Algeria – Ouahdia (Cabila): La casa con la croce

La comunità cristiana in Algeria, tra sospetti e tolleranza

“La chiesa cristiana? E’ proprio dietro l’angolo, in fondo a quella strada. Salutatemi Abdelkader”. Nel villaggio cabilo di Ouahdia, in Algeria, tutti sanno dov’è il luogo di culto dei cristiani. Nessuno si nasconde, nessuna paura. Lungo una strada polverosa, dopo una serie di basse costruzioni tutte uguali, l’abitazione di Abdelkader e della sua famiglia si riconosce subito, perché sulla facciata troneggia una croce di vetro collocata in una nicchia della parete.

Una fede riservata. Oltre un cancello di ferro, lungo un piccolo viale attraversato da un gruppo di placide pecore, avanza un uomo basso e sorridente, che tende cordiale la mano ai suoi visitatori.
“Qui non abbiamo mai avuto problemi. Neanche durante gli anni bui della guerra civile”, dice Abdelkader, il leader della comunità cristiana di questo piccolo villaggio, rispondendo allo stupore di chi è sorpreso di non trovarsi di fronte una comunità che vive in fuga, nascosta magari come i cristiani delle origini. I massacri, i fondamentalisti e lo scontro di civiltà sembrano lontani dal giardino curato di Abdelkader, attraversato dalle corse dei due figli piccoli, in fuga dall’obiettivo indiscreto della macchina fotografica.
“La nostra è una piccola comunità, quando ci siamo tutti siamo 50 persone, ma alcuni vengono da altri villaggi”, racconta Abdelkader, “qui a Ouahdia la comunità cristiana è composta da due famiglie. Eravamo tre, ma una si è trasferita a Costantina, dove abbiamo avuto il permesso di aprire un luogo di culto”. Abdelkader e gli altri sono protestanti: metodisti, battisti, ortodossi ed evangelici. “Siamo pochi, e lavoriamo tutti assieme, sulle cose che ci uniscono e non su quelle che ci dividono. Non è come in Europa”, sottolinea sorridendo, “qui ci diamo una mano a vicenda”.

Basso profilo. Un clima idilliaco insomma, che l’uomo non smette di sottolineare mentre guida gli ospiti verso la palazzina bassa che ospita la chiesa, a un centinaio di metri dalla casa. L’ambiente è spoglio, ma pulito e ordinato. Una serie di bianche panche di legno sono sistemate di fronte a un tavolino da cucina, sul quale troneggia un vaso di fiori finti. “Più che vere e proprie chiese sono delle abitazioni private”, si schernisce Abdelkader, quasi giustificandosi, “sono molto più legate a un approccio familiare alla fede, nello spirito del Vecchio Testamento, dove ogni comunità si lega a un luogo”. Quanti sono questi luoghi di culto? “In totale, solo nella provincia di Tizi Ouzou, la città principale della Cabilia, ci sono 50 chiese. Poi c’è una comunità a Costantina, tre ad Algeri e due a Orano. Niente nell’Algeria meridionale, perché là sono in prevalenza cattolici”. Una sproporzione enorme: la Cabilia sembra il luogo di elezione prediletto per i protestanti. E proprio da questa considerazione, non troppo tempo fa, è nato qualche problema.
Un decreto del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika del febbraio 2006 prevede la prigione fino a 5 anni e multe di 5 mila euro per chi cerchi di convertire un musulmano. La materia è delicata, perché la Cabilia, berbera e non araba, è da sempre guardata con sospetto dagli algerini. Un po’ di pregiudizi ci sono sempre stati, e adesso non è raro sentir dire che i cabili non sono mai stati buoni musulmani e che si convertono a pagamento. Inoltre il governo ha imposto il censimento dei luoghi di culto, che devono richiedere alle autorità un’autorizzazione per esercitare.

A ciascuno il suo. Interpellato sulla questione, all’improvviso, Abdelkader ha un sussulto. Svanisce il sorriso che non lo aveva abbandonato neanche per un minuto. “In Italia e altrove la legge è stata male interpretata. Avete scambiato per repressione una normale misura organizzativa”, risponde come un libro stampato, quasi avesse imparato a memoria il discorso. “L’idea di creare una mappatura delle comunità religiose e dei luoghi di culto, inquadrandole come associazioni, non è affatto negativa. Il ministero degli Affari Religiosi non ha esitato un attimo a concederci l’autorizzazione per aprire a Costantina, che pure è una delle città più religiose del Paese”. Fine del comunicato stampa. Ma le conversioni? “Di quello preferirei non parlare”, taglia corto Abdelkader, che almeno ha ripreso a sorridere, “lei deve capire che le zone arabofone in Algeria sono più chiuse, continuano e esserci tanti, troppi pregiudizi contro di noi. L’ignoranza gioca un ruolo determinante, ma viviamo in tranquillità”.
La visita è finita, Abdelkader si avvia verso il cancello, ma smette all’improvviso di parlare. “La prego, le foto all’interno della chiesa vanno bene, anche a me, ma non alla casa”, sottolinea con fermezza. La tranquillità, per i cristiani in Algeria, è bene che vada di pari passo con la discrezione.

Christian Elia

Fonte: PeaceReporter – riprodotto con autorizzazione

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