Santa Sede’, rappresentata in quell’occasione dal cardinale Gasparri, e lo Stato italiano, capeggiato da Benito Mussolini, del Trattato del Laterano e del Concordato (ambedue questi documenti portano in testa la dicitura ‘In Nome della Santissima Trinità’) e di una Convenzione finanziaria. Col Trattato l’Italia riconobbe alla ‘Santa Sede’ la sovranità su un minuscolo territorio chiamato ‘Città del Vaticano’ e la ‘Santa Sede’ dichiarò definitamente conclusa la ‘questione romana’, riconoscendo il Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con Roma capitale dello Stato italiano. Vediamo adesso alcuni articoli del Trattato e del Concordato del Laterano al fine di capire le concessioni fatte e i privilegi concessi dallo Stato Italiano al Vaticano.

L’art. 1 del Trattato afferma: ‘L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’art. 1 dello Statuto del Regno 4 Marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato’; l’art. 6 afferma che l’Italia ‘provvederà, inoltre, alla comunicazione con le ferrovie dallo Stato mediante la costruzione di una stazione ferroviaria nella Città del Vaticano..’; l’art. 8 del Trattato dice che ‘l’Italia, considerando sacra ed inviolabile la persona del Sommo Pontefice, dichiara punibili l’attentato contro di Essa e la provocazione a commetterlo con le stesse pene stabilite per l’attentato e la provocazione a commetterlo contro la persona del Re. Le offese e le ingiurie pubbliche commesse nel territorio italiano contro la persona del Sommo Pontefice con discorsi, con fatti e con scritti, sono punite come le offese e le ingiurie alla persona del Re’; l’art. 13 dice che ‘l’Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà delle Basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, di Santa Maria Maggiore e di S. Paolo, cogli edifici annessi…’; l’art. 14 che ‘l’Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà del palazzo pontificio di Castel Gandolfo con tutte le dotazioni, attinenze e dipendenze’ e si obbliga a cederle ‘la Villa Barberini in Castel Gandolfo con tutte le dotazioni, attinenze e dipendenze’[77] e poi ‘per integrare la proprietà degli immobili siti nel lato nord del Colle Gianicolense appartenente alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide e ad altri istituti ecclesiastici e prospicienti verso i palazzi vaticani, lo Stato si impegna a trasferire alla Santa Sede od agli enti che saranno da Essa indicati gli immobili di proprietà dello Stato o di terzi esistenti in detta zona… l’Italia, infine, trasferisce alla Santa Sede in piena e libera proprietà degli edifici ex-conventuali in Roma annessi alla Basilica dei Santi XII Apostoli ed alle chiese di Sant’Andrea della Valle e di San Carlo ai Catinari, con tutti gli annessi e dipendenze..’; l’art. 16 dice che gli immobili citati nei tre articoli precedenti (nell’art. 15 sono citati diversi palazzi della chiesa cattolica romana situati sul territorio italiano) ‘nonché quelli adibiti a sedi dei seguenti istituti pontifici: Università Gregoriana, Istituto Biblico, Orientale, Archeologico, Seminario Russo, Collegio Lombardo, i due palazzi di Sant’Apollinare e la Casa degli esercizi per il Clero di San Giovanni e Paolo, non saranno mai assoggettati a vincoli o ad espropriazioni per causa di pubblica utilità, se non previo accordo con la Santa Sede, e saranno esenti da tributi sia ordinari che straordinari tanto verso lo Stato quanto verso qualsiasi altro ente’; l’art. 17 afferma quanto segue: ‘Le retribuzioni di qualsiasi natura, dovute dalla Santa Sede, dagli altri enti centrali della Chiesa Cattolica e dagli altri enti gestiti direttamente dalla Santa Sede anche fuori di Roma, a dignitari, impiegati e salariati, anche non stabili, saranno nel territorio italiano esenti, a decorrere dal 1° Luglio 1929, da qualsiasi tributo tanto verso lo Stato quanto verso ogni altro ente’; l’art. 20 recita quanto segue: ‘Le merci provenienti dall’estero e dirette alla Città del Vaticano, o, fuori della medesima, ad istituzioni od uffici della Santa Sede, saranno sempre ammesse da qualunque punto del confine italiano ed in qualunque porto del Regno, al transito per il territorio italiano con piena esenzione dai diritti doganali e daziari’; l’art. 21 afferma: ‘Tutti i Cardinali godono in Italia degli onori dovuti ai Principi del sangue; quelli residenti in Roma, anche fuori della Città del Vaticano, sono, a tutti gli effetti, cittadini della medesima’; l’art. 23 afferma che avranno ‘piena efficacia giuridica, anche a tutti gli effetti civili, in Italia le sentenze ed i provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche ed ufficialmente comunicati alle autorità civili, circa persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali o disciplinari’.

Cito adesso alcuni passi di alcuni articoli del Concordato. L’art. 1 del Concordato dice: ‘…. In considerazione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e mèta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto con detto carattere’. L’art. 2 afferma: ‘… Tanto la Santa Sede quanto i Vescovi possono pubblicare liberamente ed anche affiggere nell’interno ed alle porte esterne degli edifici destinati al culto o ad uffici del loro ministero le istruzioni, ordinanze, lettere pastorali, bollettini diocesani ed altri atti riguardanti il governo spirituale dei fedeli, che crederanno di emanare nell’ambito della loro competenza. Tali pubblicazioni ed affissioni ed in genere tutti gli atti e documenti relativi al governo spirituale dei fedeli non sono soggetti ad oneri fiscali… Le autorità ecclesiastiche possono senza alcuna ingerenza delle autorità civili eseguire collette nell’interno ed all’ingresso delle chiese nonché negli edifici di loro proprietà’. L’art. 3 dice: ‘… ‘Gli studenti di teologia, quelli degli ultimi due anni di propedeutica alla teologia avviati al sacerdozio ed i novizi degli istituti religiosi possono, a loro richiesta, rinviare, di anno in anno, fino al ventesimosesto anno di età l’adempimento degli obblighi del servizio militare. I chierici ordinati in ‘sacris’ ed i religiosi, che hanno emesso i voti, sono esenti dal servizio militare, salvo il caso di mobilitazione generale. In tale caso, i sacerdoti passano nelle forze armate dello Stato, ma è loro conservato l’abito ecclesiastico, affinché esercitino fra le truppe il sacro ministero sotto la giurisdizione ecclesiastica dell’Ordinario militare ai sensi dell’art. 14. Gli altri chierici o religiosi sono di preferenza destinati ai servizi sanitari. Tuttavia, anche se siasi disposta la mobilitazione generale, sono dispensati dal presentarsi alla chiamata i sacerdoti con cura di anime. Si considerino tali gli Ordinari, i parroci, i vice parroci e coadiutori, i vicari ed i sacerdoti stabilmente preposti a rettorie di chiese aperte al culto’. L’art. 5 afferma che ‘i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti né conservati in un insegnamento, in un ufficio od in un impiego, nei quali siano a contatto immediato col pubblico’. L’art. 8 afferma che ‘…. In caso di arresto, l’ecclesiastico o il religioso è trattato col riguardo dovuto al suo stato ed al suo grado gerarchico. Nel caso di condanna di un ecclesiastico o di un religioso, la pena è scontata possibilmente in locali separati da quelli destinati ai laici, a meno che l’Ordinario competente non abbia ridotto il condannato allo stato laicale’; l’art. 9 afferma che ‘di regola, gli edifici aperti al culto sono esenti da requisizioni od occupazioni’ e che ‘salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non può entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica’; l’art. 10 dice che ‘non si potrà per qualsiasi causa procedere alla demolizione di edifizi aperti al culto, se non previo accordo colla competente autorità ecclesiastica’; l’art. 11 dice: ‘Lo Stato riconosce i giorni festivi stabiliti dalla Chiesa, che sono i seguenti: tutte le Domeniche; il primo giorno dell’anno; il giorno dell’Epifania (6 Gennaio); il giorno della festa di San Giuseppe (19 Marzo); il giorno dell’Ascensione; il giorno del Corpus Domini; il giorno della festa dei ss. Apostoli Pietro e Paolo (29 Giugno); il giorno dell’assunzione della B.V. Maria (15 agosto); il giorno di Ognissanti (1 Novembre); il giorno della festa dell’Immacolata Concezione (8 Dicembre); il giorno di Natale (25 dicembre)’;[78] l’art. 14 afferma: ‘Le truppe italiane di aria, di terra e di mare godono, nei riguardi dei doveri religiosi, dei privilegi e delle esenzioni consentite dal diritto canonico…’; l’art. 29 afferma che ‘…b) Sarà riconosciuta la personalità giuridica delle associazioni religiose, con o senza voti, approvate dalla Santa Sede, che abbiano la loro sede principale nel Regno, e siano ivi rappresentate… Sarà riconosciuta infine la personalità giuridica alle Case generalizie ed alle Procure delle associazioni religiose, anche estere. Le associazioni o le Case religiose, le quali già abbiano la personalità giuridica, la conserveranno. Gli atti relativi ai trasferimenti degli immobili, dei quali le associazioni sono già in possesso, dagli attuali intestatari alle associazioni stesse saranno esenti da ogni tributo… h)… non saranno applicate ai ministri del culto per l’esercizio del ministero sacerdotale l’imposta sulle professioni e la tassa di patente, istituite con il Regio decreto 18 novembre 1923, n° 2538, in luogo della soppressa tassa di esercizio e rivendita, né qualsiasi altro tributo del genere’; l’art. 30 che ‘lo Stato Italiano riconosce agli istituti ecclesiastici ed alle associazioni religiose la capacità di acquistare beni, salve le disposizioni delle leggi civili concernenti gli acquisti dei corpi morali’; l’art. 34 dice che ‘lo Stato italiano, volendo ridonare allo istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili… Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici. I provvedimenti e le sentenze relative, quando siano divenute definitive, saranno portate al Supremo Tribunale della Segnatura, il quale controllerà se siano state rispettate le norme del diritto canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti. I detti provvedimenti e sentenze definitive coi relativi decreti del Supremo Tribunale della Segnatura saranno trasmessi alla Corte di Appello dello Stato competente per territorio, la quale, con ordinanze emesse in camera di consiglio, li renderà esecutivi agli effetti civili ed ordinerà che siano annotati nei registri dello stato civile a margine dell’atto di matrimonio’; l’art. 36 dice: ‘L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi di accordo tra la Santa Sede e lo Stato’; l’art. 40 afferma: ‘Le lauree in sacra teologia date dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede saranno riconosciute dallo Stato Italiano. Saranno parimenti riconosciuti i diplomi, che si conseguono nelle scuole di paleografia, archivistica e diplomatica documentaria erette presso la biblioteca e l’archivio nella Città del Vaticano’.

Oltre a tutto ciò lo Stato italiano si obbligò a dare parecchio denaro al Vaticano, nella Convenzione Finanziaria si legge all’art. 1 che ‘l’Italia si obbliga a versare, allo scambio delle ratifiche del Trattato, alla Santa Sede la somma di lire italiane 750.000.000 (settecentocinquanta milioni) ed a consegnare contemporaneamente alla medesima tanto consolidato italiano 5 per cento al portatore (col cupone scadente al 30 giugno p.v) del valore nominale di lire italiane 1.000.000.000 (un miliardo)’.[79]

Ma cosa ottenne lo Stato italiano dalla chiesa cattolica romana in cambio di tutti i favori e privilegi concessigli (si tenga presente che non li ho citati tutti)? Questi, che troviamo negli art. 12, 19, 20, 21 e 43 del Concordato. L’art. 12 afferma: ‘Nelle Domeniche e nelle feste di precetto, nelle Chiese in cui officia un Capitolo, il celebrante la Messa Conventuale canterà, secondo le norme della sacra liturgia, una preghiera per la prosperità del Re d’Italia e dello Stato italiano’; l’art. 19 che ‘prima di procedere alla nomina di un Arcivescovo o di un Vescovo diocesano o di un coadiutore cum jure successionis, la Santa Sede comunicherà il nome della persona prescelta al Governo italiano per assicurarsi che il medesimo non abbia ragioni di carattere politico da sollevare contro la nomina. Le pratiche relative si svolgeranno con la maggiore possibile sollecitudine e con ogni riservatezza, in modo che sia mantenuto il segreto sulla persona prescelta, finché non avvenga la nomina della medesima’; l’art. 20 dice: ‘I vescovi, prima di prendere possesso della loro diocesi, prestano nelle mani del Capo dello Stato un giuramento di fedeltà…’; l’art. 21 dice: ‘Le nomine degl’investiti dei benefici parrocchiali sono dall’autorità ecclesiastica competente comunicate riservatamente al Governo italiano e non possono avere corso prima che siano passati trenta giorni dalla comunicazione. In questo termine, il Governo italiano, ove gravi ragioni si oppongano alla nomina, può manifestarle riservatamente all’autorità ecclesiastica, la quale, permanendo il dissenso, deferirà il caso alla Santa Sede’; l’art. 43 infine afferma: ‘Lo Stato italiano riconosce le organizzazioni dipendenti dall’Azione Cattolica Italiana, in quanto esse, siccome la Santa Sede ha disposto, svolgano la loro attività al di fuori di ogni partito politico e sotto l’immediata dipendenza della gerarchia della Chiesa per la diffusione e l’attuazione dei principi cattolici. La Santa Sede prende occasione della stipulazione del presente Concordato per rinnovare a tutti gli ecclesiastici e religiosi d’Italia il divieto di iscriversi e militare in qualsiasi partito politico’.[80]

Pio XI espresse la sua soddisfazione per il Concordato il 13 febbraio 1929 parlando ai professori e agli allievi dell’Università cattolica del Sacro Cuore in questi termini: ‘E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale… E con la grazia di Dio, con molta pazienza, con molto lavoro, con l’incontro di molti e abili assecondamenti, siamo riusciti ‘per medium profundum’ a concludere un Concordato, che se non è il migliore di quanti ce ne possano essere, è certo tra i migliori’.[81]

Il 18 febbraio del 1984 la ‘Santa Sede’ e la Repubblica Italiana hanno firmato un Nuovo Concordato che ha apportato delle modifiche al Concordato Lateranense. La prima differenza che si nota in questo nuovo Concordato è che a differenza del precedente questo non porta in testa la dicitura ‘In nome della Santissima Trinità’. Un altra differenza la si nota nel primo punto del protocollo addizionale secondo cui ‘si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano’.[82] Per cui uno è ‘libero’ (quantunque lo Stato italiano continuerà ad assicurare l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado) a scuola di avvalersi o meno dell’insegnamento cattolico. L’art. 9 afferma infatti che ‘nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento’.[83]

Per quanto riguarda le facilitazioni fiscali si legge nell’art. 7 che ‘agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione’ (n.3), ma anche che ‘le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime’ (n.3).[84]

Anche a proposito del matrimonio in questo nuovo Concordato si nota qualche differenza infatti l’art. 8 dopo avere affermato che ‘sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale’ afferma: ‘La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà aver luogo: a) quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione; b) quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile’. Quanto poi alle sentenze di nullità pronunciate dai tribunali ecclesiastici esse sono equiparate a sentenze straniere, quindi viene introdotto l’istituto della deliberazione.

 


[1] Badate che con questo non si vuole dire che il papato non sia sorto per volere di Dio perché essendo uno Stato come tanti altri è Dio che lo ha fatto sorgere: su questo non c’è il minimo dubbio. Ma vogliamo solo dire che il papato non è la Chiesa che Dio ha edificato sul fondamento degli apostoli e dei profeti essendo lui stesso la pietra angolare, e quindi non ha nessun diritto di dire che le sue origini risalgono a Cristo quando egli disse a Pietro: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa…”. Quindi noi non neghiamo che esso sia uno Stato, ma neghiamo nella maniera più categorica che esso sia il risultato naturale, spontaneo e giusto delle suddette parole del Signore a Simon Pietro. Il papato non ha nulla a che fare con il Vangelo, come la zizzania non ha nulla a che fare con il grano.

[2] A Vittore si oppose pure Ireneo, vescovo di Lione. Bisogna dire però che lo stesso Ireneo con alcune sue parole ha contribuito alla nascita del primato del vescovo di Roma su tutta la Chiesa, infatti egli disse: ‘Ma poiché sarebbe troppo a lungo in quest’opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli Apostoli e la fede annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi confondiamo tutti coloro che in qualunque modo, o per infatuazione o per vanagloria o per cecità e per errore di pensiero, si riuniscono oltre quello che è giusto. Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d’accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte – essa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la tradizione che viene dagli Apostoli’ (Ireneo, Contro le eresie, Milano 1981, Libro III, pag. 218). Nonostante questa opposizione ricevuta da Vittore, i teologi cattolici persistono nell’affermare l’origine divina del primato del vescovo di Roma. Uno scrittore ha detto per esempio che la supremazia del vescovo di Roma in quel tempo era ‘sentita ma non definita’, un altro dice che ‘Roma fin dalla fine del II secolo si dimostra cosciente d’una missione ch’essa adempie con una dirittura ed una fermezza di procedimento davvero sorprendenti!’. Ciance, solo ciance.

[3] Tertulliano, De pudicitia 21

[4] Quella evocata da Stefano.

[5] Lettera 71, III. 1. Anche nel caso di Cipriano però, come in quello di Ireneo, va detto che benché in questa occasione si oppose al vescovo di Roma, con delle sue parole egli contribuì a far sorgere il primato del vescovo di Roma su tutta la Chiesa. Perché egli sosteneva che tra tutte le chiese quella di Roma avesse una qualche superiorità su tutte le altre. Per esempio a Cornelio, parlando degli scismatici cartaginesi, scrisse: ‘Dopo tutto questo, creatisi addirittura uno pseudovescovo, osano imbarcarsi e portare alla cattedra di Pietro e alla Chiesa principale, da cui è sorta l’unità sacerdotale, delle lettere da parte di scismatici e profani’ (Lettera 59, 14). In altri passi comunque Cipriano sembra escludere che per lui il vescovo di Roma avesse un primato di giurisdizione sulla Chiesa universale infatti dice: ‘Noi non facciamo violenza ad alcuno, né stabiliamo una legge, dal momento che nel governo della Chiesa ogni vescovo è padrone delle proprie decisioni, pronto a rendere conto delle proprie azioni al Signore (Lettera 72, 3) ed ancora ‘Ogni vescovo è libero di esercitare il suo potere come meglio crede, e non può essere giudicato da un altro, né giudicare egli stesso un altro..’.
Anche Firmiliano, vescovo di Cesarea di Cappadocia (dal 230 a dopo il 268), si oppose a Stefano perché non riteneva valido il battesimo degli eretici. In una sua lettera a Cipriano scrisse parole dure contro Stefano, come per esempio: ‘Come Giuda: il perfido tradimento consumato empiamente contro il Salvatore non può permettergli di presentarsi – neppure apparentemente – come promotore dei frutti copiosi maturati dalla passione del Signore, dalla quale ha origine la liberazione del mondo e dei popoli. Ma sorvoliamo, intanto, sul contegno di Stefano, per evitare il pericolo, che mentre indugiamo nel ricordo della sua temerarietà ed insolenza, troppo a lungo perduri in noi la mestizia causata dal suo sconveniente modo d’agire (…) E’ quanto, invece, ha ora osato consumare Stefano con l’iniziativa di rompere con voi la pace, che sempre, con amore e rispetto vicendevoli, i suoi predecessori hanno salvaguardato nei nostri riguardi. Peggio: ha denigrato i beati apostoli Pietro e Paolo, come se a trasmettergli quelle norme fossero stati essi, che al contrario nelle loro lettere aborriscono gli eretici e ci danno ammonizioni, perché ce ne teniamo lontani. Se ne può trarre l’evidente conclusione che è tradizione d’origine umana quella che favorisce gli eretici, sostenendo a forza che essi posseggono il battesimo, che non può appartenere invece – e in modo del tutto esclusivo – che alla Chiesa (…) A questo punto, doveroso sdegno mi coglie di fronte all’evidente e tangibile follia di Stefano, soprattutto perché – mentre va tronfio della preminenza della sua sede episcopale e rivendica il possesso della successione di Pietro, sul quale poggiano le fondamenta della Chiesa – non si perita d’intromettere una gran quantità di altre pietre e di gettare così, di fresco, il basamento di altre chiese, con il corredare del sostegno della sua autorità l’esistenza d’un battesimo presso gli eretici (..) Stefano che pure si vanta d’occupare per diritto di successione la cattedra di Pietro, non è affatto stimolato da zelo nella sua azione di fronte agli eretici…’ (Cipriano, Le lettere, Ventimiglia 1979, pag. 494, 498-499, 510).

[6] Gli Gnostici (da non confondere con gli agnostici che sono quelli che dicono che Dio non si può conoscere) che prendevano il nome dalla parola greca gnosis che significa ‘conoscenza’ erano suddivisi in diversi gruppi e raggiunsero la loro massima diffusione verso la metà del secondo secolo. Per loro la materia si identificava con il male e lo spirito con il bene, per cui Dio non poteva essere il creatore di questo mondo materiale. Il creatore del mondo materiale non era per essi l’Iddio buono di cui parla il Nuovo Testamento ma l’Iddio dell’Antico Testamento, che essi chiamavano demiurgo e detestavano, e che per loro era una emanazione dell’alto dio dello gnosticismo (in altre parole per loro l’Iddio del Nuovo Testamento era un Dio totalmente diverso da quello dell’Antico). Per quanto riguarda Cristo essi affermavano che dato che la materia era il male e lui era assoluto bene spirituale egli non poteva rivestire un corpo umano; egli non poteva unirsi alla materia. Per loro quindi il Cristo entrò nel corpo di Gesù solo per il periodo che intercorse tra il suo battesimo e l’inizio della sua sofferenza sulla croce, lasciando morire sulla croce l’uomo Gesù. In altre parole per loro Gesù non era il Cristo. Per loro poi questo cristo che dimorò in Gesù per un po’ di tempo avrebbe insegnato una speciale gnosi o conoscenza che avrebbe aiutato l’uomo a salvarsi mediante un processo intellettuale. Tra gli Gnostici a Roma si diffusero molto i seguaci di un certo Marcione, natio del Ponto.

[7] Uno scrittore cattolico a proposito di questa lettera arriva a dire: ‘E’ il primo testo che in pratica affermi la superiorità del vescovo di Roma su tutte le Chiese sparse nel mondo’.

[8] Matt. 16:18-19. A questo passo poi furono aggiunti anche quello che dice: “Quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli” (Luca 22:32) e quello che dice: “Pasci le mie pecore” (Giov. 21:17).

[9] I Cristiani vennero perseguitati sotto Nerone (54-68) il quale accusò i Cristiani di Roma di avere causato l’incendio che poi distrusse parte della città e servendosi di questo motivo ne fece morire parecchi, tra cui alcuni bruciandoli vivi. La tradizione dice che fu sotto il suo regno che morirono martiri in Roma sia l’apostolo Paolo che l’apostolo Pietro. Ci furono persecuzioni contro i Cristiani anche sotto Domiziano (81-96): sotto il suo impero la tradizione dice che Giovanni fu esiliato sull’isola di Patmo (dove scrisse il libro dell’Apocalisse). Sotto Settimio Severo (193-211); sotto Massimino (235-238); sotto Decio (249-251) che ordinò ai Cristiani di sacrificare agli dèi e molti avendo rifiutato di ubbidire furono messi a morte; sotto Valeriano (253-260); sotto Diocleziano (284-305) che vietò ai Cristiani di riunirsi e ordinò la distruzione dei loro luoghi di culto e degli Scritti sacri, ordinò la deposizione e l’arresto dei vescovi che persistevano a testimoniare del Vangelo. I Cristiani vennero puniti con la perdita delle proprietà, con l’esilio, la prigione, con l’esecuzione per mezzo della spada o delle fiere, e con i lavori forzati.

[10] Fu lui – secondo quanto ci viene detto -, per esaudire i desideri del vescovo di Roma Silvestro I, a costruire (sopra la tomba dell’apostolo Pietro, dicono) l’antichissima basilica di San Pietro qui a Roma, basilica che poi nel corso del tempo sarebbe stata abbellita da re e papi e ricostruita a partire dal sedicesimo secolo per opera di Giulio II, ricostruzione che fu terminata nella sua interezza verso la fine del diciottesimo secolo. La Fabbrica nel suo complesso era costata fino ad allora la somma di circa 46.800.000 scudi. Altre basiliche fatte costruire dall’imperatore qui a Roma sono queste: la basilica di S. Paolo che sarebbe stata fatta costruire da Costantino dietro richiesta di Silvestro I; quella di S. Croce in Gerusalemme dietro quella di sua madre (in questa basilica sua madre avrebbe riposto un pezzo della vera croce di Cristo da lei stessa ritrovata in terra santa); e quella Lateranense a cui regalò statue d’oro e d’argento, candelabri e vasellame di ogni tipo.

[11] Viene detto da molti che Costantino diventò un cristiano. Le sue opere però non confermano questo. Sappiamo infatti che fece uccidere sua moglie, un suo figlio, e fece costruire magnifici templi pagani in Costantinopoli, mantenne il titolo di Pontifex Maximus (Pontefice Massimo) della religione romana e non smise di offrire il culto al dio sole.

[12] Costantino diede al vescovo di Roma anche il palazzo del Laterano, proprietà personale dell’imperatrice Fausta; questo palazzo sarà la dimora dei papi per tutto il Medio Evo.

[13] Anche sotto altri imperatori i Donatisti furono perseguitati. Successe allora che venne a formarsi una classe di gente che simpatizzava con i Donatisti i quali furono chiamati circumcellions perché vaganti attorno alle capanne dei contadini. Costoro si diedero a vendicarsi di tutti coloro che attaccavano i Donatisti e molti caddero loro vittime. I Donatisti più moderati rifiutarono di allearsi con loro e di approvare le loro inique opere; ma altri cercarono il loro aiuto.

[14] Ario sosteneva che Dio non fu sempre Padre perché il Figlio non sempre fu. In altre parole egli negava che Gesù fosse Dio nella stessa maniera in cui lo era il Padre suo. Il concilio di Nicea oltre che a condannare l’eresia ariana decise che d’ora innanzi la Pasqua doveva essere celebrata nella stessa data da tutta la Chiesa; gli Orientali dovettero accettare così la posizione dei Romani.

[15] L’ingerenza negli affari civili della città e nelle vicende politiche da parte del vescovo di Roma farà esclamare in seguito a Gregorio Magno: ‘Chi è quivi pastore spirituale, è talmente caricato di cure per cose esterne, che non si sa spesso, se egli copra l’ufficio d’un pastore spirituale ovvero quello d’un Grande della terra’.

[16] E’ chiaro che non si può dire che tutti i credenti di allora si mostrarono d’accordo con coloro che permisero all’imperatore di immischiarsi nelle cose spirituali, come anche non tutti furono d’accordo che la Chiesa si servisse dell’autorità civile per convertire gli increduli e gli eretici. E questo lo diciamo perché sappiamo che Dio ha avuto sempre un residuo di uomini e donne anche nei tempi più tenebrosi che si è mantenuto attaccato alla sua Parola. Un po’ come oggi insomma; molte chiese si sono alleate con lo Stato, ma non tutti i credenti sono d’accordo con coloro che hanno contratto questa alleanza.

[17] Atanasio subì durante la sua vita ben cinque esili a motivo della sua posizione antiariana e questo perché quando in quegli anni saliva al potere un imperatore che si mostrava a favore della dottrina di Ario costui faceva sì che quei vescovi che si opponevano ad Ario fossero esiliati. Dimostrazione questa che quando l’autorità temporale viene fatta entrare nella Chiesa e gli si permette di dettare legge in materia di dottrina (o in altre parole quando la Chiesa si allea con lo Stato), può costringere la maggioranza in una maniera o nell’altra (in cambio di favori) ad accettare anche delle eresie perché ha la forza materiale di farlo e punire coloro che non si vorranno sottomettere ad essa.

[18] Per antipapa i teologi papisti intendono chiunque abbia assunto il nome di pontefice e abbia esercitato o preteso di esercitare le funzioni senza fondamento canonico. L’antipapa può essere dunque sia un papa eletto in maniera non canonica, dopo la morte o la deposizione di un pontefice regolare, sia un concorrente designato in condizioni dubbie a fronte di un papa regolarmente eletto, o ancora un intruso che con la forza si sia imposto durante il pontificato. Ora, Felice, che era anche lui ariano, è considerato un antipapa ma ciò non può corrispondere a verità perché la sua elezione era stata regolare. E’ chiara la ragione; bisognava scegliere chi mettere tra i due nella lista dei legittimi papi perché tutti e due non ci potevano stare avendo ricoperto l’ufficio di vescovo di quella città nello stesso tempo, e si è finiti con lo scegliere il vecchio ed escludere il nuovo. C’è poi chi afferma, per giustificare gli avvenimenti, che Felice faceva il vicario di Liberio in sua assenza. Ma anche questo non è vero perché Felice fu dall’imperatore, dal clero e dal popolo eletto veramente vescovo di Roma.

[19] Setta che prese il nome da un certo Mani o Manicheo (216 ca. – 267) proveniente dalla Mesopotamia. Secondo costoro l’anima teneva l’uomo legato al regno della luce, ma il suo corpo lo teneva schiavo del regno delle tenebre. La salvezza avveniva con la liberazione della luce esistente nella sua anima dalla schiavitù nei confronti della materia del corpo. Questa liberazione poteva essere raggiunta per mezzo dell’esposizione alla luce, Cristo. Tra i Manichei c’era una casta sacerdotale chiamati i perfetti che vivevano una vita ascetica ed eseguivano alcuni riti essenziali per l’emanazione della luce. Gli uditori o ascoltatori divenivano partecipi della santità di questo gruppo eletto provvedendo ai loro bisogni materiali, partecipando così anche alla salvezza. Nella setta veniva esaltata la superiorità del celibato.

[20] Si tenga presente che due anni prima, vale a dire nel 449, c’era stato un altro concilio convocato ad Efeso dall’imperatore Teodosio II il quale simpatizzava per Eutiche; questo concilio, in cui ci furono scene di violenza, approvò l’eresia di Eutiche. Fu definito il ‘brigantaggio di Efeso’. A questo concilio parteciparono pure i legati del vescovo di Roma che furono minacciati; esso è un esempio che mostra in maniera palese per l’ennesima volta come le decisioni dei concili erano influenzate dagli imperatori.

[21] In un libro di storia della Chiesa scritto da parte cattolica a proposito di questa decisione presa a Calcedonia si legge: ‘Il concilio di Calcedonia non intendeva negare il primato del papa, ma riteneva che questo primato della sede apostolica fosse fondato sulla funzione politica di Roma capitale; in ciò stava l’errore. I papi fecero sempre poggiare il principio del loro primato sulla venuta di san Pietro a Roma e sulla loro dignità di successori di Pietro’. Questo fa capire che la curia romana per sostenere il primato spirituale del papa si basa principalmente sulla venuta di Pietro a Roma e sulla cosiddetta successione apostolica secondo cui Pietro avrebbe lasciato ad un successore la sua presunta autorità spirituale su tutta la Chiesa che avrebbe ricevuto da Cristo. Essa non accetta che si dica che il primato del vescovo di Roma inizialmente era inesistente perché fu il risultato naturale di certe condizioni e certi avvenimenti storici che si verificarono nei primi secoli dopo Cristo, perché questo significherebbe negare ‘l’installazione divina’ del primato del papa.

[22] Noi sappiamo dalle Scritture che una delle maniere in cui Dio punisce i popoli è quella di chiamare gli eserciti stranieri contro di essi. Per cui siamo persuasi che fu Dio a chiamare i barbari contro l’impero Romano per abbatterlo; impero che non ci si deve mai dimenticare aveva durante i secoli devastato tante nazioni e città e massacrato tante persone, e che a differenti riprese aveva perseguitato i Cristiani a motivo della loro fede. “Come hai fatto, così ti sarà fatto” (Abdia 15) dice Dio.

[23] E’ la raccolta delle biografie dei vescovi di Roma ‘da Pietro’ a Pio II.

[24] I Montanisti erano i seguaci di un certo Montano e comparvero in Frigia dal 135 circa al 160. Montano si reputava il paracleto o avvocato attraverso cui lo Spirito Santo parlava alla Chiesa. Egli sosteneva anche che il regno celeste di Cristo sarebbe stato presto stabilito a Pepuza in Frigia e lui vi avrebbe occupato un posto preminente. Alla morte di uno dei coniugi era vietato all’altro di passare a nuove nozze, si dovevano osservare molti digiuni e mangiare cibi secchi. Tertulliano (160 ca. – 220 ca.), considerato uno dei più grandi padri della Chiesa, aderì al montanismo.

[25] Il termine indicava gli scritti di Teodoro di Mopsuestia e Teodoreto di Ciro, e una lettera di Ibas di Edessa. Questo editto in realtà contrastava il concilio di Calcedonia che aveva riconosciuto ortodossi (di retta dottrina) sia Teodoreto che Ibas.

[26] Questo spiega il perché il patriarca di Costantinopoli non poté divenire il capo di uno Stato come il vescovo di Roma, perché l’imperatore lo teneva sotto diretto controllo.

[27] Epist. XIII, 31

[28] La parola iconoclasta significa letteralmente ‘spezzatore di icone o di immagini sacre, dipinte o scolpite, raffiguranti Gesù Cristo, Maria e i santi’. Sono chiamati iconoclasti coloro che riprovano il culto delle cosiddette immagini e statue sacre definendolo idolatria e distruggono le statue e le immagini. Costoro sono anche chiamati iconomachi o nemici delle immagini.

[29] A proposito di questo re va detto che poco tempo prima aveva ricevuto un ‘favore’ dal papa Zaccaria (741-752). Era successo infatti che il ‘maestro di palazzo’ Pipino stava in dubbio se potesse o no venire meno al giuramento di fedeltà fatto al suo re Childerico III, detronizzarlo e diventare lui stesso sovrano. Che fece allora? Nel 751 decise di affidare la questione ad un concilio e mandò a Roma un vescovo ed un abate per chiedere al papa, la cui autorità morale e religiosa era considerata incontestabile, se fosse possibile l’annullamento di un sacro giuramento fatto ad un re. Zaccaria, che in quei giorni aveva bisogno dell’aiuto dei Franchi contro i Longobardi che minacciavano Roma, rispose che Pipino fosse incoronato re; in altre parole dichiarò nullo un giuramento per assicurare al papato la protezione militare del re franco. E così Childerico III finì in un monastero e Pipino il Breve venne incoronato da un vescovo tra la fine del 751 e gli inizi del 752. Zaccaria aveva così concesso questo grande favore a Pipino. Ma Zaccaria non poté beneficiare del contraccambio del re franco perché morì subito dopo la sua incoronazione.

[30] E’ evidente che se di restituzione alla sede di Roma si poteva parlare per un certo numero di territori conquistati da Astolfo, certamente per molti altri il termine restituzione non si poteva usare perché in realtà erano territori che non erano affatto proprietà della chiesa di Roma ma di altri. Per esempio l’Esarcato di Ravenna e la Pentapoli che Astolfo aveva conquistato appartenevano all’imperatore. Ma Stefano appoggiandosi sulla Donazione di Costantino si sentì autorizzato a chiedere anche questi non curandosi affatto che con quel suo gesto lui si impossessava di territori di altri.

[31] Come contraccambio per il favore che il suo predecessore Zaccaria gli aveva fatto.

[32] Facciamo notare che nel frattempo si erano presentati a Roma alcuni legati dell’imperatore Costantino V che inoltrarono a Pipino la richiesta da parte del loro sovrano di rientrare in possesso dei territori bizantini da lui riconquistati. Al che Pipino rispose loro che aveva compiuto due spedizioni in Italia alla riconquista di quei territori per amore di San Pietro, al quale appartenevano, e per la salvezza della propria anima. E precisò che non sarebbero bastati tutti i tesori del mondo per indurlo a tradire la parola data a S. Pietro e ribadì la sua intenzione di consegnare tutti i territori al papa. Per quanto riguarda i territori consegnati al papa, oltre all’Esarcato il Liber Pontificalis li elenca per città: Ravenna, Rimini, Pesaro, Cesena, Cattolica, Fano, Senigallia, Jesi, Forlimpopoli, Forlì, Castrocaro, Montefeltro, Arcena, Monte di Lucaro, Serra dei Conti, Castello di S. Marino, Sarsina, Urbino, Cagli, Canziano, Gubbio, Comacchio, Narni, Roma e il territorio circostante.

[33] Gregorovius, storico tedesco, a proposito della nascita di questo Stato affermò: ‘Con la fondazione di tale stato, cessò il periodo della storia puramente vescovile e sacerdotale e si chiuse l’epoca più bella e gloriosa della Chiesa romana. Essa diventò cosa mondana e i pontefici che, contro la legge del Vangelo e delle dottrine di Cristo, associarono il sacerdozio al principato, non poterono dappoi serbarsi alla pura missione di vescovi apostolici. La loro duplice natura, contraddizione in se medesima, li trascinò ognor più al basso, in mezzo all’agitazione delle ambiziose arti politiche, laonde eglino, per necessità, furono tratti a lotte depravatrici, affine di mantenersi nel possesso dei loro titoli temporali; furono costretti a discendere a guerre civili interne contro la città di Roma e a lotte continue contro le potestà politiche’ (Gregorovius, La Storia della città di Roma nel Medioevo, Roma 1900, vol. I, pag. 546).

[34] Questo Formoso quando era ancora vescovo di Porto era stato secondo alcuni il capo, secondo altri aveva avuto parte nella cospirazione conosciuta sotto il nome di congiura di Gregorio il Nomenclatore, congiura che aveva niente di meno lo scopo di consegnare Roma ai Saraceni. Scoperta la congiura papa Giovanni VIII (872-882) scomunicò Formoso e lo depose; ma il suo successore Marino I (882-884) lo aveva riabilitato restituendogli il vescovado. Da papa (891-896) si era reso colpevole di avere rinnegato la casa di Spoleto invocando a tradimento in Italia un re barbaro. Per questo atto si era attirato un forte odio da parte degli spoletini; Stefano era stato eletto papa appunto dal partito degli spoletini. Da qui il macabro atto di Stefano VI.

[35] Il cardinale Baronio nei suoi Annali ecclesiastici entrando a parlare del papato del decimo secolo in una specie di prefazione afferma: ‘Sono cose che superano ogni immaginazione quelle che ha dovuto soffrire la Chiesa in questo secolo. Nessuno può immaginare quante indegnità, quante turpitudini, quante deformità, esecrazioni, ed abominazioni, sia stata costretta soffrire la S. Sede apostolica (…) In quella santa Sede furono intrusi dei mostri, dai quali sono venuti mali infiniti, e si sono compiute sanguinose tragedie; e così essa che era immacolata fu ricoperta di ogni lordura, e denigrata con infamia perpetua’. Ed è un Cattolico che ha detto queste cose.

[36] L’arcivescovo Genebrardo (1537-1597), adulatore dei papi, nella sua cronaca, all’anno 904 dice: ‘Per lo spazio di circa 150 anni, vi furono 50 papi, incominciando da Giovanni VIII fino a Leone IX, che per primo fu da Dio chiamato come un nuovo Aronne, e richiamò dal cielo nella sede apostolica l’antica integrità; ma i papi fino a lui avevano interamente abbandonate le virtù dei maggiori, e debbono essere chiamati piuttosto apostati che apostoli’. Elfrico, arcivescovo di Canterbury, parlando della situazione della curia romana nel decimo secolo si lamenta che: ‘In quei giorni vi era una trascuratezza orribile nell’ordine dei preti e dei vescovi, che dovevano essere le colonne della Chiesa; ch’essi non si curavano né di leggere la Scrittura sacra, né d’istruire discepoli per farne i loro successori; che quei preti e vescovi erano attaccati agli onori mondani, alla concupiscenza e all’avarizia più dei laici, dando cattivi esempi al loro gregge, e non osando parlare della giustizia, perché essi non l’amavano e non la seguivano’ (Serm. ad Sacerd. m. s. m. bibl. collect. Bened. Cantab.).

[37] Il cardinal Baronio all’anno 912 afferma: ‘Quale era allora la faccia della Chiesa romana! Oh quanto essa era orribile! Le cortigiane le più infami, ma potenti, dominavano in Roma, ed a loro piacere si distribuivano i vescovati, si traslocavano i vescovi; e, quello che è più orribile a dirsi, sulla sede di Pietro, erano da esse intrusi i loro amanti, falsi papi, i quali non debbono essere registrati che per la cronologia. Imperciocchè chi potrà credere che siano stati legittimi papi, coloro che senza alcuna legge sono stati intrusi da cotali empie femmine? Giammai nella elezione di quei falsi papi si parla del clero che elegge, o acconsente almeno alla elezione: tutti i canoni erano costretti a tacere; i decreti dei papi precedenti erano soffocati, le antiche tradizioni proscritte, le consuetudini, avvalorate coll’uso nella elezione dei papi, ed i sacri riti interamente tolti. La libidine aveva preso il luogo di tutto…’. Stando così le cose, vorremmo domandare a questo punto ai difensori del papato: ‘E la successione apostolica di cui tanto parlate che fine fece in quel tempo? Dov’era?’.

[38] Dictatus Papae; citato da Fausto Salvoni in Da Pietro al Papato, pag. 305-306

[39] E a motivo di questa legge molte donne, vistesi separate con la forza dai loro mariti, dal dolore si suicidarono. Un gruppo di vescovi che si riunì a Pavia nel 1076 scomunicò il papa per avere separato i mariti dalle mogli.

[40] Il papa non lo farà entrare subito nel castello ma lo farà stare tre giorni e tre notti sotto la neve, al freddo.

[41] Per quanto riguarda la tanto dibattuta questione delle investiture il papato arriverà ad un accordo con l’imperatore nel 1122 a Worms. Nell’accordo si stabiliva che l’investitura del potere spirituale del vescovo col pastorale e l’anello spettava esclusivamente al papa; all’imperatore spettava invece l’investitura feudale. In Germania quest’ultima precedeva la consacrazione episcopale, al contrario che in Italia, dove il vescovo doveva essere prima consacrato. Inoltre veniva consentito all’imperatore di essere presente all’elezione episcopale.

[42] Citato da Fausto Salvoni in op. cit., pag. 310

[43] Ger. 1:10

[44] I comportamenti di Gregorio VII e di Innocenzo III sono una manifestazione dell’arroganza dei papi che pensavano di avere il diritto divino di deporre i re della terra quando gli pareva e di ‘sciogliere’ i loro sudditi dal giuramento di fedeltà nei loro confronti suscitando così tumulti nelle loro nazioni. Questo modo di considerare i loro comportamenti è stato però condannato da Pio IX che nel suo Sillabo del 1864 ha dichiarato che è errato affermare che ‘i Romani pontefici (…) si scostarono dai limiti della loro potestà, usurpando i diritti dei Principi…’ (XXIII). Anche lui fu arrogante come lo furono i suoi predecessori; basta considerare che fu lui a far proclamare il dogma dell’infallibilità papale.

[45] Vedi la parte dove ho parlato dell’Inquisizione.

[46] Ludovico Von Pastor, Storia dei papi, Roma 1910, vol. I, pag. 84-85, 87

[47] Ludovico Von Pastor, op. cit., pag. 152

[48] Ibid., pag. 177

[49] Concilio di Costanza, Sess. XII

[50] Ludovico Von Pastor, op. cit., pag. 209-210

[51] Ludovico Von Pastor, op. cit., Roma 1911, vol. II, pag. 612, 621

[52] Ludovico Von Pastor, op. cit., pag. 513

[53] Ludovico Von Pastor, op. cit., Roma 1908, vol. IV, pag. 380, 381, 382, 385, 386.

[54] A proposito delle meretrici presenti in Roma va detto che Leone si mostrò molto tollerante nei loro confronti, anzi compiacente, e questo sempre per amore di denaro. Ecco infatti cosa dichiarò questo papa: ‘Noi, di nostra piena conoscenza, impulso, e pienezza di potere, decretiamo che, per sostenere siffatti oneri, tutti e singoli beni, e spoglie dei Curiali e delle meretrici – guadagnati illecitamente, vivendo nella nostra Roma, fuori del vincolo matrimoniale, e che muoiono senza facoltà di poter fare testamento in qualsiasi abitazione, siano adibiti per medesimo monastero, e per la loro Congregazione, e per le Suore pro tempore ivi esistenti; e, in virtù della surriferita autorità, moto e scienza, applichiamo, ed incorporiamo detti beni, e decretiamo applicati ed incorporati, ora e in avvenire, escluso qualsiasi caso in contrario possa avvenire. Però, se essi Curiali e donne disoneste volessero lasciare, legare, o donare al suddetto monastero, convento, e monache, per sopperire ai loro oneri, la quarta, o la quinta parte dei loro beni, siano mobili, o immobili, od altro qualsiasi, noi allora concediamo loro facoltà di potere fare testamenti intorno agli altri loro beni di qualunque qualità, quantità e valore si siano, e disporre di essi liberamente e lecitamente sin da ora, e per l’avvenire, e ciò per la surriferita autorità, moto, scienza e pienezza di potere’ (Bolla Salvator noster).

[55] Coloro che si rifacevano agli insegnamenti di Pietro Valdo, ricco mercante di Lione convertitosi verso il 1176. Vedi la parte dove ho parlato delle loro origini e delle persecuzioni da essi subite.

[56] Coloro che si rifacevano agli insegnamenti di Giovanni Wycliffe.

[57] Coloro che si rifacevano agli insegnamenti di Giovanni Huss.

[58] Ecco cosa dirà Lutero: ‘Io fui un buon monaco ed osservai la disciplina del mio ordine così rigorosamente da poter dire che, se mai un monaco avesse potuto andare in cielo per la sua disciplina monastica, quello ero io. Tutti i frati del monastero lo possono confermare (…) Tuttavia la mia coscienza non mi dava la certezza, anzi, dubitavo continuamente e mi dicevo. ‘Questo non l’hai fatto bene. Non eri abbastanza contrito. Quest’altro non l’hai confessato’. Quanto più mi sforzavo di guarire con tradizioni umane questa mia coscienza dubbiosa, incerta e turbata, tanto più la ritrovavo, giorno per giorno, più dubbiosa, più debole e più turbata’. Ed ancora: ‘Sono stato monaco per vent’anni e mi sono talmente mortificato con preghiere, digiuni, veglie, col non attribuire alcuna importanza all’inverno, al freddo, che da solo avrebbe potuto farmi morire; mi sono talmente torturato che per nulla al mondo vorrei ricominciare, quand’anche lo potessi. Se fossi rimasto in convento, per me sarebbe giunta ben presto la fine. Durante i quindici anni che sono stato monaco, mi stancavo a dir la messa tutti i giorni, mi sfinivo con i digiuni, le veglie, le preghiere e con altre pratiche estremamente penose. Dal mondo tutte queste pratiche esteriori degli ebrei, dei turchi, dei papisti sono osservate con la più grande serietà, ed anch’io sotto il papismo mi sarei ben guardato dal riderne o dal farne beffe. Ebbene, chi lo crederebbe? Tutto ciò è fatica sprecata… Chi avrebbe creduto che tutto questo era una perdita di tempo e che un giorno sarei giunto a dirmi: I miei vent’anni di vita monastica sono perduti? Al convento non ci sono stato che per perdere la mia anima, la mia vita eterna, la salute fisica… Con l’astinenza noi pensavamo, noi volevamo diventare tanto meritevoli da uguagliare il prezzo del sangue di Cristo ed io pure nella mia follia questo credevo. Non sapevo, allora, che Dio voleva che io avessi cura del mio corpo e che non confidassi nella temperanza. Io mi sarei ucciso coi digiuni, con le veglie e la resistenza al freddo. Nel cuore dell’inverno non portavo che un abito leggero, gelavo quasi, tanto ero pazzo e stolto. Perché in convento mi sono sottoposto alle austerità più dure? Perché mi sono afflitto il corpo con i digiuni, le veglie, il freddo? Perché io cercavo di giungere alla certezza che queste opere mi ottenevano il perdono dei peccati’.

[59] Vedi la parte dove ho parlato delle indulgenze per capire in che cosa esse consistono.

[60] Vi ricordo che una parte del ricavato della vendita delle indulgenze andava nelle casse papali e servivano alla ricostruzione della basilica di San Pietro. Leone X aveva infatti promulgato nel 1515 una indulgenza allo scopo di ricostruire in Roma la basilica di San Pietro. All’arcivescovo di Magonza, Alberto di Brandeburgo, fu affidata la predicazione di tale indulgenza per una parte della Germania. E Alberto delegò al domenicano Tetzel il compito di predicare l’indulgenza.

[61] Ecco alcune delle tesi che attestano questo: 26) Il papa fa benissimo, quando concede la remissione alle anime non per il potere delle chiavi (che non ha), ma a modo di suffragio. 27) Predicano l’uomo coloro che dicono: ‘Appena il soldino ha tintinnato nella cassa, un’anima se ne vola via’; 28) Quel che è certo, è che al tintinnio della moneta nella cassa può accrescersi il guadagno e l’avarizia; ma il suffragio della Chiesa dipende dal beneplacito di Dio solo; 47) Si deve insegnare ai cristiani che l’acquisto delle indulgenze è cosa libera, non di precetto; 49) Si deve insegnare ai cristiani, che i perdoni papali sono utili se non confidano in essi, ma estremamente nocivi se perdono per essi il timore di Dio; 50) Si deve insegnare ai cristiani, che se il papa conoscesse le estorsioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di San Pietro andasse in cenere, piuttosto che fosse edificata con la pelle, la carne e le ossa delle sue pecore; 54) Si fa offesa alla Parola di Dio, quando, in una stessa predica si dedica alle indulgenze un tempo eguale o maggiore che ad essa; 67) Le indulgenze, che i predicatori proclamano come le più grandi grazie, si capisce che sono veramente tali quanto al guadagno che promuovono; 81) Questa scandalosa predicazione delle indulgenze fa sì che non è facile neanche a dei dotti difendere la riverenza dovuta al papa dalle calunnie, o se si preferisce, dalle sottili obiezioni dei laici; 86) Perché il papa, le cui ricchezze sono oggi più crasse di quelle dei più ricchi Crassi non costruisce una sola basilica di San Pietro col suo danaro, invece che con quello dei poveri fedeli?
Comunque, bisogna riconoscere che le tesi di Lutero, prese e viste nella loro globalità, costituirono un attacco contro il papato e contro il suo potere di concedere indulgenze, e di questo si accorsero subito i teologi papisti del tempo e Leone X che cercarono subito di fermarlo perché vedevano nelle sue idee un qualcosa che poteva portare il popolo a disprezzare le indulgenze e mettersi contro il papato.

[62] Per esempio Lutero affermava che il pane ed il vino usati nella santa cena fossero veramente il corpo ed il sangue di Gesù Cristo (dottrina che è denominata consustanziazione), mentre Calvino negava ciò: una altra differenza dottrinale tra i due riformatori è quella sulle immagini, Lutero le ammetteva tanto è vero che nel suo Piccolo Catechismo nel commento ai dieci comandamenti egli escluse dalla lista dei comandamenti il secondo comandamento (la differenza con la lista dei comandamenti dei Cattolici è che il terzo comandamento è ‘Ricordati di santificare il giorno del Signore’ ed il sesto ‘Non commettere adulterio’, il nono ‘Non concupire la casa del prossimo tuo’ e il decimo ‘non concupire la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bestiame, né alcuna cosa gli appartenga’) mentre Calvino non accettava le immagini e le sculture e difatti nel suo Catechismo nel commento ai dieci comandamenti si trova il secondo comandamento così come lo diede Dio.

[63] Per questa posizione quella degli Anabattisti è stata denominata ‘Riforma radicale’, per contrapporla a quella propugnata dai Luterani e Calvinisti denominata ‘Riforma classica’. In effetti, gli Anabattisti in diverse cose, a differenza dei Luterani e dei Calvinisti, si mostrarono più attaccati alla Parola di Dio. E’ un dato di fatto. E per questo loro attaccamento alla Parola di Dio su quei punti su cui invece gli altri riformatori preferirono il compromesso saranno perseguitati persino da Lutero e Zwingli (1484-1531), per i quali la Chiesa doveva servirsi della forza per portare avanti la Riforma e proteggerla.

[64] Ecco l’origine di questo appellativo. Alla Dieta (riunione di Stato) di Spira (Germania) del 1526 i principi che avevano accettato la Riforma ottennero che fino a che fosse convocato un concilio il principe di ogni stato fosse libero di seguire quella che riteneva la giusta fede. Ma nella Dieta di Spira del 1529 questo diritto venne loro negato perché fu riconosciuta unica fede legalmente riconosciuta solo quella cattolica romana. Alcuni principi tedeschi allora protestarono e furono perciò chiamati protestanti. Appellativo che da quel momento sarà affibbiato a tutti coloro che si opporranno alla chiesa cattolica romana perché accetteranno la dottrina che l’uomo è giustificato soltanto per fede.

[65] Ludovico Von Pastor, op. cit., Roma 1914, vol. V, pag. 235

[66] Vedi la parte dove ho parlato più diffusamente di loro.

[67] Vedi la parte dove ho parlato più diffusamente dell’Inquisizione.

[68] Ludovico Von Pastor, op. cit., Roma 1922, vol. VI, pag. 46-47

[69] Ludovico Von Pastor, op. cit., pag. 487,488

[70] L’Indice verrà abolito nel 1965 da Paolo VI.

[71] Vedi la parte dove ho trattato le persecuzioni.

[72] Ludovico Von Pastor, op. cit., Roma 1933, vol. XVI, pag. 79, 80, 81

[73] Ecco come Gioacchino Ventura, un prelato cattolico francese, si espresse in una lettera datata 12 Giugno 1849 a riguardo di quei tragici avvenimenti causati dal ricorso all’aiuto francese da parte di Pio IX: ‘Caro amico e fratello. Vi scrivo con le lacrime agli occhi, ed il cuore spezzato per il dolore. Mentre scrivo queste linee, i soldati francesi bombardano Roma, distruggono i suoi monumenti, uccidono con la mitraglia i suoi cittadini, ed il sangue scorre a torrenti. Ruine si accumulano sopra ruine, e Dio sa quale sarà la fine di questa terribile lotta. (…) Il popolo vede che i Francesi a nome del papa fanno scorrere il sangue romano e distruggono la loro bella città. Il popolo vede che è il papa il quale ha sguinzagliato quattro potenze armate di tutti i mezzi di distruzione contro il popolo romano, come si sguinzagliano i mastini contro una bestia feroce; e, vedendo tali cose, egli non sente più nulla e si leva contro il papa e contro la Chiesa in nome della quale il papa proclama essere suo dovere riacquistare colla forza il dominio temporale’ (…) Ah! mio caro amico, l’idea di un vescovo che fa mitragliare i suoi diocesani, di un pastore che fa scannare le sue pecore, di un padre che manda sicari ai suoi figli, di un papa che vuol regnare ed imporsi a tre milioni di Cristiani per mezzo della forza, che vuole ristabilire il suo trono sulle ruine, sui cadaveri e sul sangue; quest’idea, dico, è così strana, così assurda, così scandalosa, così orribile, così contraria allo spirito ed alla lettera dell’Evangelo, che non vi è coscienza che non ne sia stomacata, non vi è fede che possa resistere ad essa, non vi è cuore che non ne frema, non vi è lingua che non si senta spinta a maledire, a bestemmiare! era mille volte meglio perdere tutto il temporale e il mondo intero se fosse bisognato, piuttosto che dare un tale scandalo al popolo (…) E’ probabile che Roma soccomba sotto l’attacco delle armi francesi: come difatti resistere alla Francia? E’ possibile che il papa rientri in Roma portando in mano la spada anziché la croce, preceduto dai soldati e seguito dal carnefice, come se Roma fosse la Mecca ed il Vangelo il Corano. Ma egli non regnerà più sul cuore dei Romani; sotto questo aspetto il suo regno è finito, finito per sempre; egli non sarà più papa che sopra un piccolo numero di fedeli…’. Il Ventura, per questa sua lettera, di cui ho citato solo pochi passaggi, fu costretto a stare in esilio a Montpelier e poi a Parigi e a perdere il cappello cardinalizio che gli era stato promesso.

[74] Vi faccio notare che questa umiliazione Dio la inflisse al papa proprio nell’anno in cui lui si fece dichiarare infallibile ex-cattedra: in verità “Dio resiste ai superbi” (1 Piet. 5:5).

[75] Quello che era chiamato lo Stato pontificio era un’area di circa 41.600 chilometri quadrati con circa 3 milioni di abitanti. E’ chiaro che venendogli a mancare questo Stato vennero a mancare al papa anche tante risorse finanziarie. Il papa rifiutò ogni indennità propostagli decidendo di poggiarsi sull’Obolo di S. Pietro. La chiesa cattolica fece allora distribuire alle sue parrocchie nel mondo, delle cartoline postali raffiguranti il papa giacente in un letto di paglia in una prigione sotterranea. E questo per stimolare i Cattolici a dare offerte al papa prigioniero dei ‘malvagi italiani’. E molti ci credettero che il papa vivesse nella più profonda miseria e una gran quantità di pfennings, pennies, scellini, ducati, talleri, pesos e dollari si riversarono nelle casse del Vaticano permettendogli di sovvenire alle sue spese.

[76] Il partito fascista di Benito Mussolini andò al potere con l’aiuto del Vaticano. Questo infatti aveva impedito in ogni maniera che il Partito Popolare fondato da Luigi Sturzo (un prete cattolico) nel 1919, partito che aveva in parlamento circa cento deputati e che era antifascista, si alleasse con i socialisti in maniera da formare un governo antifascista che impedisse la salita al potere del fascismo. Oltre a ciò il Vaticano in una circolare dell’ottobre del 1922 invitava i vescovi e i preti a rimanere neutrali nelle lotte politiche interne, il che andò a favore di Mussolini. A proposito di Luigi Sturzo va detto che fu costretto dal Vaticano a dare le dimissioni da segretario politico del Partito Popolare e poco dopo ad emigrare dall’Italia.

[77] Nella residenza di Castel Gandolfo, Wojtyla, con i soldi dei polacchi d’America, vi ha fatto costruire una piscina.

[78] Cinque di quelle festività furono soppresse nel 1977.

[79] Durante le trattative, un alto prelato, che si occupava delle finanze vaticane, disse a un suo confratello: ‘Questa volta bisogna che l’Italia paghi care le indulgenze’. I mezzi finanziari che lo Stato italiano diede al Vaticano costituirono il fondamento su cui venne costruito quell’impero finanziario che il Vaticano costituisce oggi. Il giorno stesso in cui l’accordo con Benito Mussolini fu ratificato Pio XI creò una nuova agenzia finanziaria, la Amministrazione Speciale della Santa Sede e ne nominò suo direttore e manager Bernardino Nogara. Costui accettò la proposta del papa perché il papa soddisfece le sue richieste tra cui c’erano queste: che tutti gli investimenti che egli scegliesse di fare fossero totalmente e completamente liberi da qualsiasi considerazioni religiose o dottrinali; che egli fosse libero di investire i fondi del Vaticano dovunque nel mondo. E così Nogara si mise in moto. Martin Malachi, Gesuita ex-professore al Pontificio Istituto Biblico di Roma, nel suo libro Rich Church, Poor Church (Chiesa Ricca, Chiesa Povera) edito nel 1984, dice: ‘Fedele ai suoi piani iniziali, i primi maggiori acquisti di Nogara in Italia furono attuati nel ramo del gas, dei tessili, nella costruzione pubblica e privata, nell’acciaio, nell’arredamento, negli alberghi, in prodotti minerari e metallurgici, prodotti dell’agricoltura, energia elettrica, armi, prodotti farmaceutici, cemento, carta, legname da costruzione, ceramica, pasta, ingegneria, ferrovie, navi passeggeri, telefoni, telecomunicazioni e banche’ (pag. 40). Prima dello scoppio della seconda guerra mondiale il Vaticano acquisì il controllo di molte compagnie e banche sia in Italia che all’estero e in molte altre compagnie invece riuscì ad avere una partecipazione minore ma sostanziale. Verso gli anni ‘30 il Vaticano possedeva circa 3 milioni e 716.000 metri quadrati di beni immobili a Roma, e col tempo sarebbe diventato il maggior proprietario terriero in Italia dopo lo stesso governo italiano. Quando Mussolini ebbe bisogno di armamenti per l’invasione dell’Etiopia nel 1935 una sostanziosa parte di essi fu provveduta da una fabbrica di munizioni che Nogara aveva acquisito in nome del Vaticano. Il 27 giugno 1942 Pio XII, su proposta di Nogara, fondò una nuova società finanziaria nel Vaticano chiamata Istituto per le Opere Religiose (IOR). La proposta di Nogara era stata questa: ‘Stabilire una società ecclesiastica centrale per la Chiesa Universale, una società dotata dello status di una banca all’interno dello Stato sovrano della Città del Vaticano e che avesse il vantaggio di appartenere al papato e al Vaticano; una società che si specializzasse nell’investire e nel negoziare i fondi e le risorse degli enti ecclesiastici della Chiesa intera’ (Martin Malachi, op. cit., pag. 43). Tramite lo IOR i vari organismi ecclesiastici erano in grado di investire il loro denaro in tutta segretezza ed esenti da tasse. (Ricordiamo che lo IOR diversi anni fa, quando era diretto da Paul Marcinkus, risultò coinvolto in alcuni scandali finanziari a motivo di manovre finanziarie illegali da esso compiuto con l’aiuto del finanziere siciliano Michele Sindona – il mandato di cattura spiccato contro Sindona parlava ‘di prove documentali di operazioni irregolari effettuate da Sindona per conto del Vaticano’ -, e di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano). Dopo la seconda guerra mondiale, sempre sotto Nogara, l’impero finanziario vaticano continuò a crescere. Quando Bernardino Nogara morì nel 1958 lasciò un Vaticano enormemente ricco. L’opera compiuta da questo finanziere a pro del Vaticano fece dire all’allora cardinale Spellman di New York: ‘Dopo Gesù Cristo la più grande cosa che sia successa alla Chiesa Cattolica è Bernardino Nogara’! Ma anche dopo la morte di Nogara le finanze continuarono a crescere. Verso la metà degli anni sessanta, le agenzie finanziarie del Vaticano controllavano la metà delle agenzie di credito in Italia. Molte industrie avevano dietro denaro del Vaticano. L’Istituto Farmacologico Serono di Roma per esempio era di proprietà Vaticana. Questo Istituto nel periodo in cui la chiesa cattolica romana condannava la contraccezione artificiale (Paolo VI la condannò esplicitamente con l’enciclica Humanae Vitae del 1968) lanciava sul mercato un contraccettivo molto popolare chiamato Luteolas, che fece intascare molto denaro al Vaticano (a dimostrazione questo che quando ci sono di mezzo i suoi interessi finanziari il Vaticano non ha per nulla timore di rinnegare nei fatti quello che insegna a parole). Nel 1968, secondo quanto dichiarò l’allora ministro delle Finanze Preti, la ‘S. Sede’ possedeva titoli azionari italiani per un valore di circa 100 miliardi, con un dividendo che oscillava dai tre ai quattro miliardi l’anno. Anche all’estero il Vaticano possedeva titoli azionari per molti miliardi. Esso aveva pacchetti azionari in diverse grandi compagnie internazionali tra cui la General Motors, la Shell, Gulf Oil, General Electric, Betlehem Steel, International Business Machines (IBM), e TWA. Il Vaticano possiede una forte riserva aurea negli Stati Uniti, a Forte Knox. Quanto al valore delle attuali ricchezze in mano al Vaticano non ci sono dei dati che permettono di dire con una certa esattezza quanto in realtà possiede in titoli, azioni, beni immobili; c’è un velo su tutto ciò. Di sicuro c’è che il Vaticano è molto ricco materialmente, e che se sulle sue finanze la curia romana mantiene un forte riserbo, ci sono svariate ragioni. Una delle quali è quella di poter fare credere ancora alla gente che la chiesa cattolica romana è ‘la chiesa dei poveri’ ed ha continuamente bisogno dei soldi dei suoi fedeli per portare avanti la sua missione nel mondo.

[80] Il Vaticano si alleò anche con Hitler (che – si tenga presente – era salito al potere con l’aiuto del partito cattolico di centro) infatti nel 1933 fu stipulato un Concordato tra la ‘Santa Sede’ e il Reich tedesco. In questo concordato si trovano degli articoli simili a quelli che si trovano in quello stipulato con il governo di Mussolini. Per esempio il Vaticano nell’art. 32 si impegnava a vietare agli ecclesiastici e ai sacerdoti l’appartenenza ai partiti politici e ogni attività in loro favore; nell’art. 14 di comunicare al luogotenente del Reich il nome delle persone che intendeva scegliere come arcivescovi e vescovi; nell’art. 16 di fare prestare ai vescovi un giuramento di fedeltà al Reich; nell’art. 30 di fare recitare tutte le Domeniche e le feste di precetto una preghiera per la prosperità del Reich e del popolo germanico. Il Vaticano in cambio ottenne che l’insegnamento religioso diventasse obbligatorio nelle scuole elementari, professionali, medie e superiori ‘in conformità con i princìpi della Chiesa cattolica’. Il Vaticano fu aspramente criticato anche da giornali cattolici che videro in questo Concordato la ‘canonizzazione dell’hitlerismo’. Ma l’Osservatore Romano del 27 luglio rispose che ‘la Santa Sede trattava con gli Stati in quanto tali, per assicurare i diritti e la libertà della Chiesa, prescindendo da ogni considerazione e apprezzamento di altra natura’. Queste parole fanno chiaramente capire che la chiesa cattolica è disposta ad allearsi con il governo di qualsiasi nazione, non importa se democratico o dittatoriale, pur di salvaguardare i suoi propri interessi. E di interessi il Vaticano ne aveva da difendere parecchi anche in Germania ai giorni di Hitler. Ecco perché la cosiddetta santa Sede, quantunque Hitler in seguito infrangerà il Concordato perseguitando diversi prelati cattolici e organizzazioni cattoliche, non condannò mai l’hitlerismo perché un simile comportamento avrebbe significato arrivare alla rottura con il Führer cosa che al papa metteva paura perché avrebbe di conseguenza significato compromettere i suoi interessi in Germania. E sempre questa è la ragione per cui il papa (Pio XII) dinanzi allo sterminio degli Ebrei non espresse mai una parola di solidarietà verso gli Ebrei (come si è abituati a sentire che fa oggi quando in qualche guerra vengono perpetrati i cosiddetti crimini contro l’umanità) che venivano portati a decine di migliaia nei campi di concentramento nazisti e quivi sterminati nelle camere a gas, perché la sua preoccupazione era quella di salvaguardare gli interessi del Vaticano in Germania, e una sua parola di condanna contro quello sterminio ordinato da Hitler avrebbe compromesso quegli interessi. A riguardo di questo silenzio del papa durante le persecuzioni naziste contro gli Ebrei durante la seconda guerra mondiale in una nota del libro Il manganello e l’aspersorio di Ernesto Rossi si legge: ‘L’ambasciatore tedesco presso il Vaticano e il Nunzio a Berlino continuarono a mantenere ‘buone relazioni’ fra i due governi, e i rapporti sulle atrocità in Germania e in Polonia, che il Nunzio presso il governo tedesco inviava a Roma, rimasero negli archivi del Vaticano. Buone relazioni: infatti l’Ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, barone Ernesto Weizsasaecker, restò nel Vaticano fino al 26 agosto 1946, mentre l’ultimo diplomatico giapponese l’aveva lasciato in gennaio’ ed ancora: ‘Dopo la razzia perpetrata dalle SS a Roma il 16 ottobre 1943, l’ambasciatore Weizsasaecker (condannato poi come criminale di guerra, dal tribunale di Norimberga, a quindici anni di carcere per delitti contro l’umanità) scrisse a Keppler e a Ritter un telegramma, datato 28 ottobre, in cui si legge: ‘Benché sollecitato da ogni parte, il Papa non si è lasciato convincere a esprimere ufficialmente qualsiasi riprovazione per le avvenute deportazioni degli ebrei di Roma. Pur sapendo che tale suo atteggiamento in questa circostanza verrà severamente giudicato dai nostri nemici, e sarà sfruttato dagli ambienti protestanti dei paesi anglosassoni nella loro propaganda contro il cattolicesimo, egli si è comportato, in questa delicata circostanza, in modo da non turbare minimamente le relazioni con il governo tedesco e con ambienti tedeschi di Roma’. Il nazismo verrà chiaramente condannato dal papa solo dopo la resa incondizionata della Germania; quando oramai il Vaticano non aveva nulla da temere dai nazisti.

[81] Benito Mussolini, mediante questi patti Lateranensi, si guadagnò la stima e il favore della curia romana e dei Cattolici romani che non mancarono di manifestarglieli a poco più di un mese di distanza dalla firma dei Patti nelle ‘elezioni plebiscitarie’. Cardinali e vescovi scesero in campo apertamente incitando i Cattolici a dare il loro voto di approvazione a Mussolini. Il plebiscito del 24 Marzo diede 8.506.676 ‘sì’ su 8.650.470 votanti. Inoltre va detto che Mussolini ebbe il sostegno della curia romana quando volle conquistare l’Etiopia. Tra i messaggi dati da prelati papali ai Cattolici in favore di quella guerra riportiamo solo i seguenti. Il 28 ottobre 1935 il cardinale Schuster di Milano disse ai Cattolici raunati nella cattedrale di Milano: ‘Cooperiamo con Dio in questa missione nazionale e cattolica di bene, soprattutto in questo momento in cui, sui campi di Etiopia, il vessillo d’Italia reca il trionfo della Croce di Cristo, spezza le catene agli schiavi, spiana le strade ai missionari del Vangelo (…) Pace e protezione all’esercito valoroso che, in obbedienza intrepida al comando della Patria, a prezzo di sangue, apre le porte di Etiopia alla fede cattolica e alla civiltà romana’. Il 12 dicembre Giorgio Maria Del Rio, arcivescovo di Oristano, pubblicò sul bollettino della archidiocesi un appello ai Cattolici in cui si legge tra le altre cose: ‘Le popolazioni abissine sono ad un infimo livello religioso e morale, sono lontane dalla vera fede, dalla nostra religione cattolica, che è fonte di civiltà e di progresso. Tutto ciò che si fa quindi per dare alla Italia i mezzi necessari ad affermare in quelle terre la sua influenza e la sua autorità non è solo in vantaggio della Patria e della civiltà, ma anche della religione cattolica. La nostra povera ma generosa Italia, dietro i suoi soldati, porta in Abissinia non solo il pane, le strade, la liberazione dalla schiavitù, tutte le provvidenze della civiltà; ma vi porta ancora la Croce di Gesù Cristo, gli insegnamenti e gli aiuti della Religione cattolica, apostolica, romana, che nelle mani dei nostri missionari non ha mai servito a preparare conquiste politiche’. Ricordiamo che nella guerra d’Etiopia Mussolini autorizzò l’impiego di gas lacrimogeni e di iprite, per l’artiglieria e l’aviazione. Le vittime fra gli Etiopi furono migliaia. Il 5 maggio 1936 le truppe italiane con alla testa il Maresciallo Badoglio entrarono in Addis Abeba. Tornato in Italia un mese dopo, Badoglio fu ricevuto da Pio XI. ‘Il colloquio con Pio XI si protrasse per oltre un’ora e mezzo, superando di gran lunga i venti minuti protocollari delle visite pontificie. Nel pomeriggio, il Legato del Papa gli restituì la visita nel suo appartamento in via XX settembre’ (Vanna Vailati, Badoglio racconta, Torino 1955, pag. 323). Evidentemente il papa era rimasto molto contento della conquista dell’Etiopia da parte dell’esercito italiano.

[82] La Conferenza Episcopale Italiana comunque a proposito di questa modifica, per tranquillizzare i Cattolici, ha detto: ‘Se poi il Protocollo addizionale avverte che ‘si considera non più in vigore il principio… della religione cattolica come sola religione dello Stato’, si possono comprendere le ragioni di un simile cambiamento che, anche alla luce della Dichiarazione del Concilio sulla libertà religiosa, si ispira al rispetto dovuto a chiunque abbia altra fede o diversa convinzione di coscienza. Questo cambiamento nulla toglie ai valori della religione cattolica. Essa appartiene da sempre al popolo italiano nel quale si è largamente radicata per la forza del Vangelo, fino ad essere fermento della sua storia, della sua civiltà, della sua cultura, dei suoi impegni per un’ordinata convivenza civile, per aperti rapporti di collaborazione in Europa e nel mondo, per il progresso di tutti i popoli e per la pace’.

[83] A proposito di questa ‘libertà’ concessa ai non Cattolici di professare la loro fede va detto che la chiesa cattolica è stata costretta dalle circostanze (così diverse per molti versi da quelle di secoli fa) a concederla loro perché se le circostanze fossero state altre questa ‘libertà’ essa non l’avrebbe giammai concessa. In altre parole essa si è adattata ai tempi, come sempre ha fatto, ma senza rinunciare con questo alla tesi che solo lei ha il diritto di essere completamente libera di divulgare la sua dottrina perché solo lei è la depositaria della verità. A conferma che nella realtà la chiesa cattolica anche quando dà ad altri libertà religiosa lo fa con rammarico e ipocritamente ecco quanto si legge in un articolo di Civiltà cattolica: ‘Ora la Chiesa cattolica, convinta per le sue divine prerogative di essere l’unica vera Chiesa, deve reclamare per sé soltanto il diritto alla libertà, perché unicamente alla verità, non mai all’errore, questo può competere; quanto alle altre religioni essa non impugnerà la scimitarra, ma domanderà che con mezzi legittimi degni della persona umana, non sia loro consentito di diffondere false dottrine. Per conseguenza in uno stato cattolico, in cui la maggioranza è cattolica, la Chiesa chiederà che all’errore non sia data esistenza legale e che, se esistono minoranze di religione diversa, queste abbiano solo un’esistenza di fatto, senza la possibilità di divulgare le loro credenze… in alcuni paesi poi, i cattolici saranno costretti a chiedere la piena libertà religiosa per tutti, rassegnati di potere convivere, là dove essi solo avrebbero il diritto di vivere. In questo caso la Chiesa non rinuncia alla sua tesi, che suona come la più imperativa delle leggi, ma si adatta all’ipotesi, cioè alle condizioni di fatto, dalle quali la sua vita concreta non può prescindere… La Chiesa non può arrossire di questa sua intransigenza, così come l’afferma nel principio e così come l’applica nella pratica’ (F. Cavalli, S. J. ‘Le condizioni dei protestanti in Spagna’ in Civiltà Cattolica, 3 aprile 1948). Tradotto nella pratica questo significa che se in Italia salisse al potere un dittatore come Hitler o Mussolini la chiesa cattolica si alleerebbe con esso e chiederebbe subito che ai Protestanti venga tolta (o almeno ridotta) la libertà di professare la loro fede e di divulgare la Parola di Dio – cosa che riteniamo non gli verrebbe rifiutata dal dittatore perché il papa sa come persuadere qualsiasi dittatore a concedergli favori – e perciò ritornerebbero le persecuzioni di un tempo.

[84] Per quanto riguarda le remunerazioni dei sacerdoti cattolici va detto che esse vengono loro conferite dagli Istituti diocesani per il sostentamento del clero che sono strettamente collegati all’Istituto centrale per il sostentamento del clero che ha il fine di integrare le risorse degli Istituti diocesani. La remunerazione è equiparata, ai soli fini fiscali, al reddito di lavoro dipendente. L’IDSC opera, su tale remunerazione, le ritenute fiscali e versa anche, per i sacerdoti che vi siano tenuti, i contributi previdenziali e assistenziali previsti dalle leggi vigenti. Lo Stato interviene con agevolazioni fiscali e con consistenti contributi pubblici per garantire, attraverso l’Istituto centrale per il sostentamento del clero, che agli IDSC non manchino i fondi necessari per corrispondere la remunerazione a tutti i sacerdoti delle rispettive diocesi. Si tenga presente che il denaro che la chiesa cattolica incamera (dal 1990) dall’otto per mille del gettito complessivo IRPEF può essere utilizzato anche per il sostentamento del clero.