La negazione della Bibbia al popolo

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Ci fu un tempo in cui la Bibbia venne da parte della curia romana negata agli uomini. Nel concilio di Tolosa del 1229 fu deliberato infatti quanto segue: ‘Proibiamo ancora che sia permesso ai laici di avere i libri del Vecchio e Nuovo Testamento, tranne il Saltero, o il Breviario per dire l’Ufficio divino, o le Ore della Beata Vergine a chi desidera averle per devozione; però proibiamo strettamente che quei libri siano in lingua volgare’.[1] Ma perché questo divieto? Perché gli uomini del volgo non veniva­no reputati degni di leggerla; il cardinale Osio, nel libro De Verbo Dei affermò infatti: ‘Permettere ai laici la lettura delle sante Scritture, è lo stesso che dare le cose sante ai cani, e gittare le perle dinanzi ai porci’.[2] Ed anche perché veniva asserito che la Bibbia era troppo difficile per essere compresa dal popolo igno­rante, ed alcuni leggendola potevano male interpretarla ed essere indotti all’errore. E così per diversi secoli la lettura della sacra Scrittura fu reputata una cosa nociva alla Chiesa e per questo la curia romana studiò i modi per frenare la sua diffusio­ne fra il popolo; una evidente prova di ciò è il seguente fatto storico. Nel 1553 Gian Maria Ciocchi del Monte (Giulio III: 1550-1555) incaricò tre dei più dotti vescovi del tempo: Vincenzo De Durantibus, Egidio Falceta e Gherardo Busdrago, di studiare i mezzi per frenare la diffusione della Riforma. Nel documento conclusivo i tre prelati così si esprimevano: Finalmente – fra tutti i consigli che noi possiamo dare a Vostra Beatitudine, abbiamo lasciato per ultimo il più necessario… – debbono farsi tutti gli sforzi acciocché si permetta il meno possibile la lettura del Vangelo, specialmente in lingua volgare, in tutti i paesi sotto la Vostra giurisdizione. Basti quel po­chissimo che suol leggersi nella messa, né più di quello sia permesso di leggere a chicchessia. Finché gli uomini si contenta­rono di quel poco, gli interessi della Santità Vostra prosperaro­no, ma quando si volle leggere di più, allora cominciarono a decadere. Quel libro, insomma (il Vangelo), è quello che più di ogni altro ha suscitato contro di noi quei turbini e quelle tempeste per le quali è mancato poco che non fossimo interamente perduti. Ed invero, se qualcuno lo esamina interamente e diligen­temente, e poi confronta le istruzioni della Bibbia con quello che si fa nelle nostre chiese, si avvedrà subito della discordan­za e vedrà che la nostra dottrina è molte volte diversa e più spesso ancora ad essa contraria: la qual cosa se si comprendesse dal popolo, non cesserebbe di reclamare contro di noi, fino a tanto che tutto non sia divulgato, ed allora diverremmo oggetto di dispregio e di odio in tutto il mondo. Perciò bisogna sottrar­re la Bibbia alla vista del popolo, ma con grande cautela per non suscitare tumulti’.[3] Ecco dunque perché la curia romana vietò la lettura della Bibbia al popolo, perché temeva che il popolo leggendola si accorgesse degli abusi e delle eresie presenti nella chiesa cattolica romana e si sollevasse contro di essa.

Un altra prova attestante quanto i papi avessero in avversione che la Bibbia fosse letta da tutti è la bolla Unigenitus di Clemente XI nel 1713 nella quale venivano condannate come ‘false, scandalose, perniciose, sediziose, empie, blasfeme ed eretiche’ le seguenti proposizioni riguardanti la lettura della Bibbia: la proposizione 79, che dice che è utile e necessario in ogni tempo e in ogni luogo a tutte le persone di studiare ed imparare lo spirito, la santità e i misteri delle Sacre Scritture; la proposizione 80, che dice che la lettura della Scrittura è per tutti; la proposizione 84, che dice che togliere dalle mani dei cristiani il Nuovo Testamento, o tenerglielo chiuso togliendogli i mezzi per comprenderlo, significa chiudere la bocca di Cristo; la proposizione 85, che dice che vietare ai Cristiani la lettura delle Sacre Scritture, specialmente dei Vangeli, è vietare ai figli della luce l’uso della luce, ed è gettarli in una sorta di scomunica.

E siccome che il papato allora considerava cosa empia che tutti leggessero le sacre Scritture esso considerava anche cosa empia la loro traduzione nella lingua del popolo per cui i traduttori di esse gli erano in abominio. Una prova di questo odio che il papato nutriva verso i traduttori di Bibbie in lingua volgare l’abbiamo nelle seguenti parole di Barnaba Chiaramonti (Pio VII 1800 – 1823): ‘Dichiaro che le associazioni formate nella maggiore parte d’Europa, per tradurre in lingua volgare e spandere la legge di Dio, mi fanno orrore, che esse tendono a rovesciare la fede cristiana fin dalle sue fondamenta, che bisogna distruggere questa peste con tutti i mezzi possibili, e svelare le empie macchinazioni di questi manovratori’.[4] E per concludere questa carrellata di condanne e proibizioni ricordiamo che nel 1820 fu messo all’indice (dalla Congregazione dell’Indice) persino un Nuovo Testamento tradotto da un Cattolico e precisamente ‘il Nuovo Testamento di monsignor Martini’; la ragione era perché non possedeva le note.

Nessuno dunque v’inganni dicendovi che la chiesa cattolica romana un tempo proibì al popolo di leggere solo le Bibbie cosiddette false tradotte dai Protestanti in lingua volgare dopo che venne la Riforma perché abbiamo dimostrato che la proibizione di legge­re la Bibbia risale a secoli prima della Riforma (a quel tempo era vietata dunque al popolo la lettura delle Bibbie tradotte dai Cattolici) e poi perché nel 1820 come abbiamo provato fu messo all’indi­ce un Nuovo Testamento di un famoso traduttore cattolico (che essendo privo delle note costituiva un serio pericolo per il papato).

Ma oggi, come stanno le cose? Oggi, la traduzione e la diffusione della sacra Scrittura da parte della chiesa romana sono incorag­giate perché il concilio Vaticano II ha decretato che “è necessa­rio che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura’,[5] ma nonostante oggi la chiesa romana non impedisce la divulgazione della Bibbia fra le persone e neppure la sua lettura, essa conti­nua mediante il suo magistero a dare errate interpretazioni a molti e molti passi della Scrittura riuscendo così con la sua abituale frode ed astuzia a nascondere la verità ai Cattolici. Ma grazie siano rese a Dio perché anche in questa generazione Dio ha illuminato le menti di tanti Cattolici romani facendogli comprendere rettamente la Parola di verità e li ha riscattati dal giogo opprimente di questa religione abilmente costruita dal diavolo. Oggi, essi sono nostri fratelli ed assieme ci rallegria­mo e lodiamo Dio, per averci fatto conoscere la verità; quella verità che ci ha resi liberi dal peccato.

 


[1] Concilio di Tolosa, cap. 14

[2] Citato da Luigi Desanctis in Compendio di controversie, pag. 6

[3] L’originale di questo documento con le firme autografe dei tre vescovi, ed il titolo Avvisi sopra i mezzi più opportuni per sostenere la Chiesa romana, è datato Bologna, 20 ottobre 1553. Si conserva nella Biblioteca nazionale di Parigi (foglio B. N. 1088, vol. 2, pag. 641-650). Citato da Roberto Nisbet in op. cit., pag. 15,16

[4] Bolla del 28 Giugno 1816

[5] Concilio Vaticano II, Sess. VIII, cap. VI