Archeologia: Gerusalemme, la guerra degli scavi

A Silwan, l’antica città di Davide chiamata Siloe, è venuto alla luce un tunnel che sembra essere quello da cui fuggirono gli ebrei al tempo della rivolta contro i romani. Ma l’area è abitata dalla popolazione araba

Gerusalemme, la guerra degli scavi

L’opera dei coloni israeliani per liberare l’antico condotto ha prodotto crepe nelle case e nelle strade suscitando le proteste degli abitanti. Secondo alcuni lo scavo sarebbe un modo per avanzare rivendicazioni su quella terra. E l’Alta Corte di Tev Aviv ha dato lo stop ai lavori

DA GERUSALEMME GIORGIO BERNARDELLI C’è il conflitto su Gerusalemme che leggiamo tutti i giorni sulle pagine dei giornali. Quello delle intifade, degli scontri verbali tra i leader o dei piani di pace sulle cartine. Ma ce n’é anche un altro che – per definizione – corre sotto traccia. E in queste settimane sta conoscendo una nuova incandescente battaglia. Perché – in una città così carica di storia – anche sulla scelta di quale passato riportare alla luce si combatte ormai da anni a Gerusalemme. È il fronte degli archeologi militanti. Uno dei meno seguiti del conflitto israelo-palestinese. Ma non per questo un fronte marginale, come dimostrarono tragicamente nel 1996 i morti seguiti all’apertura del tunnel archeologico all’interno della Città Vecchia. Oggi il motivo del contendere è il quartiere arabo di Silwan, a Gerusalemme Est, poche centinaia di metri a sud rispetto al Muro del Pianto e alla moschea di al-Aqsa. Silwan che è poi l’antica Siloe, di cui parla la Bibbia. Ma è soprattutto la zona in cui – secondo gli archeologi – sorgeva l’antica Città di Davide, cioè il nucleo più antico della Gerusalemme ebraica, dove intorno al 1000 avanti Cristo il grande condottiero trasferì la capitale da Hebron. Il problema è che – dopo essere stata Siloe – dal XVI secolo questa zona di Gerusalemme è diventata appunto Silwan. E da quattrocento anni, ormai, ci abitano degli arabi (oggi alcune migliaia). Pri­ma di Davide – invece – era stata la gebusea Shalem, che gli ebrei espugnarono. Dunque – a seconda dello strato da cui la si guarda – la sua fi- sionomia cambia di parecchio. La riscoperta della Città di Davide risale al 1867, quando l’esploratore britannico Charles Warren scoprì un antico canale che collegava la Città Vecchia alla sorgente di Ghion. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX il barone Edmond de Rotschild, intuendo il valore archeologico dell’area, iniziò ad acquistare terreni nella zona. Ma quando alla fine della guerra del 1948 questa parte di Gerusalemme rimase nelle mani dei giordani, quei terreni andarono persi. E Silwan ricominciò a crescere. Poi venne la Guerra dei sei giorni nel 1967, Gerusalemme passò interamente sotto il controllo israeliano e per gli archeologi ebrei si concretizzò il sogno di poter tornare a scavare nelle zone più cariche di storia della Città Santa. Ma a quel punto iniziò la guerra dei setacci. Perché in una città come Gerusalemme – dove antichi resti ebraici, bizantini e arabi si trovano spesso uno sopra l’altro – scegliere che cosa è più importante salvaguardare è un’operazione molto delicata. A complicare ulteriormente la situazione c’è il fatto che l’archeologia è una disciplina costosa. E quindi – ovunque – capita sempre più spesso che le autorità pubbliche affidino gli scavi a fondazioni private. Il problema è che in un contesto come quello israeliano i più disposti a finanziare imprese di questo tipo sono i movimenti legati alla destra religiosa. Così è accaduto che la gestione del sito archeologico della Città di Davide sia stato affidato a Elad, un’asso­ciazione legata ai coloni. La stessa che – contemporaneamente – insedia famiglie ebree nel mezzo del quartiere arabo, perché Silwan deve tornare a essere Siloe. Del resto basta dare un’occhiata al sito internet www.cityofdavid.org.il per scoprire che nella ricostruzione della storia di quest’area archeologica si passa tranquillamente dal 70 dopo Cristo – l’anno della di­struzione del Tempio – al XIX secolo: dell’esistenza di Silwan non si fa neppure cenno. Intanto gli scavi vanno avanti. E l’anno scorso è arrivata un’altra importante scoperta: quella di un tunnel risalente all’età erodiana. È bastato sollevare le pietre che lastricavano una strada romana per portare alla luce un condotto largo circa un metro e alto tre che nell’antica Gerusalemme doveva servire per il drenaggio delle acque piovane (preziosissime in una regione arida come il Medio Oriente). Secondo gli studiosi questo sarebbe inoltre il passaggio nascosto attraverso cui – come racconta lo storico Giuseppe Flavio – nel 70 d.C. gli ebrei fuggirono da Gerusalemme al tempo della rivolta contro i romani conclusasi con la distruzione del tempio. Questa importante scoperta archeologica risale all’estate scorsa. Da allora, però, gli scavi devono essere ulteriormente andati avanti. E questa volta sotto le case degli abitanti di Silwan, dal momento che in febbraio gli arabi hanno cominciato a scoprire alcune crepe sospette nei loro appartamenti e in alcune strade. Ne è nata una protesta che ha visto schie­rarsi dalla loro parte anche l’associazione ebraica Rabbis for Human Rights e alcuni archeologi israeliani che non condividono i metodi di Elad. Da qualche settimana hanno anche loro un sito internet (www.alt-arch.org) attraverso il quale organizzano tour alternativi «da Siloe a Silwan». «Non neghiamo l’importanza archeologica della Città di Davide e del tunnel erodiano – ha spiegato al ‘Jerusalem Post’, l’archeologo Yonhatan Mizrachi, uno dei promotori dell’iniziativa -. Ma l’archeologia non può essere un’arma politica attraverso cui rivendicare che una terra ap­partiene all’uno e non all’altro. Elad sta gestendo questo sito parlando solo del periodo ebraico. Invece qui abbiamo 20 o 30 strati diversi di storia, che coprono un arco di tempo che va dal 5000 avanti Cristo fino a oggi». Che un problema esista realmente lo conferma il fatto che l’Alta Corte di giustizia israeliana – nei giorni scorsi – ha imposto cautelativamente lo stop agli scavi, in attesa di esaminare il ricorso presentato dagli abitanti di Silwan. Va ricordato – però – che la guerra degli archeologi ha conosciuto anche capitoli di segno opposto: negli anni Novanta furono infatti gli arabi a compiere scempi gravissimi nei lavori di realizzazione della moschea sotterranea nelle Stalle di Salomone, sotto la Spianata delle Moschee. Tonnellate di detriti del monte – che se esaminati con cura avrebbero portato alla luce detriti dell’età del Tempio – furono gettati con i camion in discarica. Quella volta negando così l’esistenza di un’altra storia altrettanto importante in quel luogo a Gerusalemme. Conosce corsi e ricorsi la guerra degli archeologi a Gerusalemme. E conferma come qualsiasi soluzione politica per il futuro della Città Santa abbia bisogno di autorità capaci di salvaguardare davvero quel posto unico che questo luogo ricopre nella storia di tutta l’umanità.

Fonte: Avvenire – 16.04.2008