Il Frammento “Sabbagh” del Codice di Aleppo

Un frammento di otto centimetri del Codice di Aleppo, un manoscritto della Bibbia ebraica di 1087 anni, è stato ceduto a un rappresentante del Ben Zvi Institute di Gerusalemme dopo 18 anni, durante i quali, gli studiosi israeliani hanno provato a recuperarlo dall’uomo d’affari Sam Sabbagh.

Sabbagh salvò il frammento da un incendio della sinagoga di Aleppo (Siria) nel 1947.

Scritto su entrambi i lati, il frammento è una delle parti del codice andate perdute. Il manoscritto è una copia della Bibbia scritta nel 920 d.C. a Tiberiade dallo scriba Shlomo Ben Buya’a. Il frammento in possesso di Sabbagh riporta versi dell’ottavo capitolo del libro dell’Esodo comprese le parole di Mosè al Faraone: “Lascia andare il mio popolo, perché mi possa servire…”. Sabbagh per sessanta anni ha creduto che il piccolo pezzo di pergamena fosse stato il suo portafortuna. Era convinto che, grazie alla piccola pergamena che portava sempre con sé avvolta in un contenitore di plastica trasparente, si fosse salvato dai tumulti scoppiati ad Aleppo, durante la guerra del 1947 scoppiata in Israele, e che avesse potuto così emigrare dalla Siria negli Stati Uniti nel 1968 e cominciare una nuova vita a Brooklyn. L’inseparabile portafortuna era con lui anche quando subì un complicato intervento chirurgico.

Due anni fa, quando Sabbagh è scomparso, il frammento ha terminato il suo compito.

La sinagoga di Aleppo fu bruciata sessanta anni fa da una folla inferocita, in seguito alla decisione delle Nazioni Unite di stabilire uno stato ebraico in Palestina. Il destino del codice rimase oscuro per dieci anni, e molti credettero che fosse bruciato insieme ad altri quaranta rotoli della Torah, dei quali alcuni erano antichi.

Nel 1958, tuttavia, il codice di Aleppo fu venduto illegalmente a Israele attraverso la Turchia, nascosto in una tela all’interno di una vecchia lavatrice di una famiglia venuta a vivere nel paese. Il codice fu presentato al Ben Zvi Institute, in qualità di rappresente dello stato di Israele e come segno di riconoscimento per le ricerche che l’istituvo aveva condotto sui Mizrahi Jewry (Ebrei orientali ndr.). In seguito, però, un gruppo di ebrei che in precedenza viveva ad Aleppo rivendicò il possesso del codice intentando causa. Ne scaturì una battaglia legale alla cui conclusione il manoscritto sarebbe rimasto in possesso del Ben Zvi Institute, ma trasferito alla Biblioteca Nazionale, e più tardi, quando fu necessario un lavoro di restauro, all’Israel Museum. Il codice oggi è esposto nello Shrine of the Book del museo.

Delle originali 487 del codice pagine ne sono state rinvenute solo 294. La maggior parte del Pentateuco fino alla metà del Deuteronomio è andata perduta insieme ad alcuni degli ultimi libri della Bibbia: Ecclesiaste, Giobbe, Ester, Daniele e Esdra.

In un primo momento si pensò che questi libri fossero stati bruciati nell’incendio, ma più tardi esami sulle parti restanti dimostrarono che i loro bordi scuriti non erano stati provocati dall’incendio ma da un fungo. Taluni perciò sostennero che delle parti del codice dovettero essere state recuperate dalle rovine della sinagoga da altre persone. Corse così voce che alcune di quelle pagine erano state vendute da commercianti di antiquariato per somme immense. Di fatto negli ultimi 50 anni soltanto un’altra pagina si è aggiunta a quelle esistenti.

Nel 1987 il professor Menahem Ben-Sasson, successivamente divenuto direttore del Ben Zvi Institute e ora presidente del Knesset Constitution Law and Justice Committee, si recò negli Stati Uniti per ottenere un finanziamento da un ricco membro della comunità di Aleppo, Steve Shalom, per un urgente restauro del codice.

Durante un incontro un altro membro della comunità disse che il codice era bruciato ma che suo fratello Sam ne possedeva una pagina. Ben-Sasson chiese il numero telefonico del fratello e si mise immediatamente in contatto con lui. Sam non volle cedere il frammento a nessun costo, perché lo aveva protetto da una disgrazia. Acconsentì che fosse fotografato.

Michael Glatzer, segretario del Ben Zvi Institute, confermò che la forma delle lettere, le vocali e i segni di cantillazione non lasciavano ombra di dubbio: la pagina faceva parte del codice.

Glatzer si documentò sulla testimonianza di Sabbagh circa il ritrovamento della pagina nel giorno dell’incendio. Sabbagh, coinvolto nel disastro, raccontò che, impietrito dallo spavento, riuscì a prendere solo quel frammento che era separato dagli altri.

Si pensa che altri ebrei entrarono nella sinagoga e presero altri pezzi del leggendario codice e in seguito rifiutarono di separarsene. Sebbene Sabbagh fosse d’accordo a concedere il frammento dopo la sua morte, le trattative tra la famiglia e il direttore del Ben Zvi Institute, Dr. Zvi Zameret, hanno richiesto tempo. Alla fine l’istituto ha versato una somma simbolica di denaro e si è celebrata l’intesa con una piccola cerimonia a New York a cui ha preso parte la vedova di Sabbagh.

Recentemente la figlia di Sabbagh ha consegnato il frammento all’istituto.

Zameret spera di trovare altri frammenti. Ha dichiarato che il codice di Aleppo è il primo manoscritto del popolo ebreo, la più completa e antica Bibbia ebraica superstite. E’ fondamentale che il popolo comprenda il valore nazionale e non solo religioso rappresentato dal codice, perché la Bibbia appartiene a tutti.

In seguito al ritrovamento del frammento di Sabbagh, Ben-Sasson chiese alla comunità ebrea di Aleppo di cercare gli altri pezzi del codice. Gli fu consegnato ogni genere di manoscritti, ma nessuno che riguardasse il codice. A un certo punto chiese anche ai rabbini della comunità di rivolgere un appello a chiunque possedesse parti del codice, ma i rabbini gli risposero che un’iniziativa del genere non avrebbe sortito alcun effetto, perché il legame tra gli ebrei di Aleppo e il codice è troppo forte.

Circa 100 anni dopo la stesura, fu acquistato dalla comunità karaita che lo trasferì nella propria sinagoga di Gerusalemme. Durante le crociate la sinagoga fu saccheggiata e i libri che vi erano custoditi furono inviati in Egitto, dove furono acquistati a prezzo molto alto da ebrei. Per i successivi 300 anni il codice rimase al Cairo, dove, ricorda Maimonide, tutti avevano cura di custodirlo. Nel 1375 un suo discendente portò il codice in Siria nella sinagoga di Aleppo. Da allora è conosciuto come ‘Codice di Aleppo’.

Fonte: Anshel Pfeffer, Haaretz (6 novembre 2007)

Adattamento: R. P.

Tratto da : SBF Taccuino – 26.11.2007 @ 09:23

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