Gli ebrei che credono in Gesù possono immigrare in Israele

di Johannes Gerloff

GERUSALEMME – Gli avvocati degli ebrei messianici in Israele considerano come una grande vittoria legale una decisione della Corte Suprema di Israele che, a dire il vero, non è una decisione. «Mettetevi d’accordo, e noi benediremo la vostra unione», hanno detto gli alti giudici dello Stato ebraico alle parti in causa a metà aprile, e il Ministero degli Interni ha ritirato una sua disposizione. Adesso niente più ostacola l’immigrazione in Israele di ebrei che credono in Gesù.
Gli avvocati Juval Grajevsky e Calev Myers hanno rappresentato dodici ebrei messianici in un processo modello contro il Ministero degli Interni dello Stato d’Israele. A loro era stata negata la cittadinanza israeliana perché credono in Gesù di Nazaret come il Messia d’Israele promesso nell’Antico Testamento. La maggior parte di loro ha ricevuto dal Ministero degli Interni israeliano uno scritto in cui si dice che non riceveranno la cittadinanza israeliana perché sono missionariamente attivi. Ad una delle richiedenti è stato comunicato che le sue attività missionarie sono indirizzate “contro gli interessi dello Stato d’Israele e del popolo ebraico”. Gli accusati hanno rigettato queste accuse come false e hanno ribattuto che l’attività missionaria non costituisce un motivo giuridico per impedire a un ebreo l’immigrazione in Israele.
Nello Stato ebraico può immigrare chiunque è ebreo. Originariamente i padri fondatori dello Stato volevano garantire asilo ad ogni persona che era stata perseguitata dai nazisti, e de facto si erano regolati secondo le leggi razziali di Norimberga del Terzo Reich. La legge del ritorno di Israele concede quindi il diritto di cittadinanza israeliana anche a persone che secondo la tradizione ebraica non sono propriamente ebrei. Secondo questa norma originaria, può diventare israeliano ogni persona che può dimostrare di avere almeno un nonno ebreo.
Secondo la legge rabbinica, invece, è ebreo chi ha una madre ebrea o si è convertito all’ebraismo seguendo il rito ebraico-ortodosso. In seguito è stata aggiunta una clausola secondo cui può immigrare in Israele soltanto chi non ha cambiato religione, cosa che negli anni passati ha sollevato un certo fermento soprattutto negli ebrei che credono in Gesù. Il Ministero degli Interni dello Stato d’Israele, che per anni è stato nelle mani di ebrei ortodossi, aveva deciso, in virtù di questa aggiunta, di poter impedire l’immigrazione nello Stato ebraico d’Israele dei cosiddetti “ebrei messianici”.
Gli ebrei che credono in Gesù sono considerati dagli ebrei ortodossi come traditori che hanno voltato le spalle al loro popolo. Gli ebrei messianici, invece, per la loro autocomprensione, vogliono dichiarare consapevolmente la loro nazionalità ebraico-israeliana e continuare a credere in Gesù come Messia d’Israele. Per questo molti si allontanano deliberatamente dalle chiese tradizionali cristiane, fanno circoncidere i loro figli e celebrano le feste ebraiche invece delle festività cristiane. Grajevsky e Myers sono convinti che l’esito del processo contro il Ministero degli Interni davanti alla Corte Suprema di Gerusalemme costituisca un passo decisivo sulla via dell’equiparazione della comunità ebraico-messianica all’interno del mondo ebraico.
Come un altro successo in questa direzione può essere considerata la pubblicazione di un articolo dell’edizione di Pasqua del quotidiano israeliano Maariv. Elemento scatenante dell’articolo è stato l’attacco dinamitardo che alla fine di marzo, proprio durante la festa di Purim, è stato indirizzato contro la famiglia ebreo-messianica Ortiz nell’insediamento israeliano Ariel, non lontano dalla città dell’Autonomia palestinese Nablus, nel cuore della biblica Samaria. L’esplosivo, camuffato come regalo di Purim, è esploso quando il quindicenne Ariel Ortiz voleva aprire il pacco con la scritta “Buona Festa”. Il ragazzo è rimasto gravemente ferito.
Il quotidiano popolare ha presentato questo attacco in un ampio contesto di difficoltà che gli ebrei credenti in Gesù subiscono da parte di ebrei ortodossi, soprattutto in Arad e Beer Sheba, nel nord del deserto del Negev. Nelle sue ricerche il giornalista del Maariv ha voluto interrogare anche l'”altra parte”, cioè gli ebrei ortodossi. In un primo momento è stato scambiato da questi per un ebreo messianico e insultato nel più osceno dei modi – cosa che lui ha citato letteralmente in lingua inglese. L’articolo si chiude con una preghiera di ebrei messianici: “Padre nostro celeste, aiutaci ad amare coloro che ci odiano. Aiuta Ami Ortiz e guariscilo. Proteggi i soldati israeliani e fa’ che non ci sia nessun attentato in questa festa di Pasqua. Nel nome di Gesù. Amen.”
(Israelnetz Nachrichten, 21 aprile 2008 – trad. www.ilvangelo.org)

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