Seri dubbi sulle monete egiziane di Giuseppe

Due archeologi evangelici hanno espresso riserve in merito alla notizia del ritrovamento di monete dell’antico Egitto, che recano il nome e l’immagine di Giuseppe, figlio di Giacobbe, tra manufatti non ancora classificati del Museo d’Egitto.

Steven Ortiz, professore associato di archeologia e contesti biblici al Southwestern Baptist Theological Seminary a Fort Worth (Texas), ha dichiarato che gli studiosi dovranno rivedere l’intero rapporto e le immagini dei manufatti per poter dare un giudizio sugli oggetti in questione. Lo studioso pensa che molto probabilmente questi oggetti siano amuleti o articoli di gioielleria. I primi dati diffusi, osserva, tendono a cercare un riferimento in versi del Corano in cui si menzionano monete legate alla figura di Giuseppe, ma non si basano su un’indagine completa dei ritrovamenti.

Il giornale Al Ahram del Cairo è stata la prima fonte a riportare un articolo su questo argomento, e uno successivo è apparso sul Jerusalem Post (25 settembre), che dipende dalla traduzione dell’articolo originale a cura del Middle East Media Research Institute (MEMRI). La ricerca non è apparsa su una rivista accademica. Il JP ha affermato che l’importanza del ritrovamento sta nel fatto che gli archeologi hanno trovato una prova scientifica che smentisce la tesi di alcuni storici secondo i quali le monete non furono usate nell’antico Egitto per il commercio, che invece avveniva tramite baratto.

egypt-coinsSecondo la traduzione del MEMRI, inizialmente si credeva che i manufatti fossero amuleti, ma un esame approfondito ha rivelato che gli oggetti recano l’anno in cui furono coniati insieme al loro valore. Si è appreso ancora che alcune monete sono del periodo del soggiorno di Giuseppe in Egitto e recano il suo nome e la sua effige.

La scoperta ha spinto i ricercatori a leggere i versi coranici che parlano di monete usate nell’antico Egitto. Robert Griffin, studioso di storia egiziana antica dell’Università di Memphis, ha riferito che non ha potuto offrire una valutazione senza vedere i manufatti o consultare le relazioni dei ricercatori. Perciò non è stato favorevole alla divulgazione della scoperta. Griffin ha dichiarato che la sua posizione è scettica, perché l’”interpretazione” di quegli oggetti come monete è molto soggettiva.

Nell’articolo di Al Ahram si legge che le monete provengono da diversi periodi e tra di esse ci sono monete che recano diversi segni che si fanno risalire al tempo di Giuseppe. Tra queste ce n’è una che ha un’iscrizione e un’immagine di una mucca, che ricorda il sogno del faraone delle sette mucche grasse e delle sette magre.

Una delle più popolari divinità nell’Egitto mitologico, ha osservato Griffin, era Hathor, rappresentata da una mucca o da una donna che indossa una corona con le corna. Lo studioso sostiene che Hator era ben conosciuta nell’ultima parte del Regno Medio e del Secondo Periodo Intermedio (circa 1800-1600 a.C.), epoca che corrisponde a quella della permanenza di Giuseppe.

Il quotidiano Al Ahram ha riferito che il nome di Giuseppe appare due volte su questa particolare moneta. Vi appaiono scritti in caratteri geroglifici sia il nome originale, Giuseppe, sia quello egiziano, Saba Sabani, che gli fu dato dal faraone quando divenne tesoriere del regno.

Per Griffin sarebbe interessante poter prendere visione in prima persona dell’iscrizione (leggenda ndr.) della moneta che gli studiosi pretendono siano i nomi (ebraico ed egizio ndr.) di Giuseppe. La translitterazione offerta in inglese del “nome egiziano” di Giuseppe è vicina nella forma ma non esattamente come sarebbe dovuta essere translitterata dal testo ebraico.

Tenendo conto di quanto si conosce fino a questo punto, Griffin dice che avrebbe avuto più di qualche perplessità nel sostenere che i suddetti manufatti costituiscono una prova inequivocabile della presenza di Giuseppe in Egitto.

Adattamento: R.P.
Fonte: SBF Taccuino / Baptist Press ( 5 ottobre 2009 )

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