Le statue e le immagini

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La dottrina dei teologi papisti

Le sacre immagini vanno esposte per la venerazione. Dio gradisce il culto alle immagini perché davanti ad esse avvengono dei miracoli.

Il concilio di Nicea II, che fu convocato dall’imperatrice Irene, decretò: ‘Noi definiamo con ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande e sante immagini sia dipinte che in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la santa madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini’.[1] Per dimostrare che la chiesa cattolica non fa nulla di male nel fare queste immagini e statue ed esporle alla venerazione dei fedeli i teologi papisti fanno presente che Mosè fece dei cherubini d’oro per porli sull’arca e un serpente di rame che pose su un antenna.

Il culto del sacro cuore di Gesù.

L’origine di questa devozione al cuore di Gesù è strettamente collegata alle visioni che ebbe una certa Margherita Maria Alacoque (1647-1690) perché esse servirono ai Gesuiti come appoggio per divulgare questo culto al cuore di Gesù. Questa giovane raccontò che le era apparso Gesù Cristo sopra l’altare, che egli s’era aperto il petto e le aveva mostrato il cuore tra le fiamme, circondato da una corona di spine, squarcia­to da una ferita e con sopra una piccola croce; insomma quel cuore che oggi è riprodotto in milioni di immagini e su milioni di medaglie. In un’altra apparizione, avuta tempo dopo, ella disse che Gesù le chiese il culto pubblico, con l’istituzio­ne di una festa riparatrice e le indicò come collaboratore Clau­dio de La Colombière, un Gesuita che era il suo confessore. E fu appunto questo de La Colombière che, spinto da grande zelo, riuscì a diffondere, vivente ancora Alacoque, il culto al cuore di Gesù tra molte persone. Ancora oggi il culto al sacro cuore di Gesù è molto diffuso, soprattutto tra le donne, che più degli uomini vengono colpite nell’immaginazione e nei sensi da questa immagine del cuore di Gesù coronato di spine. Ma come giustificano questo culto al cuore di Gesù i teologi cattolici? In questa maniera: ‘Il suo cuore perciò, considerato unito alla persona divina, è degno di adorazione, la quale termi­na alla persona stessa di Gesù (….) Oggetto proprio del culto quindi non è solo il cuore fisico, né solo l’amore, ma il cuore fisico come simbolo dell’amore (…) Il cuore infatti è stato sempre preso come simbolo dell’amore (…) Comunemente con l’espressione Sacro Cuore si suole significare tutta la persona di Gesù…’.[2]

Il culto della croce.

L’Enciclopedia Cattolica afferma che il culto della croce ‘è fondato sulla stretta appartenenza che essa ha con la divina persona del Redentore’.[3] La chiesa cattolica romana ha istituito due feste in onore della croce; il 3 Maggio e il 14 Settembre. Il ‘Venerdì santo’ essa l’adora con le parole: ‘Ecce lignum crucis’ (Ecco il legno della croce); ‘Venite, adoremus’ (Venite e adoriamo), ‘Crucem tuam adoramus, Domine’ (Adoriamo la tua croce o Signore). Questa sua adorazione rivolta alla croce è stata chiaramente sostenuta da Tommaso D’Aquino il quale disse: ‘La croce stessa sulla quale Cristo fu confitto, merita il nostro culto (….) perché ci rappresenta la figura di Cristo disteso su di essa, e perché venne a contatto con le membra di lui e fu bagnata dal suo sangue. Per ambedue i motivi viene adorata con il medesimo culto reso a Cristo, cioè con il culto di latria’.[4]

Nel Nuovo Manuale del Catechista si può leggere: ‘Che Dio poi gradisca questo culto è provato da tanti miracoli che si sono operati dinanzi alle sacre immagini; quanti quadretti dinanzi ad esse, segno di riconoscenza’.[5]

 


[1] Concilio di Nicea II (787).

[2] Enciclopedia Cattolica, vol. 4, 1062

[3] Ibid., vol. 4, 959

[4] Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, III, q. 25

[5] Giuseppe Perardi, op. cit., pag. 288