Israele, nasce la protesta laica «Basta con la circoncisione»

Il Corriere della Sera, 25/10/2007

Un’associazione di genitori dice no alla pratica. Ma il 97 per cento dei cittadini la rispetta
Israele, nasce la protesta laica «Basta con la circoncisione»
Lo scrittore Shalev: «Un mistero che non capisco»

di Davide Frattini
GERUSALEMME — Udi vorrebbe far causa ai genitori per quello che gli hanno tolto. Trentotto anni fa, quando aveva otto giorni. Eran, se potesse, tornerebbe indietro. Così ha deciso di «risparmiare» almeno il figlio. Di non circonciderlo. Di non cedere alle pressioni della madre («è la legge religiosa»), di non ascoltare i fratelli («stai commettendo un’ingiustizia verso il bambino»). «Adesso sono felice per lui. Il piccolo Tal potrà provare qualcosa che io non ho mai sentito».

Eran fa l’avvocato, vive in Galilea, non si definisce un ribelle. «Anzi, da adolescente non sono mai stato indisciplinato, un sovversivo. Le mie scelte hanno sempre seguito la corrente principale ». Fino a due anni fa, quando è arrivato un figlio maschio e lui ha deciso di andare contro una corrente molto forte. «Io e mia moglie abbiamo cambiato idea due giorni prima della cerimonia. Volevo che l’intervento venisse compiuto da un chirurgo, non dal mohel (specializzato nel rituale, ndr). Cercando notizie su Internet, ho cominciato ad avere i primi dubbi, ho cominciato a pensare che un’operazione per rimuovere parte dell’organo sessuale fosse assurda. Temevo che Maya volesse circonciderlo a ogni costo, ma quando le ho raccontato le mie paure mi ha rivelato di essere rimasta traumatizzata dal brit milah del suo primo maschio, nato in un altro matrimonio ».

Nel sito web allestito per diffondere informazioni sulla sua scelta, Eran cita una frase dello scrittore Meir Shalev: «Esiste un fenomeno davvero strano in questo Paese. Com’è possibile che ebrei laici, senza vincoli — e includo me stesso — che mangiano cibo non kosher con piacere e senza pensarci due volte, che lavorano durante lo Shabbath, continuino a rispettare questo comandamento. Sembra che le ragioni siano più forti delle pressioni sociali o delle motivazioni igieniche. Non ho una risposta al mistero ». Ronit ha trovato la sua. «Tutte le altre tradizioni stanno scomparendo. Così la gente si tiene stretta questa, perché è più facile. Lo fai una volta e non ci pensi più. Soprattutto, lo fai a qualcun altro. È come pagare il conto, poi te ne puoi andare libero. Non ho voluto insegnare a mio figlio che per essere connesso a questa società deve mutilarsi».

Ronit ha fondato l’organizzazione Kahal. Riunisce i genitori di bambini non circoncisi e offre consigli agli indecisi. «Da quando l’associazione dei pediatri americani — spiega al quotidiano Maariv uno degli attivisti — ha dichiarato nel 1999 che non ci sono ragioni sanitarie per la pratica, è cresciuto il numero di chi si rifiuta. Nel Paese, ci sono oggi tremila bambini non circoncisi». Nella sua campagna, il gruppo deve combattere il parere della maggior parte dei medici israeliani. «Da un punto di vista scientifico — spiega l’urologo Pinchas Livneh a Maariv —è provato che gli uomini possono solo trarre benefici dall’intervento». E anche quello di un ex presidente degli Stati Uniti come Bill Clinton, che qualche anno fa ha sponsorizzato la circoncisione per combattere la diffusione dell’Aids.

Il 97 per cento degli israeliani — secondo un sondaggio di Yedioth Ahronoth, il giornale più diffuso — è ancora convinto che la tradizione vada rispettata (e per il 78 per cento va rispettata perché è «un dovere base per ogni ebreo»). «Eppure quel 3 per cento è destinato a crescere — commenta Eran —. Siamo una minoranza, ma rappresentiamo un fenomeno». Sei mesi fa, Eran e Maya sono stati intervistati per il Canale 2, pubblico, telegiornale delle otto, sabato sera. «Prima sarebbe stato impensabile trattare un argomento così controverso, quando la maggior parte degli israeliani sta guardando la televisione», commenta Ari Libsker. Che nel 2000 aveva provato a infrangere il tabù con un documentario. «I produttori di Canale 2 hanno acquistato i diritti e poi hanno deciso di non metterlo in onda perché hanno scoperto che raccontavo le storie di chi si ribellava alla norma. Dopo le proteste, lo hanno trasmesso all’una di notte».

Andare in televisione, farsi riconoscere, dire il proprio cognome è ancora un passo difficile. Le mamme temono che i figli vengano tormentati a scuola o all’asilo. Respinti perché «diversi»: è il dubbio più grande per i genitori. «È inevitabile pensare alla doccia in caserma durante il servizio militare — dice Eran —. O alle reazioni delle ragazze. In ogni caso, preferisco lasciare a lui la possibilità di scegliere, quando sarà grande».

Tratto da: Rassegna stampa dell’Ucei

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