Ilya, a cinque anni mascotte ebrea delle SS

Ilya Galperin scampò allo sterminio della sua famiglia grazie alla pietà di un soldato lettone, che lo fece passare per russo

DA BERLINO
VINCENZO SAVIGNANO

Il bambino ebreo che si salvò dallo sterminio nazista diventando la mascotte delle SS. È la tragica, assurda, incredibile storia di Ilya Galperin, un bambino bielorusso ebreo.

Oggi ha settantadue anni e si chiama Alex Kurzem, il nome che gli diedero le SS e che mantenne anche dopo essere emigrato nel 1949 in Australia, probabilmente per mettere da parte, per nascondere a se stesso e agli altri la sua orribile infanzia, poi lentamente riaffiorata nella sua mente dopo mezzo secolo.
Nel 1997 grazie al figlio Mark, docente di Antropologia a Oxford, ha trovato la forza per ricostruire il suo passato e, dopo un film-documentario, mandato in onda dalla tv australiana Abc, ha pubblicato un libro:
The Mascotte: The Extraordinary Story of a Jewish Boy and an SS Extermination Squad, per ora disponibile solo in lingua inglese, ma che sta ugualmente riscuotendo successo tutte le librerie della Germania.
La tragica odissea di Ilya inizia il 20 ottobre 1941, quando unità della Wermacht occupano il suo villaggio in Bielorussia e massacrano tutti i 1600 abitanti di origine ebraica del borgo agri­colo. La notte successiva Ilya riesce a fuggire attraverso la rete del campo di concentramento, dove era stato portato dopo la fucilazione del padre; il giorno seguente i tedeschi massacrano anche la madre, il fratello ed una sorella. Il bambino, di appena cinque anni, vaga per mesi nei boschi finché cade nelle mani di un’unità lettone delle SS, che decide di fucilarlo davanti ad una scuola insieme ad altri sventurati di un villaggio. Poco prima di essere ucciso Ilya si rivolge ad un sottufficiale delle SS: «Potresti darmi un pezzo di pane, prima di fucilarmi?». Sorpreso dalla richiesta, il soldato lettone, Jekabs Kulis, lo conduce dietro la scuola, gli fa tirare giù i pantaloni per accertare se sia effettivamente circonciso. «Così non va bene», gli dice la SS che tuttavia scende a compassione e invece di riportarlo nel gruppo con la stella di Davide dei condannati alla fucilazione, gli prepara un foglio di via con un nome falso, Alex Kurzem, e racconta ai commi­litoni che si tratta di un orfano russo. Le SS decidono allora di prendere quel bambino dai capelli biondissimi e dagli occhi cerulei come loro mascotte. Gli mettono un’uniforme nazista e viene fotografato più volte come modello di ‘soldato bambino’, a scopi di propaganda. Compare anche nella Wochenschau, il cinegiornale nazista dell’epoca, vestito con l’uniforme delle SS, gli stivaloni ed una pistola giocattolo, lo speaker con voce marziale lo definisce «il più giovane soldato del Reich».
Ilya/Alex trascorre le giornate a lustrare scarpe, a prendere l’acqua e ad accendere il fuoco. Poi, un giorno finisce l’incubo della mascotte delle SS. Davanti all’avanzata dell’Armata rossa il comandante dell’unità decide di affidare il bambino ad una famiglia lettone. Alex, da quel momento, si impone di dimenticare gli orrori vissuti e di non raccontare a nessuno la sua storia. «Della mia vicenda – ha spiegato – non avevo mai parlato neppure a mia moglie Patricia. Poi con il passare del tempo, mio figlio Mark mi ha convinto a cercare di sapere tutto quello che non ricordavo o che avevo rimosso». Incoraggiato dal figlio antropologo, Kurzen dieci anni fa ha deciso di intraprendere un lungo viaggio in Europa alla riscoperta del proprio passato. «Quando per la prima volta circa dieci anni fa ho rivisto le mie foto da bambino con la divisa delle SS sono scoppiato a piangere », racconta nella Alex Kurzem, che ha deciso di farsi richiamare Ilya.

Fonte: Avvenire.it – martedì 16 ottobre 2007

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