La falsificazione dei canoni dei concili

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Per quanto riguarda la falsificazione dei canoni conciliari vogliamo ricordare questi fatti storici. Nel 419 al concilio di Cartagine (Africa) si discuteva il caso di Apiario, un prete di Sicca, che a motivo della sua cattiva condotta era stato deposto dal suo vescovo e si era perciò appellato a Zosimo (417-418) vescovo di Roma (quantunque in base alle leggi dei sinodi africani egli non potesse appellarsi al vescovo di Roma)[1] il quale aveva accettato con gioia di prendere la sua difesa e lo aveva rimandato in patria con alcuni suoi legati. I legati di Bonifacio I (il successore di Zosimo che era da poco morto) a Cartagine presentarono dunque a nome del loro papa dei canoni del concilio generale (quindi che obbligava sia le chiese d’Occidente che quelle d’Oriente) di Nicea (325) che attribuivano al vescovo di Roma il diritto di ricevere appello da parte dei vescovi delle altre chiese (quando in realtà quei canoni erano del concilio locale di Sardica del 343 che non era stato accettato dalle chiese d’Oriente). Ma i più di duecento vescovi che formavano il concilio (tra i quali c’era pure Agostino di Ippona) mandarono a consultare gli atti originali di quel concilio di Nicea (negli archivi di Alessandria, Antiochia e Costantinopoli) e trovarono che quei canoni del concilio di Nicea asseriti da Bonifacio I erano inesistenti. Quindi scrissero una lettera a Bonifacio I in cui si lamentavano del tentativo di frode compiuto nei loro confronti dai suoi legati (che si erano presentati in suo nome). Nella lettera era scritto: ‘Noi speriamo che per divina misericordia, fin quando la Santità Vostra presiederà la Chiesa Romana, non dovremo più soffrire una simile arroganza e che verranno usati a nostro riguardo modi tali di agire da non essere più obbligati a protestare’.

Questo illecito uso dei canoni di Sardica fu fatto anche da Celestino (422-432), successore di Bonifacio I, cinque anni dopo, nel 424, sempre nel caso di Apiario. Costui si era ancora comportato male e si era preso un altra scomunica. Si appellò di nuovo a Roma, il papa lo ascoltò e, come riconoscono persino alcuni storici cattolici, ‘disgraziatamente’ prese le sue difese e lo mandò a Cartagine con un suo legato. In un concilio plenario, il vescovo di Cartagine, riprese l’esame della causa. Vennero riferite le lagnanze degli abitanti di Tabraca (presso cui era stato Apiario), ma ciò nonostante il legato papale difendeva con arroganza Apiario. Ma dopo alcuni giorni di discussioni, successe l’imprevisto; Apiario confessò i suoi propri misfatti. A questo punto il legato papale fu costretto ad abbandonare la sua difesa. La causa era ormai già giudicata; furono inviati a Celestino gli atti del concilio e una lettera in cui ‘il papa veniva esortato a non accogliere più tanto facilmente i querelanti venuti dall’Africa, tanto più che i decreti di Nicea prescrivevano ai vescovi di rispettare le sentenze dei loro colleghi ed esigevano che i processi ecclesiastici fossero condotti a termine sul posto. Nessun concilio autentico permetteva al papa di inviare legati, come aveva fatto; i canoni allegati a tal fine non erano canoni di Nicea, come le inchieste avevano esaurientemente provato. Nella Chiesa del Cristo bisogna agire con semplicità ed umiltà, senza ricorrere ai modi arroganti del secolo’.

 


[1] Il concilio Melivetano aveva per esempio decretato: ‘Chiunque vorrà appellare al di là del mare, non sia ricevuto da alcuno, in Africa, alla comunione’.