Con la morte gli uomini vanno o in paradiso se sono salvati o all’inferno se sono perduti

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Per gli Avventisti gli uomini quando muoiono entrano in uno stato di incoscienza ma le cose non stanno affatto così come dicono loro perché la Scrittura insegna che dopo la morte la vita continua; per i giusti su nel cielo con il Signore, mentre per i peccatori nel soggiorno dei morti, o Ades dove c’è un fuoco non attizzato da mano d’uomo.

Vogliamo parlare innanzi tutto del fatto che la morte in diversi passi della Scrittura è descritta come un addormentarsi; non c’è nulla di strano in ciò perché in effetti quando una persona muore dà l’impressione che si addormenta. Ci sono diverse Scritture che parlano della morte come di un addormentarsi: di Stefano quando fu lapidato è detto che “si addormentò”,[1] Gesù disse di Lazzaro che era morto: “Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato..”;[2] “Davide s’addormentò coi suoi padri”.[3] I morti vengono definiti persone che dormono: Paolo dice ai Tessalonicesi: “Or, fratelli, non vogliamo che siate in ignoranza circa quelli che dormono…”;[4] Daniele dice che “molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno…”,[5] solo per citare alcune Scritture. Ma questo non significa che la persona entra in uno stato di inco­scienza perché – e lo ribadiamo con forza – molte altre Scritture attestano che la persona senza il corpo continua a vivere dopo la morte; in para­diso con Gesù se è salvato; all’inferno nel fuoco se è perduto.

Abbiamo già innanzi dimostrato che i morti dopo la morte sono coscienti quando abbiamo parlato dell’apparizione di Mosè (che era morto) sul monte santo assieme ad Elia (che però non era morto), “i quali appariti in gloria, parlavano della dipartenza ch’egli stava per compiere in Gerusalemme”;[6] ed anche quando abbiamo citato le parole di Giovanni nell’Apocalisse. A riguardo di quest’ultime vogliamo però soffermarci su che cosa Giovanni dice che facevano quelle anime presso l’altare: egli dice: “E gridarono con gran voce, dicendo: Fino a quando, o nostro Signore che sei santo e verace, non fai tu giudicio e non vendichi il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra? E a ciascun d’essi fu data una veste bianca e fu loro detto che si riposasse­ro ancora un pò di tempo, finché fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli, che hanno ad essere uccisi come loro”.[7] Ma noi vogliamo domandare agli Avventisti: ‘Ma se i morti entrano in uno stato di incoscienza come facevano quelle anime di morti a gridare a Dio di vendicare il loro sangue? Come facevano a ricordarsi che qualcuno aveva sparso il loro sangue sulla terra? E come poterono vestirsi di una veste bianca ed ascoltare quello che gli venne detto? E poi ancora: ‘Ma se con la morte non inizia nessun periodo di vita nel cielo per il credente come mai Giovanni vide le anime di quei credenti proprio in paradiso presso l’altare di Dio?

Ma passiamo ad altri esempi che attestano che la vita continua nell’aldilà per l’uomo. La storia del ricco e del Lazzaro raccontata da Gesù, ci dice che quel ricco che morì e fu seppellito si ritrovò nell’Ades, e che da quel luogo di tormento vide da lontano Abra­hamo che era morto e Lazzaro anche lui morto. E non solo, ci dice anche che il ricco poté riconoscere Abrahamo e Lazzaro, parlare, ragionare, chiedere aiuto, ricordarsi di avere lasciato cinque fratelli, ed infine che egli era tormentato nelle fiamme dell’Ades.[8] Dove sono i disputatori? Si presentino con i loro vani ragionamenti che dicono che i morti una volta morti sono inco­scienti e noi distruggeremo queste loro fortezze! E’ una parabola, dicono gli Avventisti nel loro Dizionario, e ‘la parabola va interpretata per quello che è, cioè un racconto allegorico con una morale’,[9] e in Questions on Doctrine si legge: ‘In questa parabola di Luca 16, l’hades è figurativamen­te rappresentato come un posto di vita, di memoria, e di dialogo. E i morti nell’hades sono immaginati vivi (…) E’ una storia inte­ressante, ma per noi è chiaramente figurativa. Nella storia quelli attualmente morti sono fatti parlare e agire, il che è permesso in una parabola, perché in una parabola tutte le incon­gruità di tempo, spazio, distanza et cetera svaniscono. In questa allegoria, i riferimenti alla voragine, al fuoco fiammeggiante, e ai morti parlare sono tutti comprensibili, perché la storia è raccontata per trasmettere una verità morale’.[10] Ellen G. White si spinse ad affermare a riguardo: ‘In questa parabola Cristo affronta gli ascoltatori sul loro stesso terreno. Molti di loro credevano che tra la morte e la risurrezione inter­corresse uno stato cosciente, e il Salvatore, conoscendo questa falsa concezione, l’applicò nella sua parabola per insegnare verità importanti. Fu come se collocasse dinanzi a loro uno specchio in cui si rifletteva il loro vero rapporto con Dio. Cristo partì dunque dall’idea corrente per mettere in rilievo una verità che voleva inculcare a tutti…’.[11] In altre parole, per la profetessa degli Avventisti, Cristo raccontò quel che raccontò anche se non ci credeva nell’immortalità dell’anima, per lo scopo di ammaestrare i suoi ascoltatori! Ma tutto ciò non è vero perché quella è una storia vera accaduta veramente di cui Gesù aveva conoscenza e che volle raccontare in quell’occasione dopo aver ripreso i Farisei che amavano il denaro e si erano fatti beffe di lui nel sentirgli dire: “Voi non potete servire a Dio ed a Mammona”.[12] E aggiungiamo che noi crediamo che tutti i minimi particolari presenti nella storia del ricco e del Lazzaro sono fatti veri e cose vere; ciò significa che è vero che il ricco nell’Ades chiese pietà ad Abramo dicendogli di mandare Lazzaro a intingere la punta del dito nell’acqua per rinfrescargli la lingua in quella fiamma, che Abramo gli rispose che tra loro c’era una grande voragine che impediva il passaggio ad ambedue, e tutto il resto. Per quanto riguarda poi l’affermazione di Ellen G. White essa implicitamente significa che Gesù poteva anche usare la menzogna per insegnare la verità; e ciò non può essere perché per Gesù il fine non giustificava i mezzi come per molti ancora oggi.

Diciamo anche questo: se si considera bene la storia che ha raccontato Gesù non emerge affatto che Gesù abbia in qualche maniera voluto con essa dimo­strare ai Farisei che erravano nell’insegnare che dopo la morte sia i giusti che gli ingiusti continuavano ad esistere, i primi in un luogo di conforto e gli altri in un luogo di tormento. Anzi, dato che sappiamo che i Farisei credevano che dopo la morte l’uomo continuava a vivere, emerge proprio il contrario, e cioè che Gesù abbia voluto raccontare questa storia per avvertirli che essi avrebbero fatto la stessa fine del ricco che amava il dena­ro. E’ vero che ‘Cristo voleva far capire alla folla che dopo la morte non c’è più possibilità di salvezza’,[13] come dice Ellen G. White, ma è altresì vero che Gesù con questa storia – e non parabola – ha voluto confermare in maniera eloquente ai suoi ascoltatori che cosa li aspettava dopo la morte se non ascoltava­no Mosè e i profeti, ossia che sarebbero andati a raggiungere il ricco nell’Ades, in quel luogo di tormento. Gesù credeva nell’im­mortalità dell’anima; non avrebbe mai raccontato quella storia se non ci avesse creduto. Certo è che gli Avventisti per negare la verità insegnata da Cristo sul dopo la morte si sono abbandonati a vani ragionamenti. Ecco dunque dove vanno gli empi alla loro morte, col loro corpo nella tomba e con la loro anima nell’Ades dove sono tormentati dalle fiamme! Fiamme di fuoco sì, dove le loro anime sono tormen­tate. Certo noi non possiamo comprendere come sia possibile che l’anima che è qualcosa di spirituale possa del continuo essere tormentata nel fuoco dell’Ades senza consumarsi; ma questo non ci impedisce di credere che le cose stiano realmente così. Quante cose non comprendiamo ma crediamo! Perché dunque non credere in questa storia del ricco e del Lazzaro? La cosa è chiara come la luce; ma gli Avventisti come abbiamo visto l’hanno offuscata. Peggio per loro!

Ma non ci fermiamo qui nella nostra confutazione; vogliamo pure citare le parole di Gesù al ladrone pentito: “Io ti dico in verità che oggi tu sarai meco in paradiso”.[14] Esse confermano che dopo la morte quel ladrone andò in paradiso. Ma gli Avventisti dicono che inizialmente non c’era la punteggiatura nei testi originali; e ‘basta mettere il punto dopo oggi e la frase acquista il senso di una promessa a tempo inde­terminato; d’altronde Gesù stesso, la domenica della risurrezione dice a Maria che non è ancora stato in Paradiso’.[15] Ma noi facciamo notare agli Avventisti che quantunque inizialmente non c’era punteggiatura nel testo originale, Gesù non disse che egli non era ancora stato in Paradiso ma che egli non era ancora salito all’Iddio e Padre suo, il che è un’altra cosa. E inoltre facciamo notare che prima della risurrezione di Cristo il paradiso era costituito dal seno di Abramo che non si trovava in cielo ma nel cuore della terra ad una grande distanza dall’Ades. Era là che andavano i giusti che morivano in attesa di essere poi portati in cielo alla risurrezione di Cristo. Quindi quando Gesù promise a quell’uomo morente che in quel giorno sarebbe stato assieme a lui in paradiso intese dire che sarebbe stato con lui in quel luogo di conforto non celeste. Se così non fosse Gesù sarebbe caduto in contraddizione. E poi ricordiamo agli Avventisti, che tirano in questione il fatto che negli originali non c’era la punteggiatura, che quando Gesù faceva a qualcuno una promessa dicendo: “In verità in verità io ti dico…”, non gli diceva anche ‘oggi’, se quella promessa non si adempiva quel giorno stes­so. Un esempio che mostra ciò sono le parole che Gesù rivolse a Simon Pietro la notte in cui fu tradito: “In verità ti dico che questa stessa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”.[16] Notate che Gesù non gli disse: ‘In verità io ti dico questa notte che prima che il gallo canti tu mi rinnegherai tre volte’, perché era scontato che Gesù quelle parole gliele diceva in quella notte, ma gli disse che in quella stessa notte lui lo avrebbe rinnegato tre volte. Dunque il fatto che Gesù abbia detto al ladrone “oggi” signi­fica non che la promessa gliela faceva quel giorno – perché questo era scontato – ma che quella promessa per il ladrone si sarebbe adempiuta quel giorno stesso. Strani e fallaci ragiona­menti davvero quelli degli Avventisti! Ma d’altronde che cosa ci si può aspettare da persone che negano che quando un credente muore va subito in paradiso in attesa della risurrezio­ne? Solo vani ragionamenti. E l’esempio appena citato lo dimostra.

Ma a confermare che la vita dopo la morte continua c’è anche l’esempio di Samuele che dopo morto, quantunque tramite una evocatrice di spiriti, con il permesso di Dio salì dal soggiorno dei morti dov’era e apparve prima alla evocatrice di En-Dor e poi parlò a Saul.[17] In questo caso gli Avventisti affrontano l’insor­montabile ostacolo dicendo che quello non era Samuele ma uno spirito maligno.[18] Ma noi diciamo loro: ‘Non è così, quantunque noi rigettiamo lo spiritismo, perché in quel caso la Scrittura stessa chiama quello spirito Samuele per diverse volte, essa dice che Saul riconobbe che quello era Samuele e poi bisogna dire che quello che Samuele disse a Saul si adempì’. Ma non sono queste prove sufficienti a dimostrare che quello spirito era vera­mente Samuele?

Passiamo ora ad alcune parole degli apostoli che confermano che la morte di un credente rappresenta una dipartenza verso il paradiso di Dio dove è cosa di gran lunga migliore stare.

Paolo dice ai Filippesi: “Poiché per me il vivere è Cristo, e il morire guadagno… Io sono stretto dai due lati: ho il desiderio di partire e d’esser con Cristo, perché è cosa di gran lunga migliore; ma il mio rimanere nella carne è più necessario per voi”.[19] Gli Avventisti dicono in questo caso: ‘Certamente sarà meglio essere con Cristo, ma perché, ci si deve domandare, do­vremmo concludere da questa osservazione che l’apostolo si aspet­ta, immediatamente dopo la morte, di andare subito nella presenza di Cristo? La Bibbia non dice questo. Essa semplicemente attesta il suo desiderio di dipartirsi ed essere con Cristo (…) In questo particolare passaggio Paolo non ci dice quando egli sarà con il Signore…’.[20] Ora, gli Avventisti domandano il perché noi dovremmo concludere dalle parole di Paolo che egli si aspettava dopo la morte di andare subito alla presenza di Cristo; e noi gli rispondiamo. Ma dov’era Cristo quando Paolo diceva quelle cose? Non era forse su nel cielo alla destra di Dio? Quindi Paolo quando diceva che desiderava partire dal corpo per essere con Cristo voleva dire che lui credeva che quando sarebbe morto avrebbe lasciato il suo corpo mortale per andare con la sua anima ad abitare con Gesù Cristo su nel cielo. E tutto ciò conferma queste parole di Gesù: “Là dove son io, quivi sarà anche il mio servitore”,[21] ed anche quest’al­tre: “Chi crede in me, anche se muoia, vivrà..”.[22] Ma riflettete: che cosa è un guadagno? Non è forse un vantaggio? Quindi se Paolo chiamava il suo morire un guadagno vuole dire che lui dalla sua morte avrebbe ricavato un vantaggio. E quale vantaggio se non quello di andare ad abitare subito col Signore su nel cielo, dove non ci sono dolori, tribolazioni e persecuzioni da subire? E’ chiaro quindi che se per Paolo con la morte sarebbe iniziato un periodo di incoscienza in attesa della risurrezione egli non avrebbe definito la morte un guada­gno. Perché cosa avrebbe guadagnato nell’immediato futuro che non poteva godere sulla terra? Niente. Ma andando subito con Cristo là nella gloria, avrebbe potuto contemplare il suo viso, la sua gloria, avrebbe smesso di camminare per fede perché avrebbe visto faccia a faccia colui che lo aveva salvato. E poi si sarebbe finalmente riposato da tutte le sue fatiche compiute per amore degli eletti. Quindi Paolo con le sue parole ai Filippesi espresse la sua ferma fiducia che quando sarebbe morto avrebbe lasciato il suo corpo per andare subito ad abitare in cielo con Cristo, e non che si sarebbe addormentato e sarebbe rimasto in uno stato di incoscien­za fino alla risurrezione perché solo allora sarebbe andato con Cristo come invece affermano gli Avventisti in Questions on Doctrine dicendo: ‘C’è un tempo quando Paolo poteva andare ad essere con il suo Signore (…) Questo sarà al tempo della Sua seconda gloriosa apparizione per i Suoi santi’.[23]

Paolo disse ai Corinzi: “Abbiamo molto più caro di partire dal corpo e d’abitare col Signore”.[24] Quanta chiarezza ancora una volta in Paolo a riguardo della sua fiducia di essere subito con il Signore alla sua dipartenza dal corpo! Ma gli Avventisti dicono a riguardo di queste parole di Paolo: ‘Non c’è nulla in questo testo che giustifica il nostro venire alla conclusione che l’es­sere “presente con il Signore” si verificherà immediatamente dopo essere ‘assenti dal corpo’ (…) Il testo non indica quando queste espe­rienze avranno luogo (…) l’intero passaggio, quando attentamente considerato, rende chiaro che cosa l’apostolo ha in mente. Egli sta pensando non alla morte ma al giorno della risurrezione quando questo mortale deve rivestire immortalità’.[25] Spieghiamo dunque anche queste parole di Paolo per fare compren­dere come Paolo credeva di avere un’anima immortale nel suo corpo che sarebbe andata con il Signore alla morte. Perché egli parla di partire dal corpo? Perché in quel momento lui abitava ancora nel corpo. Ma cosa c’era allora nel suo corpo che lui avrebbe desiderato partire da esso? La sua anima. E dove sarebbe andato dopo la sua dipartenza? Ad abitare col Signore. Ciò significa che lui quando scrisse queste parole ai Corinzi ancora non abitava col Signore; non può essere altrimenti perché noi sappiamo che il Signore abita nel cielo con il suo corpo risorto. Gesù parlò della casa celeste del Padre suo quando disse: “Nella casa del Padre mio ci son molte dimore…”,[26] e là andò ad abitare quando fu assunto in cielo dopo essere risorto. Quindi? Quindi Paolo desiderava lasciare il suo corpo per andare ad abitare col Signo­re Gesù nella casa del Padre suo in cielo. Notate che l’apostolo espresse questo desiderio ai Corinzi dopo avere detto: “Sappiamo che mentre abitiamo nel corpo, siamo assenti dal Signore”;[27] ora che significa essere assenti da una persona se non che non si è alla sua presenza? Che cosa significa essere assenti da un posto se non che non si è ancora in quel luogo? Quindi Paolo diceva che aveva molto più caro di partire dal suo corpo mortale perché sapeva che mentre abitava ancora nel corpo, cioè fino a che viveva fisicamente, non era col Signore in cielo. Voleva insomma partire dalla sua tenda terrena ed andarsene nella casa costruita in cielo da Dio infatti diceva sempre ai Corinzi: “Noi sappiamo infatti che se questa tenda ch’è la nostra dimora terrena viene disfatta, noi abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna, nei cieli”.[28] E non morire, per poi aspettare in uno stato di incoscienza il giorno della risurrezione. Se Paolo infatti non avesse avuto la certezza che quando sarebbe morto sarebbe andato subito ad abitare con il Signore (quindi con la sua anima) non avrebbe detto che lui preferiva partire dal corpo anziché restare in esso. Alla luce di tutto ciò quindi, è errato vedere in quelle parole di Paolo la speranza di essere con il Signore alla risurrezione. Anche perché Paolo parla di partire dal corpo e d’abitare col Signore, e alla risurrezione non si potrà dire di essere partiti dal corpo, ossia non si potrà dire di essere partiti dal corpo perché si abiterà ancora nel corpo (quello celeste però). Alla risurrezione ci si troverà di certo alla presenza del Signore, ma con il nostro corpo che in quel giorno sarà trasformato dalla potenza di Dio in un corpo glorioso. Questo è un punto che gli Avventisti ignorano o fanno finta di ignorare.

 


[1] Atti 7:60

[2] Giov. 11:11

[3] 1 Re 2:10

[4] 1 Tess. 4:13

[5] Dan. 12:2

[6] Luca 9:31

[7] Ap. 6:10-11

[8] Cfr. Luca 16:19-31

[9] Dizionario di dottrine bibliche, pag. 20

[10] Questions on Doctrine, pag. 553

[11] Ellen G. White, Parole di vita, Impruneta, Firenze 1990, pag. 176

[12] Luca 16:13

[13] E. G. White, op. cit., pag. 176

[14] Luca 23:43

[15] Dizionario di dottrine bibliche, pag. 21

[16] Matt. 26:34

[17] Cfr. 1 Sam. 28: 6-20

[18] Ellen White ebbe ad affermare: ‘In realtà non era il santo profeta di Dio ad apparire e parlare attraverso l’incantesimo; Samuele non era tra gli spiriti maligni. Quella apparizione sovrannaturale era prodotta unicamente dalla potenza di Satana, che poteva facilmente assumere le sembianze di Samuele. (…) Lo spirito maligno che impersonificava il profeta aveva per prima cosa avvertito in segreto la donna malvagia dell’inganno che le veniva fatto’ (Ellen G. White, Conquistatori di pace, pag. 538).

[19] Fil. 1:21,23-24

[20] Questions on Doctrine, pag. 527

[21] Giov. 12:26

[22] Giov. 11:25

[23] Questions on Doctrine, pag. 528

[24] 2 Cor. 5:8

[25] Questions on Doctrine, 528-529, 530

[26] Giov. 14:2

[27] 2 Cor. 5:6

[28] 2 Cor. 5:1