La sacra Scrittura essendo stata ispirata da Dio fu scritta senza nessun tipo di errore

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La Bibbia è un libro unico al mondo perché è composto da scritti ispirati da Dio. Sono sessantasei i libri che la compongono e tra la stesura del primo libro, cioè la Genesi, e la stesura dell’ultimo libro, cioè l’Apocalisse, sono intercorsi circa 15 secoli, dato che la legge venne scritta da Mosè attorno al 1400 a. C. e il libro dell’Apocalisse fu scritto verso la fine del primo secolo d. C. Ora, l’ispirazione di tutti questi scritti è attestata dal fatto che assieme formano un tutt’uno ben compatto, senza nessuna contraddizione al loro interno (ci sono però delle apparenti contraddizioni). Gli autori dei libri ricoprivano diverse posizioni sociali, Salomone per esempio era un re, Amos un mandriano, Luca un medico, e così via, ma tutti furono sospinti a scrivere quello che scrissero dallo Spirito Santo. In altre parole non scrissero di loro volontà, ma per volontà di Dio. L’apostolo Pietro lo attesta questo quando dice nella sua seconda epistola: “Abbiamo pure la parola profetica, più ferma, alla quale fate bene di prestare attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga ne’ vostri cuori; sapendo prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura procede da vedute particolari; poiché non è dalla volontà dell’uomo che venne mai alcuna profezia, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo”.[1] Come abbiamo detto in altra occasione, anche se queste parole di Pietro si riferiscono agli scritti dell’Antico Testamento, pure esse si possono benissimo applicare agli scritti di Matteo, Marco, Luca, Giovanni, Paolo, Giuda, e lo stesso Pietro, perché anche i loro scritti furono ispirati da Dio. Ma cosa vogliamo dire quando diciamo che tutti i sessantasei libri della Bibbia sono ispirati? E’ una domanda a cui noi risponderemo facendo uso delle Scritture. Il nostro discorso partirà dal presupposto che quando lo scrittore di uno dei libri ispirati scriveva era sospinto dallo Spirito Santo; sospingimento che era uguale a quello a cui veniva sottoposto un profeta o un apostolo quando parlavano con la loro bocca da parte di Dio. Si badi però a non fraintendere le cose; qui non stiamo dicendo che i profeti o gli apostoli erano perfetti e umanamente infallibili, perché le Scritture stesse non ci autorizzano né a dirlo e neppure a pensarlo perché anche loro commisero i loro errori, anche loro ebbero bisogno di chiedere perdono a Dio per i loro misfatti, anche loro ebbero bisogno che Dio operasse in loro quello che era gradito nel suo cospetto. Mosè, l’autore manuale della legge, disubbidì a Dio alle acque di Meriba e per questa sua ribellione gli fu impedito di entrare nella terra promessa assieme ad Aaronne suo fratello; Davide, l’autore manuale di molti Salmi, si rese colpevole di omicidio e di adulterio e per questo fu punito da Dio; Salomone che scrisse molti proverbi, l’Ecclesiaste e il Cantico dei cantici, verso la fine della sua vita si sviò da Dio e andò dietro agli idoli muti; l’apostolo Pietro ad Antiochia si mise a costringere i Gentili a giudaizzare e per questo fu severamente ammonito da Paolo in presenza di tutti; Paolo quando comparve davanti al Sinedrio ingiuriò il sommo sacerdote senza sapere che fosse il sommo sacerdote e per questo atto fu ripreso da coloro che erano presenti e lui riconobbe di avere sbagliato. Dunque i profeti e gli apostoli non erano dotati dell’infallibilità sia nell’agire che nel parlare, perché se così fosse stato non avrebbero commesso quegli errori. Ma questo discorso non va fatto per tutti i loro atti e per tutte le loro parole; perché spesso questi uomini agirono e parlarono sospinti dallo Spirito Santo per cui quei loro atti e quelle loro parole compiuti e pronunciate in quelle particolari circostanze erano privi di errori di qualsiasi genere. Farò degli esempi prendendo dei discorsi pronunciati da Mosè e da Paolo; passando in un secondo momento a parlare dei loro scritti. Cominciamo da Mosè. Dopo che fu sul monte Sinai e Dio gli ebbe parlato, egli tornò al campo con il viso raggiante (cosa che però lui non sapeva) talché i figliuoli d’Israele temettero d’accostarsi a lui. “Ma Mosè li chiamò, ed Aaronne e tutti i capi della raunanza tornarono a lui, e Mosè parlò loro… Dopo questo, tutti i figliuoli d’Israele si accostarono, ed egli ordinò loro tutto quello che l’Eterno gli avea detto sul monte Sinai”.[2] Evidentemente Mosè riferì tutto quello che Dio gli aveva detto sul monte, assistito dallo Spirito Santo, per cui fu lo Spirito Santo a ricordargli tutto quello che gli aveva detto Dio ed a parlare tramite lui. Nelle sue parole dunque non potevano esserci errori di nessun genere; per farci capire dagli Avventisti diremo che non ci fu nessun lapsus linguae e neppure un lapsus memoriae. E di volte in cui Mosè riferì al popolo o ad Aaronne parole da parte di Dio ce ne sono molte; per cui si deve dire che Mosè anche in tutti questi casi non poté sbagliare nel parlare da parte di Dio. Lo ripeto, il motivo era perché lui parlava sospinto ed assistito dallo Spirito Santo. Veniamo ora ai suoi scritti. Come scrisse Mosè? Egli scrisse sospinto dallo Spirito Santo. Ma questo lo dicono anche gli Avventisti, qualcuno dirà? Sì, ma noi crediamo che Mosè quando scrisse non poté incorrere in nessun errore, perché durante la stesura dei suoi scritti lo Spirito Santo lo assistette, lo guidò in maniera da evitargli di compiere un qualsiasi errore. Questo avvenne sia quando lui dovette scrivere fatti e discorsi a lui conosciuti perché ne era stato testimone oculare e auricolare (per farci capire meglio, la divisione del mar Rosso e gli altri prodigi compiuti da Dio nel deserto, le parole che Dio gli rivolse in maniera udibile in svariate circostanze, il cantico che gli Israeliti cantarono dopo che Dio inabissò gli Egiziani nel mare, i loro mormorii nel deserto, ecc.), e sia quando dovette scrivere fatti e parole di cui lui non era stato testimone (esempio, la creazione dei cieli e della terra e di tutte le cose in essi, le parole che Dio pronunciò per fare la luce, il sole e la luna, l’uomo, ecc.). Non è possibile spiegare appieno questa maniera di scrivere perché si tratta di un opera compiuta da Dio tramite un individuo e trascende la nostra comprensione. Ma dato che sulla terra esistono fenomeni di scrittura da parte di ministri del diavolo, che come noi sappiamo cerca sempre di imitare le vie di Dio, fenomeni che si chiamano di scrittura automatica in cui il medium con una penna in mano scrive menzogne o sotto dettatura dello spirito maligno o sospinto da esso che si impossessa del suo corpo tanto che lui diventa una sorta di strumento passivo nelle sue mani; dico, in virtù di ciò, facendo un raffronto al contrario, possiamo dire che quando Mosè scriveva lo Spirito del Signore che era sopra lui si impossessava del suo corpo (questo termine impossessarsi non deve meravigliare perché di Gedeone è detto in una occasione che lo Spirito dell’Eterno si impossessò di lui),[3] cosicché lui diventava lo strumento di cui lo Spirito si usava per fargli scrivere tutto ciò che Lui voleva preservandolo così da eventuali errori linguistici o di memoria. Gli scritti da lui redatti quindi erano perfetti? Sì, essi erano perfetti. E che sia così è attestato da Gesù, il Figlio di Dio disceso dal cielo, che citò la legge scritta da Mosè sia quando dovette rispondere al tentatore nel deserto, infatti per ben tre volte gli citò delle parole scritte nella legge di Mosè (perciò scritte manualmente da Mosè), e sia quando parlò ai Giudei. Gesù parlò della legge scritta da Mosè come di uno scritto perfetto infatti disse: “Io vi dico in verità che finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà, che tutto non sia adempiuto”.[4] Ora, come avrebbe potuto parlare così Gesù di uno scritto redatto da mano umana se non lo avesse considerato scevro di errori di qualsiasi genere? Non avrebbe potuto. Dunque le suddette parole di Gesù confermano che tutto ciò che scrisse Mosè, non importa che cosa, è senza errori, parola di Dio pura di ogni scoria. Ma non è la sola volta in cui Gesù fece capire che gli scritti di Mosè erano la parola di Dio e perciò puri da ogni imperfezione. In un occasione un certo dottor della legge si levò per metterlo alla prova, e gli disse: Maestro, che dovrò fare per eredar la vita eterna? “Ed egli gli disse: Nella legge che sta scritto? Come leggi? E colui, rispondendo, disse: Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutta la forza tua, e con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso. E Gesù gli disse: Tu hai risposto rettamente; fa’ questo, e vivrai”.[5] Si noti che Gesù gli domandò che cosa era scritto nella legge e che alla risposta del dottore della legge gli disse di fare ciò che aveva appena detto. Questa è un’altra prova di come Gesù considerava la legge di Mosè quale parola di Dio e non quale parola di un uomo. Potrei moltiplicare gli esempi citando anche le citazioni dei Salmi e del libro dei profeti fatte da Gesù per attestare che la stessa cosa vale anche per questi altri scritti, ma mi fermo qui perché ritengo che abbiate capito che se Gesù, colui che non ha conosciuto peccato, parlò in quella maniera della legge scritta dal profeta Mosè, un uomo che vi ricordo peccò a differenza di Gesù che fu tentato ma non peccò, ciò significa che lui aveva una concezione dell’ispirazione della legge che differiva notevolmente da quella che aveva la White mentre era in vita e da quella che hanno gli Avventisti. Noi siamo come Gesù, per noi la legge è santa e perciò senza errori di nessun genere, possiamo anzi dobbiamo usarla per confutare molte eresie, tra cui quelle degli Avventisti, con la certezza che davanti ad essa cadranno tutte quelle altezze che si elevano contro la conoscenza di Dio. Finché avremo un alito di vita diremo come Gesù: “Sta scritto…”, ed anche: “Nella legge che sta scritto? Come leggi?”, e questo perché le parole di Mosè sono parola di Dio. Il fatto che la legge sia stata scritta da un uomo come noi che aveva i suoi difetti davanti a Dio, non ci porta a dubitare minimamente di essa perché le parole di Mosè sono la parola di Dio. Gesù non dubitò di essa, Paolo neppure, e neppure gli altri apostoli. Qualsiasi discorso che tende a gettare ombra sulla legge di Mosè come su qualsiasi altro scritto ispirato da Dio non procede da Dio.

Passiamo adesso all’apostolo Paolo che è l’apostolo che ha scritto di più in fatto di epistole. Innanzi tutto diciamo che quando Paolo parlava sospinto dallo Spirito Santo, non era lui che parlava ma lo Spirito di Dio, questo sia quando predicava agli increduli (come all’areopago di Atene), sia quando dava ai santi un insegnamento tratto dalle Scritture, e sia quando esortava i santi a condursi in maniera degna del Signore. Anche quando lui parlava ricordando fatti avvenutigli come nel discorso agli anziani di Efeso o nel caso della testimonianza della sua conversione resa davanti a Giudei in Gerusalemme (quando fu arrestato) o di quella resa a Cesarea davanti al re Agrippa, le sue parole erano veraci senza nessun errore. Dunque possiamo dire che quando lo Spirito parlava tramite lui, le sue parole erano prive di errori di ogni genere, come nel caso di Mosè. Vediamo ora di parlare dell’ispirazione delle sue epistole. Possiamo mettere l’ispirazione delle sue epistole sullo stesso piano di quella della legge di Mosè? Certamente, perché lo stesso Spirito che mosse Mosè a scrivere, mosse a scrivere pure Paolo. Tanto è vero che Pietro nella sua seconda epistola chiama le epistole di Paolo Scritture infatti dice: “E ritenete che la pazienza del Signor nostro è per la vostra salvezza, come anche il nostro caro fratello Paolo ve l’ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue epistole, parlando in esse di questi argomenti; nelle quali epistole sono alcune cose difficili a capire, che gli uomini ignoranti e instabili torcono, come anche le altre Scritture, a loro propria perdizione”.[6] Non ci sono dunque sbagli di nessun genere nelle sue epistole. Che dire allora delle affermazioni degli Avventisti secondo cui Paolo nei suoi scritti ha dovuto rivedere le sue convinzioni a riguardo del ritorno del Signore? Esse sono false. Vediamo perché. L’apostolo Paolo nella seconda epistola ai Tessalonicesi dice: “Or, fratelli, circa la venuta del Signor nostro Gesù Cristo e il nostro adunamento con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto travolgere la mente, né turbare sia da ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche epistola data come nostra, quasi che il giorno del Signore fosse imminente. Nessuno vi tragga in errore in alcuna maniera; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figliuolo della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch’egli è Dio.”[7] Per gli Avventisti queste parole di Paolo correggono queste altre sue parole scritte sempre ai Tessalonicesi nella precedente epistola: “Perché il Signore stesso, con potente grido, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e i morti in Cristo risusciteranno i primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo insiem con loro rapiti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore”.[8] Ma ciò è falso perché poco prima di queste ultime parole di Paolo da me citate, Paolo dice ai santi di Tessalonica: “Questo vi diciamo per parola del Signore….”.[9] Se dunque Paolo nella sua seconda epistola avesse rivisto la sua posizione precedente ciò significherebbe che la Parola del Signore nel corso del tempo era cambiata. Quella di Paolo non era una opinione personale, come lo può essere per esempio una convinzione personale a riguardo di un cibo o di un giorno, ma la parola di Dio. Per cui egli quando scrisse nella sua prima epistola ai Tessalonicesi: “Poi noi viventi che saremo rimasti verrem insiem con loro rapiti sulle nuvole” non dimostrò affatto di credere che il giorno del Signore fosse imminente perché quelle parole le disse per ordine di Dio. Paolo anche quando scrisse queste parole sapeva benissimo che quel giorno non sarebbe venuto se prima non fosse venuta l’apostasia e non fosse manifestato l’uomo del peccato, difatti quando poi riprenderà i Tessalonicesi per essersi lasciati travolgere la mente quasi che il giorno del Signore fosse imminente e gli dice che cosa deve succedere prima di quel giorno, gli dice: “Non vi ricordate che quand’ero ancora presso di voi io vi dicevo queste cose?”.[10] Si noti che Paolo aveva già detto quelle medesime cose quando era stato presso di loro. Dunque per l’apostolo Paolo il ritorno del Signore non fu mai imminente perché lui insegnò sempre ai credenti che prima di quel giorno doveva verificarsi l’apostasia e manifestarsi l’uomo del peccato. (Un discorso simile va fatto anche per Giovanni, perché anche lui non ritenne mai che il giorno del Signore fosse imminente, quantunque nella sua prima epistola disse che era l’ultima ora). Dire poi che lo stesso errore escatologico fu fatto dalla White vuol dire mettere gli scritti della White allo stesso livello di quelli di Paolo, ma soprattutto abbassare, se non annullare, l’ispirazione degli scritti di Paolo. Ancora una volta gli Avventisti danno prova di voler difendere a tutti i costi gli errori della White, anche a costo di attribuire i suoi errori anche agli apostoli o ai profeti antichi.[11] Questo è grave, molto grave. Io ho letto gli scritti della White, ho letto diverse cose da lei dette sul ritorno del Signore, ma in nessun caso si possono mettere sullo stesso livello delle parole di Paolo. Nel Gran conflitto per esempio quando la White parla del ritorno del Signore dice un sacco di cose storte, mescola abilmente la menzogna con la verità, dando l’impressione di essere ispirata da Dio, quando invece molte sue parole sono frutto della sua feconda immaginazione. Di tutt’altro genere sono invece le parole di Paolo sul ritorno del Signore, esse sono tutte vere, non c’è in esse nessuna idea personale di Paolo, nessuna cosa storta, nessuna contraddizione.

Vediamo adesso di confutare il cosiddetto lapsus linguae di Matteo a proposito della seguente citazione: “Allora s’adempì quel che fu detto dal profeta Geremia: E presero i trenta sicli d’argento, prezzo di colui ch’era stato messo a prezzo, messo a prezzo dai figliuoli d’Israele; e li dettero per il campo del vasaio, come me l’avea ordinato il Signore”.[12] Ora, l’attribuzione delle parole a Geremia anziché a Zaccaria per gli Avventisti è un errore compiuto da Matteo. Se è così, occorre dire che lo Spirito Santo non preservò Matteo dal commettere questo errore, per cui cadrebbe il nostro discorso fatto sin a questo momento. Noi riteniamo che Matteo non abbia fatto nessun errore, perché se ha detto che Geremia disse quelle parole, il profeta le disse. Il fatto che nel libro del profeta Geremia queste parole non ci sono scritte non deve per nulla preoccupare, perché il profeta le disse ma non le scrisse.[13] Anche in questo caso dunque il paragone fatto dagli Avventisti tra il cosiddetto lapsus linguae di Matteo e l’errore della White nell’attribuire a Pietro alcune parole di Paolo scritte ai Corinzi è sbagliato perché nel caso delle parole di Matteo non si tratta di un errore mentre nel caso della White si tratta di un vero e proprio errore. Cosicché possiamo dire che Matteo fu ispirato nello scrivere, mentre la White non lo fu (e non solo per questo suo lapsus linguae ma anche perché scrisse tante menzogne).

 


[1] 2 Piet. 1:19-21

[2] Es. 34:31-32

[3] Cfr. Giud. 6:34

[4] Matt. 5:18

[5] Luca 10:26-28

[6] 2 Piet. 3:15-16

[7] 2 Tess. 2:1-4

[8] 1 Tess. 4:16-17

[9] 1 Tess. 4:15

[10] 2 Tess. 2:5

[11] Come abbiamo visto Juan Carlos Viera afferma anche che gli apostoli commisero un altro errore, e cioè quello di pensare che la salvezza fosse riservata solo agli Ebrei, che commise anche la White nell’accettare la dottrina della ‘porta chiusa’. Ora, è vero che Pietro e quelli della circoncisione erano stati restii ad evangelizzare i Gentili perché li avevano chiamati immondi e contaminati infatti Pietro a casa di Cornelio disse che Dio gli aveva mostrato che egli non doveva “chiamare alcun uomo immondo o contaminato” (Atti 10:28). Ma dire che questa loro passata errata convinzione sia un po’ come quella della ‘porta chiusa’ della White vuol dire ingannare le persone, perché la dottrina della ‘porta chiusa’ sostenuta dalla White per alcuni anni dopo la grande delusione, secondo le stesse parole della White le fu confermata da Dio mediante una visione. Dunque Dio avrebbe prima detto alla White che la dottrina della porta chiusa era giusta (cioè che dal 22 ottobre 1844 non c’era più possibilità di salvezza per coloro che avevano rigettato quella data), e poi invece le avrebbe fatto capire mediante un’altra rivelazione che la dottrina della porta chiusa era sbagliata. Può Dio agire in questa maniera? No. Dunque l’errore della White (quando di errore gli Avventisti parlano) non si può in nessuna maniera paragonare all’errore compiuto inizialmente dagli apostoli sull’estensione dell’evangelizzazione, perché la White sosteneva quell’errore con una ‘visione’ mentre gli apostoli non sostennero mai il loro errore con una rivelazione di Dio perché Dio aveva sempre detto il contrario, e cioè che la salvezza sarebbe stata estesa ai Gentili, sia anticamente tramite i profeti e sia dopo tramite il suo Figliuolo. E non poteva dunque ‘rivelargli’ il contrario perché Egli non rinnega se stesso. La realtà è che la White ebbe una falsa visione sulla ‘porta chiusa’, cioè rimase sedotta dal diavolo e sedusse altri e ritenne di poter sostenere quell’eresia con una rivelazione di Dio. Dunque il suo agire fu un agire disonesto, il tipico agire di colui che dice: ‘Dio ha detto…’ quando Dio non ha parlato, e lo si vuol far passare da parte degli Avventisti come uno sbaglio simile a quello fatto dagli apostoli inizialmente. Attenzione dunque quando gli Avventisti parlano dell’errore teologico della porta chiusa accettato dalla White, perché non si trattò di un errore simile a quello che commisero inizialmente gli apostoli.

[12] Matt. 27:9-10

[13] Un po’ insomma come sempre nel caso di Matteo quando dice che Giuseppe il marito di Maria venne ad abitare in Nazaret “affinché si adempiesse quello ch’era stato detto dai profeti, ch’egli sarebbe chiamato Nazareno” (Matt. 2:23), perché qui si parla di profeti che fecero questa predizione. Ma leggendo il libro dei profeti risulta impossibile stabilire dove questa specifica predizione è fatta. I profeti comunque la fecero; Matteo non disse questo di suo ma perché sospinto dallo Spirito Santo. Un altro esempio simile, tratto però da un discorso di Paolo, è quello della citazione delle parole di Gesù: “Più felice cosa è il dare che il ricevere” (Atti 20:35), difatti queste parole anche se non sono scritte né da Matteo, né da Marco, né da Luca né da Giovanni, noi crediamo che Gesù le disse.